Il nuovo Marx che vuole rivoluzionare la chiesa cattolica
Nella confusione gesuitica di questo papato sembra nato un asse franco-tedesco: il sinodo francese vuole i preti sposati, e l’arcivescovo di Monaco e Frisinga (messe Lgbtq, donne alla predica) si muove sulla stessa scia
Nella chiesa cattolica parrebbe essere nato l’asse franco-tedesco. Il sinodo francese vuole i preti sposati contro una tradizione desueta, sesso e matrimonio, immagino anche la boda gay; trovato l’antidoto alla rapacità sessuale esercitata sui bambini in dimensioni mostruose, come attesta la incredibile commissione Sauvé finanziata dalla conferenza episcopale francese per farsi dire da sociologi, giuristi e psichiatri che la loro storia dell’ultimo secolo è un mezzo manicomio di brutture e scempio. Il cardinale Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, si muove e da tempo sulla stessa scia, messe Lgbtqi+, via il celibato, donne alla predica e chissà, delle chiusure di san Giovanni Paolo II si dovrà discutere. Il prete di Trento, con tutte le impotenti invocazioni curiali e papiste alla castità, anche prematrimoniale, contro il pastore della chiesa invisibile di Lutero, il sacerdote universale del popolo di Dio.
Il grande Congar, uno stinco di teologo, accusava Lutero di marcionismo, pur avendolo letto e interpretato anche con stile magistrale: marcionismo, vale a dire puritanesimo iperpaolino, una chiesa evangelica e interiore, delle origini, pura, purissima, che alla fine rigetta sacramenti, istituzione, e soprattutto l’Antico Testamento e la legge mosaica. Cose complicate, da studiare perbenino. (A me sembra che le chiese uscite dalla Riforma siano risultate in un bel pasticcio secolarista, perché Lutero era un genio teologico sconfinato, e un uomo e un eretico dal fascino metastorico, ma non un promotore ecclesiale, nonostante lo sforzo del catechismo per i bambini e altre commendevoli uscite contro la sinistra münzeriana e anabattista, e lasciamo da parte i toni apocalittici da orso bruno, perdoniamoli).
Ma il nostro Marx, che della chiesa sta al vertice, nella immensa confusione gesuitica di questo papato in cui nessuno è più capace di raccapezzarsi, semplifica tutto in un linguaggio estremamente comprensibile. “E’ la chiesa che deve cambiare, non il mondo”. Lo dice letteralmente così. Questo è il punto. E qui si spiega anche la spietata avversione di Francesco per i movimenti ecclesiali del Novecento così amati dai suoi due ultimi predecessori. Come dimostra anche la silloge in preparazione degli articoli del compianto Luigi Amicone, morto nell’ottobre di un anno fa, l’anarco-resurrezionalista fondatore di Tempi e amico dei foglianti, i movimenti erano uniti dall’idea opposta: la vita contemporanea è diventata una “passione inutile”, e il suo sentimentalismo senza Cristo, il suo spiritualismo, la sua festività sessuale lo dimostrano.
Ciascuno la pensi come vuole e come può, ma certo la teologia dei giussaniani e degli altri era un tentativo di invocare un cambiamento, nel mondo e del modo da parte di una chiesa che non è del mondo. Avevano il problema del sale cristiano, dell’elemento di contraddizione senza del quale tutto è perduto. I Marx e i Kasper e gli altri teologi in ginocchio cancellano con un tratto di pensiero debole questa intuizione forte, questo bisogno fortissimo, che oggi non ha più interpreti se non in certe resistenze tradizionaliste che producono spesso il peggio kirillico e non hanno la statura popolare necessaria alla grande istituzione in perpetuo declino, con un ritardo di duecento anni, come diceva il compianto gesuita Martini, sul mondo generato dalla Rivoluzione francese. Io da vecchio comunista e poi anticomunista, tendenza Ucraina, non rinuncio all’idea di una spazzolata al mondo com’è, ma devo rassegnarmi a una chiesa cattolica che si avvia a riporre la spazzola nel cassetto delle convenienze e dei dossier modernisti. Ci vuole pazienza.