L'ultima carta del Papa: appellarsi direttamente a Putin e Zelensky
Interrotti i contatti con Kirill, non resta che rivolgersi ai due capi di stato per fermare "l'orrore", questa "spirale di violenza e morte"
Nel frattempo il metropolita Antonij di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, conferma che i rapporti con il Vaticano sono congelati
È la seconda volta che il Papa dedica l’intero Angelus a un singolo e specifico tema. La prima volta fu nel 2013, quando sembrava imminente l’attacco occidentale alla Siria di Bashar el Assad, reo d’aver superato le “linee rosse” fissate a suo tempo a Washington come limite oltrepassato il quale sarebbe scattata la reazione del mondo libero. Andò bene: la veglia di preghiera, il digiuno e la mobilitazione generale volute da Francesco scongiurarono la guerra e contribuirono di fatto a far restare in sella il presidente siriano. Determinante fu, come noto, la lunga lettera che Bergoglio inviò a Vladimir Putin, presidente di turno del G20, scongiurandolo di fare il possibile per bloccare i caccia già pronti a partire in direzione di Damasco. Stavolta, è proprio Putin il primo destinatario dell’accorata supplica papale affinché fermi “anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte”.
Francesco elenca le città martiri d’Ucraina, note al mondo per le fosse comuni e i massacri. Si stringe accanto alla popolazione locale, la vittima di questa “immane tragedia”, “errore e orrore”, ma ribadisce ancora una volta che non è umiliando l’aggressore che il conflitto finirà. In ogni caso, che vi siano pochi dubbi sul principale destinatario del messaggio papale lo si capisce dalla condanna degli sviluppi conseguenti all’annessione delle regioni tramite referendum: “Deploro vivamente – ha detto il Papa – la grave situazione creatasi negli ultimi giorni, con ulteriori azioni contrarie ai princìpi del diritto internazionale. Essa, infatti, aumenta il rischio di un’escalation nucleare, fino a far temere conseguenze incontrollabili e catastrofiche a livello mondiale”. Di più, Francesco non può fare. Il Pontefice non ha alcuna possibilità di mediare né, almeno in questa fase, di facilitare una mediazione tra le Parti. Non lo vogliono i russi e neppure gli ucraini: in Vaticano da sempre sospettano che gli inviti a visitare Kyiv servano a mettere in piedi una sorta di spot in chiave nazionalista con il Papa attorniato da bandiere gialloblu mentre le autorità locali in diretta televisiva mondiale lanciano strali contro il Cremlino e invocano più armi e l’ingresso nella Nato. Un “evento” che schiaccerebbe la Chiesa cattolica sulle posizioni atlantiste (e quindi americane), sgretolandone l’immagine di autorità spirituale superiore cui interessa solo e soltanto il raggiungimento della pace. L’appello del Papa è alto e finemente cesellato, non a caso diversi osservatori hanno visto analogie con il discorso che Giovanni XXIII fece nel 1962 per scongiurare la guerra nucleare fra gli Stati Uniti e l’Unione sovietica che pareva imminente dopo la crisi dei missili a Cuba. E’ una posizione realista: il colpevole è Putin ed è bene che si fermi, ma il conflitto non avrà termine se la vittima (Zelensky) non accetterà di sedersi a un tavolo per negoziare, mostrandosi anche disponibile – di fatto – a cedere qualcosa. Numerosi, verrebbe da dire, i punti di contatto con quanto da mesi va dicendo Henry Kissinger, che di negoziati e di realismo politico se ne intende come pochi.
La diplomazia vaticana va avanti sottotraccia e in silenzio, facendo quel (poco) che può date le circostanze, rese ancor più complicate dalla chiusura di ogni contatto con il Patriarcato di Mosca. Dopo la decisione di Kirill di non recarsi in Kazakhstan il mese scorso – e quindi di non incontrare il Papa – la certificazione del gelo calato fra Mosca e Roma è stata data nel corso del programma televisivo “Chiesa e pace” su Russia 24, dal metropolita Antonij di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato moscovita, colui che pochi mesi fa ha preso il posto di Hilarion, la cui “moderazione” rispetto al conflitto l’ha fatto finire esiliato in Ungheria. “In questa fase – ha osservato il metropolita – devo dire che alcuni dei commenti che leggiamo e ascoltiamo non solo dalle labbra del Papa, ma dalla maggior parte dei suoi assistenti, non contribuiscono assolutamente alla preparazione di un incontro e alla nostra ulteriore cooperazione”.