Le parole che il Papa non dice
S'infiamma il dibattito a sinistra sulla linea vaticana rispetto alla guerra. Un appello. Con qualche sorpresa
“L’unico modo per porre fine alla manipolazione della posizione del Vaticano da parte dei media statali ed ecclesiastici russi è smettere di produrre azioni e dichiarazioni che possono essere interpretate per alimentare la propaganda russa e fare dichiarazioni molto chiare e inequivocabili”
Roma. La guerra fratricida nell’Europa orientale, scatenata dagli stati maggiori di Vladimir Putin che ritenevano di poter piantare la bandiera russa nel cuore di Kyiv in tre-quattro giorni al massimo, ha portato a galla il problema di una diplomazia vaticana che, complice l’esuberante rottura d’ogni schema voluta e attuata da Papa Francesco, si barcamena ancora tra le condanne esplicite dell’aggressione sacrilega e disumana e la denuncia delle provocazioni della Nato, del suo “abbaiare alla porta della Russia” che forse, chi lo sa, ha scatenato l’ira del Cremlino. Qualche giorno fa, sul Regno, autorevole e seria rivista inquadrabile nell’area del cattolicesimo democratico italiano, tre docenti di varia nazionalità hanno scritto un saggio in cui si mette a fuoco la manipolazione da parte russa della posizione della Santa Sede. I firmatari sono Massimo Faggioli, storico che vive e insegna negli Stati Uniti, i tedeschi Thomas Bremer e Regina Elsner, l’austriaca Kristina Stoeckl.
Il concetto è che a Mosca ogni frase del Papa viene tradotta come conviene a Kirill e sodali, ogni gesto fatto in Vaticano è adattato alla narrazione volta a benedire la guerra santa putiniana. La colpa, scrivono gli autori, è di quel che accade a Roma: “Se il Vaticano intendesse porre fine alla manipolazione della sua posizione da parte del Patriarcato di Mosca, i responsabili dovrebbero prima di tutto riconoscere che questa manipolazione sta avvenendo e che la politica di equilibrio diplomatico del Vaticano porta a manipolazioni da parte della Chiesa ortodossa russa. Anche fare dichiarazioni che condannano la guerra di aggressione russa in Ucraina con maggiore chiarezza non è sufficiente di per sé, perché la parte russa semplicemente le ignorerà, poiché ignora anche le voci della sua Chiesa ortodossa ucraina”. Che fare, quindi? Risposta: “L’unico modo per porre fine alla manipolazione della posizione del Vaticano da parte dei media statali ed ecclesiastici russi è smettere di produrre azioni e dichiarazioni che possono essere interpretate per alimentare la propaganda russa e fare dichiarazioni molto chiare e inequivocabili”. Il fatto è che “Papa Francesco sembra interpretare la guerra in Ucraina come il risultato di un conflitto di interessi geopolitico tra Russia e Stati Uniti. Questa visione del conflitto presenta importanti lacune. E’ fuorviante l’idea che la Russia stia difendendo un legittimo interesse di sicurezza nazionale in Ucraina e che la Nato abbia presumibilmente violato questo interesse con le sue passate espansioni”. Vi sono poi, a cascata, considerazioni relative al dialogo ecumenico – peraltro già compromesso dopo le omelie di Kirill sul senso metafisico del conflitto e la definizione papale di “chierichetto di Putin” assai poco gradita dalle parti del Patriarcato.
C’è insomma, anche a sinistra, la messa in discussione della linea di condotta assunta dalla Santa Sede rispetto alla guerra, con il suo iniziale ondeggiare fra la comprensione per il dolore ucraino e le sottolineature sulle provocazioni dell’occidente bellicista. Un dibattito aperto, che va da chi sostiene la necessità di indire marce della nonviolenza sotto alle finestre di Putin, a chi va poco oltre lo scontato “costruiamo la pace” e a chi domanda di evitare uscite sensibili alla strumentalizzazione. “Ma oggi il Papa non dovrebbe dire altro e di diverso? Credo di no”, ha risposto lo storico Alberto Melloni. “Il suo muoversi talora scomposto fra diplomazia e profezia non ha bisogno di quella chiarezza che qualche voce gli ha chiesto dal Regno. Il Bergoglio-pensiero di oggi è infatti l’effetto di intuizioni e convinzioni solidificate da tempo” e “chi dunque si meraviglia non capisce che la lunghezza d’onda di Francesco è proprio diversa da quella prevalente in Europa e (meno) negli Stati Uniti”.
Si discute perché la realtà è fluida e segnata da una contraddizione che sarebbe necessario risolvere presto, quella sulla liceità o meno della guerra giusta. “Non esistono le guerre giuste, non esistono!”, ha detto il Papa il 18 marzo. Ieri, il segretario di stato, cardinale Pietro Parolin, ha spiegato che “c’è un diritto alla difesa armata in caso di aggressione a determinate condizioni”. La prima, è “quella della proporzionalità, poi il fatto che la risposta non produca maggiori danni di quelli dell’aggressione. In questo contesto si parla di ‘guerra giusta’”. Chiarirsi sull’esistenza o meno della guerra giusta, sarebbe un passo utile e benedetto.
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