Ha senso l'incontro fra il Papa e Kirill?
Il Patriarca vuole incontrare Francesco per indebolire la fronda interna e consolidarsi a Mosca . Ma al Pontefice conviene?
Più di duecento sacerdoti ortodossi ucraini mettono in discussione la leadership di Kirill, che cerca disperatamente di uscire dall'angolo. E mentre il Papa chiede una tregua di Pasqua, lui benedice la guerra
Il Papa, dal sagrato di piazza San Pietro, invoca una tregua di Pasqua che fermi lo spargimento di sangue in Ucraina, da Mosca il Patriarca Kirill risponde chiamando il popolo fedele a stringersi attorno “al Potere” per dimostrare la solidarietà nel “respingere i nemici esterni e interni”. Tutto questo mentre le diplomazie studiano la possibilità di fare incontrare Francesco e Kirill nei prossimi mesi, forse a giugno e in una località neutrale, magari a Gerusalemme, come ha ipotizzato ieri l’agenzia Reuters. Ma di cosa dovrebbero parlare i due leader religiosi? Perché dopo un mese e mezzo di guerra “sacrilega” e “disumana” benedetta dal Patriarca moscovita, l’interrogativo si pone in modo naturale. Nel 2016, la Santa Sede di fatto si piegò ai desiderata russi al punto da firmare una Dichiarazione che aveva poco o nulla a che fare con le linee-guida del pontificato bergogliano e che si soffermava in modo assai superficiale sulla questione relativa all’annessione della Crimea. Tant’è che fin dal giorno successivo vescovi e nunzi s’affrettarono a suggerire di guardare l’incontro nella sua complessità, di apprezzare più il fatto storico in sé che l’atto firmato a favore di telecamere in una saletta démodé dell’aeroporto “José Martí” dell’Avana, con Raúl Castro a fare da garante. Un incontro che, come ha ammesso l’arcivescovo cattolico della Gran Madre di Dio a Mosca, mons. Paolo Pezzi, “non ha portato a un significativo avvicinamento”.
Oggi il discorso, rispetto a sei anni fa, è ribaltato: è Mosca che vuole a tutti i costi l’incontro, l’abbraccio, i sorrisi e le dirette televisive. E’ Kirill che, per uscire dall’angolo in cui s’è infilato, ha bisogno di sottolineare i buoni rapporti con la Chiesa “d’occidente”, organizzando saluti via Zoom con il Papa per ribadire di non essere isolato. Kirill conta ogni giorno le defezioni in casa sua, sempre più sacerdoti ucraini evitano di pronunciarne il nome nelle divine liturgie, sempre più metropoliti all’estero denunciano le mosse del Patriarca legato a doppio filo a Vladimir Putin. Lo spettro di diventare minoranza tra le minoranze, perdendo l’Ucraina che è anche il “granaio” del clero russo e rappresenta il trenta per cento dei fedeli legati a Mosca, è concreto. E anche quando le armi lasceranno il posto alla pace, le ferite profonde resteranno. Ogni domenica, mentre da Roma il Pontefice chiede che la guerra si fermi, da Mosca si risponde con nuove benedizioni della “operazione speciale” voluta dal Cremlino.
Ha senso, allora, continuare a discutere di un possibile incontro tra Francesco e Kirill? E’ disposta, la Chiesa cattolica, a una nuova photo opportunity con il cappellano di Putin che ritiene il conflitto in Ucraina una lotta santa contro l’Anticristo che minaccia i valori della cristianità ortodossa? Proprio ora che duecento preti ortodossi ucraini d’obbedienza moscovita firmano un appello in cui si chiede l’intervento dei Patriarchi orientali affinché condannino tesi di Kirill, ricordando che la deposizione dei Patriarchi è possibile, visto che nel 1666 Nikon fu privato della dignità episcopale e spedito in un monastero isolato. Kirill, si legge, “predica la dottrina del Russkij mir che non corrisponde agli insegnamenti ortodossi e dovrebbe essere condannata come eresia”.
Inoltre, “il Patriarca ha commesso crimini morali, benedicendo la guerra contro l’Ucraina e sostenendo pienamente le azioni aggressive delle truppe russe in Ucraina”. Il rischio è evidente: l’abbraccio con il Papa usato per indebolire l’opposizione interna, sempre più forte e determinata a sconfessare la linea di Kirill. La Santa Sede ha cercato fino all’ultimo di mantenere aperto un canale per evitare l’escalation, condannando l’aggressione ma senza mai ridurre la questione a inutili e controproducenti personalismi, utili per le polemiche su Twitter, meno per la soluzione dei conflitti. Bere un tè con Kirill, però, mentre quest’ultimo asperge con l’acqua santa i carri armati che poi vanno a Bucha e Mariupol, contribuirebbe a fornire al Patriarca la legittimazione di cui ha disperatamente bisogno.
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