"Sulla guerra in Ucraina il Papa sa di pagare un prezzo morale". Parla lo storico Daniele Menozzi
"Francesco è consapevole che si può sacrificare un pezzo di autorità morale della Santa Sede per mantenere aperto il dialogo con Putin, senza cedere nulla"
Il 25 marzo, il Pontefice consacrerà al Cuore Immacolato di Maria la Russia e l'Ucraina. Il giorno dopo, analogo gesto sarà compiuto a Fatima dal cardinale Krajewski
Domenica scorsa, all’Angelus, Papa Francesco è stato chiaro nel condannare “l’inaccettabile aggressione armata” a danno dell’Ucraina. E’ vero che non ha menzionato né la Russia né Putin (ma neppure Giovanni Paolo II fece nomi e cognomi nel 2003 quando si trattò di attaccare l’Iraq di Saddam Hussein, solo per tornare all’esempio più vicino alla nostra epoca), ma vi possono essere pochi dubbi sulla denuncia dell’aggressore da parte della Santa Sede. E’ però una posizione complicata, quella vaticana, non tanto per mere questioni geopolitiche, quanto perché proprio in questo pontificato si è avuto un ripensamento generale del concetto di guerra giusta.
Daniele Menozzi, storico del cristianesimo e professore emerito alla Normale di Pisa (ha appena mandato in stampa Il potere delle devozioni. Pietà popolare e uso politico dei culti in età contemporanea, Carocci editore), nota la complessità della situazione: “All’inizio, Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata della pace del 2017, aveva dato una svolta, sottolineando che il metodo corretto dal punto di vista evangelico per affrontare la guerra è la non violenza ('La non violenza, stile di una politica per la pace', si intitolava il primo capitolo del messaggio). Chiariamoci: non significa accettare passivamente i soprusi, ma trovare metodi per rispondere al male evitando di usare quello stesso male. Questo orientamento che pone fine alla dottrina della guerra giusta è stato ripetuto sporadicamente e in occasione di questo conflitto Francesco l’ha fatto emergere solo una volta, la sera del 24 febbraio, in videoconferenza con studenti dell’America settentrionale e meridionale. In questa circostanza è tornato a riferirsi al principio della non violenza. Da un lato, il Papa chiede la pace, fa ampi proclami per la pacificazione e per la cessazione del conflitto; dall’altro lato invita a pregare per la pace. E’ questo un altro elemento legato alla guerra giusta. Quel che manca, è l’indicazione secondo cui la Chiesa è impegnata a operare concretamente per la pace senza ricorrere alla legittimazione morale della violenza. Da questo punto di vista, direi che la difficoltà è evidente. Di fatto, si ripropongono gli atteggiamenti caratterizzanti la dottrina della guerra giusta senza dire che la guerra può essere legittima”.
Ma da un punto di vista per così dire diplomatico, può bastare una condanna dell’aggressione senza nominare l’aggressore? “E’ evidente – dice Menozzi – che anche qui c’è un elemento di difficoltà diplomatica. Ma la denuncia è implicita, anche se non c’è la distinzione netta ed esplicitata fra aggressore e aggredito. Quando fa riferimento alla violenza gratuita e all’attacco dei civili, si capisce che c’è la condanna dell’aggressore. La mia impressione – osserva – è che la difficoltà è data soprattutto dalla complessità delle relazioni interconfessionali sul campo (Ucraina, Russia, il Patriarcato di Costantinopoli), una situazione del cristianesimo molto complessa nel mondo orientale e in modo particolare nell’ortodossia. Se il Papa vuole mantenere aperto un dialogo con i Patriarcato di Mosca che ha legittimato la guerra, non può partire con una condanna esplicita dell’aggressore: farebbe cadere subito la possibilità di interlocuzione. Inoltre, se il Papa ritiene che non possa operare per la pace se non mediando e aprendo un canale diplomatico, non può denunciare pubblicamente e subito una delle due parti in gioco. L’uso delle vie diplomatiche esige un linguaggio estremamente prudente e prevede che neanche con l’aggressore vengano tagliati i ponti”.
Di mezzo, il ruolo di Kirill. Pesa forse, nella prudenza vaticana, il lento ma progressivo avvicinamento al Patriarca moscovita che ha portato nel 2016 allo storico incontro dell’Avana? “Non c’è accondiscendenza nei confronti di Kirill. Mi pare che la Santa Sede ritenga in questo momento che solo Roma può mantenere vivo un dialogo ecumenico. La Santa Sede ritiene, data la situazione, di dover prendere la guida di un dialogo ecumenico ormai frantumato fra Mosca e Costantinopoli. Se Roma rompe con Mosca, è chiaro che non ha più alcun margine di manovra. L’ecumenismo deve andare avanti, e se vuole andare avanti non possiamo dire a Kirill tutto quello che pensiamo”. La storia non si fa mai con i se, ma è stata forse eccessiva la concessione di credito data da Francesco a Putin in questi anni, anche paragonata alla freddezza manifestata dal Papa nei confronti delle varie leadership americane che si sono succedute in questi anni?
A giudizio del professor Menozzi, “è la logica politica che ha guidato il Papa. Negli equilibri mondiali vi è un potere più forte (quello occidentale) rispetto a un altro potere. Per impedire che tra questi due poteri scatti uno scontro che non si sa dove potrà andare a finire (lo abbiamo visto in Siria) occorre che la Chiesa, anziché spalleggiare il potere più forte, si mostri disponibile a costruire ponti con il potere più debole. Francesco sa che sta pagando un prezzo morale, perché è evidente che in questo modo Putin non ha alcuna legittimazione morale per fare quello che fa. Il Papa è anche consapevole che si può sacrificare un pezzo di autorità morale della Santa Sede per mantenere aperto il dialogo con Putin, senza cedere nulla. Certo – osserva Menozzi – ci si può chiedere se tutto questo sia efficace o no. Francesco ha fatto una scommessa su questo, ha scommesso sul fatto che l’autorità della Chiesa può essere spesa per legittimare chi non è legittimato. Il bene della pace è così grande che la Chiesa può spendersi anche mettendo a repentaglio la sua autorità per evitare che lo scontro arrivi a termini drammatici”. Intanto, venerdì 25 marzo, durante la Celebrazione della Penitenza in San Pietro, San Pietro, il Papa consacrerà all’Immacolato cuore di Maria la Russia e l’Ucraina.
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