Via crucis
Pregare insieme per i cristiani non è un optional, nemmeno in guerra
Nessuna "tregua di Dio". Le proteste dell'Ucraina sulla Via crucis condivisa con i russi feriscono la riconciliazione, almeno quella religiosa.
Dall’arte religiosa medievale del nord Europa, scendendo per i canali di una devozione intensa che arriva fino alla Pietà del Vaticano, c’è un’immagine mirabile della Passione che i Vangeli non considerano e che fa riferimento al titolo della XIII stazione della Via Crucis, quella che ha scatenato una desolante guerra religiosa dentro alla guerra più grande: “Gesù è deposto dalla Croce e consegnato alla Madre”. Alla Deposizione accenna il solo Giovanni, ma nessun testo ufficiale illumina quella “immagine del vespro”, Vesperbild è la parola esatta tedesca, cioè l’immagine dolorosa dei pochi istanti in cui il Figlio tirato giù dalla croce viene adagiato sulle ginocchia di Maria, che lo contempla incredula. In alcune, più rare, sculture lo accarezza. Non c’era stazione di Via Crucis più esatta, non c’era immagine di strazio comune più adatto per tentare di far pregare insieme – riconciliare? Sì, in fondo è l’incredibile ambizione della religione di Gesù – due famiglie, una russa e una ucraina, in rappresentanza se non di due popoli, almeno di tutte le madri e tutti i figli.
Poi è arrivato il tweet dell’ambasciatore di Kyiv presso la Santa Sede, che pure davanti alla prima cappella della navata di destra di San Pietro deve essere pur passato, Andrii Yurash: “L’ambasciata ucraina presso la Santa Sede comprende e condivide la preoccupazione generale in Ucraina e in molte altre comunità sull’idea di mettere insieme le donne ucraine e russe nel portare la croce durante la Via Crucis di venerdì al Colosseo”. Ma un ambasciatore è un ambasciatore, diverso è se l’arcivescovo greco-cattolico di Kyiv, sua Beatitudine Shevchuk, usa parole come chiodi: “Per i greco cattolici dell’Ucraina, testi e gesti della XIII stazione di questa Via Crucis sono incomprensibili e persino offensivi, soprattutto in attesa del secondo ancora più sanguinoso attacco delle truppe russe contro le nostre città e villaggi”.
L’opportunità di tentare un gesto così fortemente simbolico, così profondamente religioso, durante il rito supremo del Venerdì Santo guidato da Francesco, il Papa dei cattolici in persona, può essere valutata. Ma come spesso fanno i gesti simbolici di Bergoglio, sembra aver colto il punto, viste le reazioni. Del resto Matteo ammonisce: “Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello”. Forse, l’idea era di denunciare che la condizione evangelica non poteva essere rispettata. Dal punto di vista diplomatico, l’esito può essere anche più negativo, se nemmeno sua Beatitudine Shevchuk sembra avere gran voglia di accogliere Francesco in visita da Roma. Del resto anche il nunzio apostolico a Kyiv, mons. Visvaldas Kulbokas, ha rilasciato commenti che paiono più vicini all’umore degli ucraini che alla profezia del Papa: “Ho segnalato la reazione degli ucraini ai superiori in Vaticano”, ha detto: “Le chiese e organizzazioni religiose in Ucraina desiderano anch’esse adoperarsi per la riconciliazione, tuttavia sanno che di essa potranno parlare solo quando si ferma l’aggressione. E quando gli ucraini potranno salvarsi la vita e la libertà. E, naturalmente, sappiamo che la riconciliazione si realizza efficacemente solo quando l’aggressore ammette la sua colpa”.
Si potrebbe anche discutere – altri lo hanno fatto e faranno – se più che un gesto cristiano e profetico l’idea di far incontrare alla stessa stazione russi e ucraini, per quanto cristiani e in un rito sacro dei cristiani sia stata soltanto l’ennesimo esito impacciato di una condanna della guerra che la chiesa predica, ma che non riesce a mettere in pratica. Tutto si può dire, ma le cose stanno diversamente. La Via Crucis è un gesto soltanto religioso, di pura fede. Un tempo, nelle guerre cristiane, Papi e vescovi imponevano la tregua di Dio per la Pasqua. Cosa che oggi non c’è, e questo certo non facilita la preghiera comune. Ma nessuna guerra esime i cristiani dal dovere di farlo, per quanto appaia persino scandaloso (“scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani”).
E’ la religione di Gesù, che non ha detto “non vengo a celebrare la Pasqua a Gerusalemme finché voi tenterete di uccidermi”. Ci è andato, ed è andata come si sa: cioè da quel sacrificio è nata la più grande riconciliazione tra gli uomini, e tra Dio e gli uomini, che sia mai esistita. Non c’è null’altro, nel gesto della Via Crucis, niente politica e nient diplomazia. Certo, i cristiani si fanno la guerra. E le parole di Kirill tutti le conosciamo, ma non sono una scusa valida, per nessun cristiano. Imprimere a una guerra il tono di una guerra di religione, o santa, prima che un errore è un peccato, e questo il Papa ha il dovere di dirlo, soprattutto ai cristiani. Sapendo che le guerre di Dio sono anche peggio di quelle senza.