Matteo Zuppi, il cardinale che da S.Egidio riporterà la Chiesa al centro del villaggio
L'arcivescovo di Bologna è stato scelto dal Papa per succedere a Bassetti. Nella terna proposta c'erano anche Lojudice e Raspanti. Una scelta logica ma non scontata
Il nuovo presidente della Cei non è il curato d’Ars, non è in cerca di beatificazioni e canonizzazioni. È uomo che conosce la politica, l’ha vissuta e prova ne sono i suoi legami più intimi e sinceri
Di sicuro la Cei a guida Zuppi tornerà a risplendere sulle prime pagine dei giornali, le sue assemblee e i suoi consigli permanenti faranno notizia, s’attenderà con trepidazione quel che il presidente dirà sui temi d’attualità, che siano relativi al ddl Zan o al fine vita. Per farsene un’idea è sufficiente consultare i profili social di autorevoli politici e rinomati intellettuali vicini alla Comunità di Sant’Egidio da cui Zuppi proviene, tutti uniti nell’applaudire la scelta che il Papa ha comunicato ai vescovi italiani riuniti in un hotel di Fiumicino: Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, cardinale, è il nuovo presidente della Cei. Succede a Gualtiero Bassetti, in carica dal 2017 e ormai ottantenne e in procinto nei prossimi giorni di lasciare anche la guida dell’arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve.
Non era affatto scontato che Francesco avrebbe, alla fine, scelto il presule romano mandato cinque anni fa a Bologna come successore di Carlo Caffarra. Certo, il Pontefice aveva fatto sapere via stampa di volere un “cardinale autorevole” e siccome le direttive vaticane avevano stabilito nei mesi scorsi che i vescovi non provvedessero ad eleggere presidenti uomini che avrebbero compiuto 75 anni durante il mandato, la scelta si restringeva a tre nomi: Augusto Lojudice, Angelo De Donatis e appunto Matteo Zuppi.
L’arcivescovo di Bologna aveva fatto sapere in via riservata di non cercare affatto tale carica (anzi), a qualche confratello aveva fatto capire che la personalità più adatta sarebbe stata mons. Erio Castellucci di Modena-Nonantola e Carpi. E poi le chiacchiere di bottega davano per favorito, nel cuore papale, Lojudice, l’ex ausiliare di Roma trasferito a Siena con marcato spirito “sociale” che potrebbe tornare nella Capitale stavolta come vicario. Due giorni fa, nel dialogo a porte chiuse con i vescovi, il Papa ha ripetuto che lui avrebbe voluto un cardinale perché, dopotutto, la Cei è sempre stata presieduta da un cardinale. Motivazione debole, considerato che proprio Francesco ha fin dal principio del pontificato scardinato consuetudini e prassi che si ritenevano consolidate. Abolendo di fatto le “sedi cardinalizie”, deprecando il carrierismo di quei presuli che da piccole sedi di provincia sgomitavano per arrampicarsi su cattedre più prestigiose foderate di rosso porpora.
Addirittura il Papa ha fatto nomi e cognomi, opponendosi all’elezione di Castellucci per il solo motivo che “non è cardinale”, tant’è che un vescovo ha preso la parola chiedendo in cosa consistesse allora “la libertà” data alla Conferenza di votare la terna. E non erano in pochi ad avere gli stessi dubbi se è vero che Castellucci di voti ne ha presi più di quaranta al primo scrutinio, sopravanzando anche Lojudice che poi è entrato nel terzetto da sottoporre al Papa come secondo. Terzo l’altro nome che circolava da tempo, il vicepresidente uscente Antonino Raspanti, vescovo di Acireale. Francesco avrebbe potuto scegliere chiunque, ma dopo aver fatto cambiare lo Statuto cinque anni fa e aver espresso il “desiderio” di vedere eletto un cardinale, un colpo di scena sarebbe stato strano. Appena due ore dopo la scelta dei tre nomi, infatti, ha scritto a Bassetti comunicandogli che Zuppi andava benissimo.
Il nuovo presidente, con il garbo che gli è proprio, ha voluto salutare i giornalisi nel pomeriggio di ieri: niente domande, per quelle ci sarà tempo venerdì al termine dell’Assemblea generale. Però dalle sue poche parole già si comprende la linea che la Cei seguirà nell’avvenire. Un mandato, il suo, che sarà all’insegna della “obbedienza al primato, nella collegialità e nella sinodalità”. Sono queste, ha detto, “le tre dinamiche che mi accompagneranno”. Due le grandi sfide davanti alla Chiesa italiana, la pandemia e la guerra. Una Chiesa che continuerà a essere impegnata “nel cammino sinodale, che non è un Sinodo strutturato”, ma è pur sempre qualcosa di rilevante e nuovo. Una Chiesa “in ascolto e l’ascolto ferisce”, ha sottolineato, e chissà se è un’anticipazione di quel che potrà accadere rispetto a un altro tema destinato a dominare il dibattito episcopale dei prossimi mesi, la possibile indagine sui casi d’abuso nel clero. Ha ricordato i suoi predecessori, dal cardinale Poma al cardinale Poletti, da Ruini e Bagnasco “ai quali ho già chiesto udienza”, fino a Bassetti.
Si apre un capitolo nuovo nella vita della Chiesa italiana. Fermarsi alla solita e un po’ stantia melassa sull’essere prete di strada e vicino agli ultimi; sul suo andare in bicicletta e dormire nella casa del Clero e non nell’arcivescovado di Bologna farebbe torto prima di tutto a lui. Matteo Zuppi non è il curato d’Ars, non è in cerca di beatificazioni e canonizzazioni. E’ uomo che conosce la politica, l’ha vissuta e prova ne sono i suoi legami più intimi e sinceri. Lo si è visto lo scorso gennaio, a Roma, quando fu chiamato a celebrare i funerali di David Sassoli, l’amico di una vita morto dopo lunghe sofferenze. Per lui, disse il cardinale nell’omelia , “la politica era, doveva essere per il bene comune e la democrazia sempre inclusiva, umanitaria e umanista. Ecco perché voleva l’Europa unita e con i valori fondativi, che ha servito perché le sue istituzioni funzionassero, che ha amato perché figlio della generazione che aveva visto la guerra e gli orrori del genocidio e della violenza pagana nazista e fascista, dei tanti nazionalismi, figlio della resistenza e dei suoi valori, quelli su cui è fondata la nostra Repubblica e che ha ispirato i nostri padri fondatori”. Ancora, “non ideologie, ma ideali; non calcoli, ma una visione perché anche l’Europa non può vivere per se stessa, perché il cristianesimo non è un’idea, ma una persona, Gesù, che passa attraverso le persone e nella storia”.
La Cei tornerà a vivere nel dibattito pubblico, come ai tempi della lunga stagione ruiniana. Se non per il coraggio dei suoi membri nel far sentire la propria voce riguardo ai temi più divisivi, di certo per l’autorevolezza del suo presidente, apprezzato a destra e a sinistra, dagli editori e dai circoli intellettuali, così come dai semplici fedeli che lo considerano un parroco sapiente che ha sempre una buona parola per tutti. Una stagione nuova che dal cammino sinodale alla questione degli abusi si preannuncia tutt’altro che noiosa.