quaranta minuti di colloquio
Il Papa scende in campo e va dai russi per esprimere "preoccupazione"
Francesco in visita all'ambasciata di Mosca presso la Santa Sede. È scivoloso il terreno sul quale si muove la diplomazia vaticana: ci sono ragioni politiche e religiose che reclamano prudenza. Intanto da Kyiv si diffondono le immagini della cattedrale trasformata in rifugio
Diplomazia sotterranea fino a un certo punto, ormai. Ieri mattina, poco dopo aver disdetto il programmato viaggio a Firenze di domenica e le celebrazioni del Mercoledì delle ceneri (2 marzo) a causa di “un’acuta gonalgia”, il Papa entrava nell’ambasciata russa presso la Santa Sede. Il tutto corredato da un breve video che mostra l’utilitaria con a bordo il Pontefice davanti alla sede diplomatica di Mosca. Un fatto senza precedenti: solitamente gli ambasciatori vengono convocati (dalla Segreteria di stato), non è il Papa che esce di casa per andare a “trovare” il rappresentante diplomatico di uno stato estero. E’ un passo significativo, che indica la “presenza”, pubblica e manifesta, della Santa Sede sul terreno. Se non per mediare, quantomeno per manifestare la propria preoccupazione per quanto sta accadendo in Ucraina. L’incontro con l’ambasciatore Aleksandr Avdeyev è durato più di mezz’ora (quaranta minuti, secondo le fonti russe), come confermato dalla Sala stampa vaticana, che non si è dilungata in dettagli. E se il portavoce Matteo Bruni ha preferito non commentare l’indiscrezione secondo la quale il Papa sarebbe pronto a esercitare un ruolo di primo piano nel facilitare la ricerca di un’intesa, l’agenzia russa Tass lo ha negato recisamente. I temi della conversazione (e su questo le parti concordano) sono stati relativi alla protezione dei bambini e delle persone più deboli e sofferenti. Se altro è stato discusso, al momento è ignoto. “Innanzitutto è una notizia che mi ha reso molto felice”, ha detto all’agenzia Sir mons. Paolo Pezzi, arcivescovo di Mosca: “E’ una notizia che può solo che rallegrarci perché il Papa è capace di questi gesti ed è capace anche di farsi ascoltare. Per cui realmente questi passi diplomatici sono sempre i benvenuti”.
“Ogni passo che possa scongiurare un peggioramento di una situazione che è già di conflitto, può essere visto positivamente”, ha aggiunto mons. Pezzi. Più di così, per ora, non si può fare. E’ scivoloso il terreno sul quale si muove la diplomazia della Santa Sede: ci sono ragioni politiche e religiose che reclamano prudenza. Un eccesso d’azione, come sottolineano oltretevere, potrebbe precludere ogni successiva opera finalizzata a stemperare la tensione. Anche perché c’è il problema ortodosso, con lo scisma tra Mosca e Kyiv, la linea ambigua del patriarca Kirill, che prega affinché “si evitino morti civili” – ma benedicendo, implicitamente, i tank russi che penetrano in territorio ucraino – e la ferma condanna di Bartolomeo I di Costantinopoli. Muoversi in tale quadro, per la Santa Sede, non è facile. Prudenza ed equilibrio sono la linea maestra, benché col passare dei giorni la responsabilità del Cremlino in quanto sta accadendo sia sempre più evidenziata dai media vaticani. Se la curia si muove adagio, la seconda linea, quella impersonata dai vescovi, è più dura. Se il cardinale Jean-Claude Hollerich, presidente della Commissione degli episcopati dell’Unione europea, ha espresso “fraterna vicinanza e solidarietà con il popolo e le istituzioni dell’Ucraina”, il presidente del Consiglio delle conferenze episcopali europee (e arcivescovo di Vilnius) Gintaras Grusaš, ha chiesto che “non si lasci intentata nessuna via per fermare questo conflitto, perché le armi cedano il passo al dialogo e ai negoziati, perché venga difeso il diritto internazionale, l’indipendenza e la sovranità territoriale dell’Ucraina. Perché si ponga fine a una guerra che dall’Ucraina si estenderebbe inevitabilmente agli stati vicini e diventerà una minaccia per tutta l’Europa”.
Nella serata di ieri, la Chiesa greco-cattolica ucraina ha diffuso le foto dei sotterranei della cattedrale di Kyiv, che da giorni ospita sfollati e famiglie che lì hanno trovato riparo mentre le bombe cadevano sulla città. Tra di loro, anche l’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk. In un breve videomessaggio alla comunità internazionale e al popolo ucraino, Shevchuk ha espresso “profonda gratitudine a tutti quelli che oggi si organizzeranno in autonomia e sosterranno il nostro stato ucraino, gli sforzi delle nostre autorità, gli sforzi di tutti quelli che oggi difendono la nostra libertà e l’indipendenza”. “In questo momento tragico – ha aggiunto – tutte le nostre speranze sono in Dio. In questo momento tragico il destino dell’Ucraina dipende dalla nostra capacita di autorganizzarcсi e di agire responsabilmente di persona, assumendoс la responsabilità per il futuro della nostra nazione. Dio benedica l’Ucraina”. Intanto le chiese dei paesi confinanti stanno iniziando ad accogliere chi ha scelto di scappare: “Le ultime stime parlano di centomila persone che stanno arrivando in Lituania”, ha detto mons. Grusaš.
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