politica cristiana
Due idee per la Chiesa di Zuppi: o fare un partito o lasciar perdere
Tra l’irrilevanza e la lagna delle buone parole, meglio tornare in politica. Oppure sia non expedit. Il cardinale ha già elencato dei temi chiave: "Le povertà in aumento, l’inverno demografico, la protezione degli anziani, i divari fra i territori, la transizione ecologica e la crisi energetica"
Che “Giorgia” sia “cristiana” è l’aspetto che meno rileva rispetto alla sua futura azione di governo. La nuova legislatura è definitivamente affrancata dalla presenza e/o influenza cattolica, in Parlamento l’unico partito che si richiama alla tradizione (demo)cristiana è ridotto a nulla. Ciò nonostante il cardinale Matteo Zuppi, dopo l’appello “Osare la speranza” diramato dalla Cei prima del voto, ecumenico e generico, ha voluto mandare anche un messaggio post ai partiti, per richiamarli “all’alta responsabilità”. Anche il predecessore Camillo Ruini è intervenuto con un’intervista di commento. La discrepanza fra la totale irrilevanza cattolica in politica e gli appelli e i richiami di buona volontà non può non colpire.
Che provengano (soprattutto) dalle gerarchie, o da associazioni e movimenti, le parole sono inversamente proporzionali all’incidenza delle scelte. Il tema dell’irrilevanza politica dei cattolici è sfaccettato, come ha ben spiegato mercoledì Matteo Matzuzzi. Ma sintetizzando, o estremizzando un poco, la questione è più semplice: la vittoria della destra, non più centrodestra, segna la fine della Seconda Repubblica. In quel periodo, chiusa per mano poliziotta la Dc, la gerarchia ha provato a sostituirsi al partito cattolico – e al laicato – in un ruolo che Ruini lamentava essere “di supplenza”, ma non lamentandosene troppo.
Prima scommettendo su una “rilevanza” sbilanciata verso Berlusconi: è finita come sappiamo, e da una decina d’anni. Poi, negli anni di una Cei di polso più debole, l’indicazione latente è stata per un collateralismo d’area Pd. Il voto del 25 settembre certifica che anche quella strada è chiusa, e il fatto che a spegnere le luci sia un segretario post andreattiano la dice lunga su un fallimento storico. Su cui probabilmente rifletterà anche monsignor Zuppi, lui che aveva indicato nell’esempio del suo amico David Sassoli un punto ideale di riferimento. Negli ultimi anni c’è stato anche il breve valzer di palazzo (e di “partito gesuita”) per accreditare un fronte neocentrista attorno all’operazione alchemica di Giuseppe Conte: è finita ancora peggio.
Della difficoltà di una prospettiva, se non organizzata almeno non pulviscolare, dei cattolici si discute da anni, come della ormai esigua forza d’urto che potrebbero mettere in campo, anche al netto delle opposte inconcludenze dei gruppi che si sono buttati a destra per motivi valoriali o a sinistra cullando utopie altermondialiste. Ma la chiara insistenza del nuovo capo della Cei su un necessario impegno (dopo il naufragio delle parole di Papa Francesco a Firenze), una riflessione la suggerisce. Quindici anni dopo Ruini, Zuppi impersona, proprio come Ruini, il profilo del miglior politico cattolico oggi su piazza (detto senza irriverenza, ça va sans dire). Ma ha visione, comunicativa, idee, persino una rete di rapporti in mondi che con la politica vivono pieds dans l’eau.
Visto lo sfacelo dei partiti tradizionali e la mancanza di qualsivoglia élite credibile nel guidare il popolo, anziché perpetuare i soliti appelli di buon senso e senza guizzi; anziché commentare a ogni voto la preoccupazione per il declino del paese; anziché limitarsi a una moral suasion inascoltata persino dai cristiani praticanti; anziché dividersi tra episcopati di destra e sinistra, ognuno col suo sperduto gregge; anziché la più devastante delle inutilità storiche, perché non mettere sul tavolo il tema di un partito politico? Chiamatelo Cattolici & friends, chiamatelo Partito Dio ci aiuti, o come volete. Ma se c’è un resto d’Israele tanto vale. Prendere i voti sarà altra faccenda, ma farlo non è difficile: si coopta il meglio degli intellò (alla Costituente furono cooptati “i professorini” della Fuci, la miglior classe dirigente cattolica mai vista); si fanno indicare con metodo rigidamente proporzionale i rappresentanti di associazioni, gruppi, movimenti, non profit; si cooptano professionisti, giuristi, amministratori.
E si stende un programma: basta la dottrina sociale, no? Senza identitarismi e valori non praticabili: progetti di leggi positive e buoni compromessi. I temi li ha già elencati Zuppi: “Le povertà in aumento, l’inverno demografico, la protezione degli anziani, i divari fra i territori, la transizione ecologica e la crisi energetica, la difesa dei posti di lavoro, soprattutto per i giovani, l’accoglienza, la tutela, la promozione e l’integrazione dei migranti, il superamento delle lungaggini burocratiche, le riforme dell’espressione democratica. Poi si ordina – sì, si ordina – al laicato di aprire sezioni, scuole di politica, di battere a tappeto parrocchie, oratori, movimenti più o meno carismatici per garantire i voti al prossimo giro. C’è da perdere qualcosa? L’alternativa, se si vuole evitare il perpetuarsi della lagna, è dichiarare un bel non expedit: i cristiani sono tenuti a non occuparsi di politica, tanto sono inutili. E non sarebbe nemmeno male, forse. L’importante è decidersi.