Il segretario di stato vaticano: “Il diritto a difendersi prevede il ricorso alle armi”
Il cardinale Pietro Parolin in un'intervista spiega che il dialogo è la prima opzione, ma "gli aiuti militari all'Ucraina possono essere comprensibili"
Il Papa torna sulla guerra e scrive che “ancora una volta l’umanità è minacciata da un abuso perverso del potere e degli interessi di parte, che condanna la gente indifesa a subire ogni forma di brutale violenza”
Sarà pure antiquato parlare di guerra giusta (come da conversazione dell’altro giorno tra il Patriarca di Mosca Kirill e Papa Francesco), ma le armi agli ucraini che lottano per la libertà e per la propria indipendenza contro l’aggressione russa è lecito inviarle. Questa, almeno, è la posizione del segretario di stato della Santa Sede, il cardinale Pietro Parolin. Intervistato da Vida Nueva, Parolin ha infatti detto che “l’uso delle armi non è mai desiderabile in quanto comporta sempre un rischio molto alto di togliere la vita alle persone o di causare danni materiali”, ma “il diritto a difendere la propria vita, il proprio popolo e la propria patria comporta talvolta anche il triste ricorso alle armi”. Certo, il ricorso agli armamenti non può essere la prima opzione, ma “gli aiuti militari all’Ucraina possono essere comprensibili”, fatto salvo che “la ricerca di una soluzione negoziata che metta a tacere le armi e prevenga un’escalation nucleare, resta la priorità”. Il segretario di stato non dice nulla di nuovo: già l’11 marzo del 2015, in piena avanzata califfale islamista, intervenendo alla Gregoriana, Parolin ricordava che “nel disarmare l’aggressore per proteggere persone e comunità non si tratta di escludere l’extrema ratio della legittima difesa, ma di considerarla tale e soprattutto attuarla solo se è chiaro il risultato che si vuole raggiungere e si hanno effettive probabilità di riuscita”.
Per certi aspetti sembra di rivivere i primi anni Novanta, quando Giovanni Paolo II si espose in merito all’evoluzione del conflitto etnico nei Balcani: “L’intervento umanitario nelle situazioni che compromettono gravemente la sopravvivenza di popoli e di interi gruppi etnici è un dovere per le nazioni e la comunità internazionale”, disse. Solo qualche giorno fa, al Foglio, lo storico del cristianesimo Daniele Menozzi osservava che il Papa, pur richiamandosi al principio della non violenza, di fatto riproponeva “gli atteggiamenti caratterizzanti la dottrina della guerra giusta senza dire che la guerra può essere legittima”. E’ comunque una situazione fluida e in continuo sviluppo: ieri, il Patriarca Kirill, aprendo i lavori del Consiglio supremo della Chiesa ortodossa russa, ha aggiornato i presenti sui colloqui avuti con il Papa e l’arcivescovo di Canterbury, sottolineando l’importanza di mantenere salde le relazioni con la Chiesa cattolica e la comunità anglicana. Quindi, si è soffermato sulla situazione in Ucraina, ribadendo che è necessario “sottolineare ancora una volta che la Chiesa russa, nonostante il contesto politico molto negativo, è oggi chiamata a preservare l’unità spirituale del nostro popolo – il popolo russo e quello ucraino – come un unico popolo emerso dal Fonte battesimale di Kyiv”.
Francesco, che ha invitato i vescovi di tutto il mondo e i loro presbiteri a unirsi a lui nella preghiera per la pace e nella consacrazione e affidamento della Russia e dell’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria, il prossimo 25 marzo, in una lettera inviata all’arcivescovo di Vilnius e presidente delle Conferenze episcopali europee, mons. Gintaras Grušas, riferendosi alla “tragedia della guerra che si sta consumando nel cuore dell’Europa”, ha scritto che “ancora una volta l’umanità è minacciata da un abuso perverso del potere e degli interessi di parte, che condanna la gente indifesa a subire ogni forma di brutale violenza”. Sempre ieri, ricevendo i partecipanti al Congresso internazionale “Educare alla democrazia in un mondo frammentato”, il Papa ha detto che “quando uno pensa all’educazione pensa a bambini, ragazzi… pensiamo a tanti soldati che sono inviati al fronte, giovanissimi, soldati russi, poveretti. Pensiamo a tanti soldati giovani ucraini pensiamo agli abitanti, i giovani, le giovani, bambini bambine. Questo succede vicino a noi”. Questo “ci fa pensare fino a dove siamo capaci di arrivare. Assassini dei nostri fratelli”.
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