Chiesa, non Måneskin
Angelo Panebianco e la tentazione di ridurre le posizioni della chiesa a un tic anti-americano
Ieri, sul Corriere, in un pezzo attento a inquadrare i “tic riaffioranti” nel putinismo anti-occidentale di Luciano Canfora, Panebianco è incorso a sua volta in un tic frequente del pensiero liberale sull'anti-americanismo cattolico
Milano. Se la chiesa cattolica fosse una band come i Måneskin, circoscrivibile in un pensiero rock e binario, “fuck Putin”, sarebbe più semplice decifrarne i pensieri, collocarla sul palcoscenico del mondo – quasi mai tra i frontmen, al massimo una tribute band. Sfortunatamente la sua visione è sempre un et-et, e mai un aut-aut, in cui convivono idealità e realismo, accettazione delle guerre giuste e auspicio che si fermino comunque il prima possibile; appoggio alle ragioni ma senza in imposizione di ragioni. Carl Schmitt, che pure non la amava, sottolineava della chiesa la “multilateralità e ambiguità, il doppio volto, la testa di Giano, l’ermafroditismo” e le riconosceva che questo le permette di essere un “partito con una solida visione del mondo”. Tutto questo non può essere trascurato analizzando le sue posizioni, tanto più nel momento in cui la guerra di aggressione e legittima autodifesa si sta trasformando in uno scontro globale e destinato a ridisegnare gli equilibri mondiali. Ieri, sul Corriere, in un pezzo attento a inquadrare i “tic riaffioranti” nel putinismo anti-occidentale di Luciano Canfora, Angelo Panebianco è incorso a sua volta in un tic frequente del pensiero liberale: sull’“anti-americanismo cattolico ha radici antiche” e che “forse qualche storico delle religioni è in grado di spiegare".
Si chiede Panebianco “perché una parte di quel mondo (cattolico, ndr) preferisca di gran lunga dialogare con gli ortodossi russi (tradizionalmente asserviti al potere politico) piuttosto che con i protestanti anglosassoni”. Panebianco tralascia però di ricordare – anche qui uno storico delle religioni potrebbe spiegare – che è parimenti esistito un anti-cattolicesimo americano, e più aggressivo negli ultimi secoli dell’inimicizia (sanata nel 1965) con gli ortodossi. Questioni teologiche, ma anche diverse idee della società. Eppure andrebbe ricordato che nel Massachusetts, la culla della democrazia americana di Tocqueville, vigevano discriminazioni religiose pesanti contro i cattolici; che la pregiudiziale anticattolica nella politica americana è durata fino a Novecento inoltrato; che Washington e Santa Sede hanno relazioni diplomatiche piene solo dal 1984. Paolo VI fu il primo Papa ad andare a New York, ma ufficialmente a Palazzo di Vetro, l’amicizia tra Wojtyla e Reagan era di là da venire.
Panebianco giustamente ricorda che certe correnti cattoliche non perdonarono mai a De Gasperi la scelta atlantica (Dossetti ci rimase così male che lasciò la politica), ma il “suo” Papa, e poi di Andreotti, Pio XII sulla collocazione atlantica della chiesa non tentennò. Ciò che non gli impedì di rifiutarsi di benedire nuove guerre, persino con la prudenza esercitata nei confronti dei regimi comunisti. Oggi la posizione della chiesa fa appello alla cessazione del conflitto armato, pur avendo ribadito la giustizia di difendersi in armi, ma non può essere ridotta a tic anti-americano. C’entra una diversa valutazione dei conflitti. Leggeremo con interesse il nuovo libro di Massimo Franco, “Il Monastero - Nove anni di papato-ombra”, anticipato ieri dal Corriere forzando il titolo di pagina, tic giornalistico ricorrente: “Il problema di avere due Papi. Li divide il nodo dell’Europa”. Con buona pace di Franco e del suo titolista, nella chiesa, da nove anni, non esistono due Papi – di cui uno europeista e l’altro no. Benedetto XVI si è dimesso, è “emerito”, non guida in alcun modo la chiesa. Eppure tutta l’analisi gira attorno a un presunto “papato parallelo”. Una forzatura, e nemmeno così ingenua. La chiesa non è i Måneskin.
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