Il capo della Chiesa ucraina dona al Papa la scheggia di una mina russa: "È una guerra coloniale"
Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk ha lasciato per la prima volta il suo paese dallo scoppio della guerra. Francesco ribadisce vicinanza al "martoriato popolo ucraino"
L'ambasciatore di Kyiv presso la Santa Sede critico con Francesco: "Per comprendere ‘l’umanesimo’, in cui crede il Papa, sarebbe sufficiente vedere come stanno ‘godendo’ di questo ‘umanesimo’ 4,5 milioni di ucraini"
Per la prima volta dall’inizio della guerra in Ucraina, l’arcivescovo maggiore di Kyiv, Sviatoslav Shevchuk, ha lasciato il paese. Questa mattina è stato ricevuto in udienza dal Papa, al quale ha donato il frammento di una mina russa che ha distrutto la facciata dell’edificio della chiesa greco-cattolica ucraina a Irpin’, lo scorso marzo. Francesco ha rinnovato la sua vicinanza al “martoriato popolo ucraino”, ribadendo ancora una volta l’impegno della Santa Sede per la cessazione delle ostilità e per una pace giusta. Il Pontefice ha anche incoraggiato tutta la Chiesa ucraina a “un servizio evangelico di prossimità al popolo sofferente, oppresso dalla paura e dalla violenza bellica”. Dal canto suo, Shevchuk ha detto che “la guerra in Ucraina è una guerra coloniale e le proposte che vengono dalla Russia sono proposte di pacificazione coloniale”. Proposte che, ha aggiunto, “implicano la negazione dell’esistenza del popolo ucraino, della sua storia, cultura e anche della Chiesa. E’ la negazione dello stesso diritto all’esistenza dello stato ucraino, riconosciuto dalla comunità internazionale con la sua sovranità e integrità territoriale. Su queste premesse, le proposte della Russia mancano di un soggetto di dialogo”. L’arcivescovo maggiore – che ha raccontato al Papa quanto visto visitando i territori più colpiti dalle ostilità – ha ringraziato Francesco per ciò che è stato fatto per fermare la guerra e mediare la pace, liberare ostaggi e prigionieri, organizzare la solidarietà universale della Chiesa cattolica a favore del popolo ucraino sofferente.
La giornata romana del massimo esponente della gerarchia greco-cattolica ucraina era iniziata con la lettura dei commenti dell’ambasciatore di Kyiv presso la Santa Sede assai critici riguardo all’intervista a bordo dell’aereo concessa dal Papa di ritorno dal Bahrein. Interpellato a proposito della guerra, Francesco aveva infatti detto: “A me colpisce la crudeltà, che non è del popolo russo, forse… perché il popolo russo è un popolo grande, è dei mercenari, dei soldati che vanno a fare la guerra come a fare un’avventura, i mercenari… Io preferisco pensarla così perché ho un’alta stima del popolo russo, dell’umanesimo russo. Basta pensare a Dostoevskij che fino ad oggi ci ispira, ispira i cristiani a pensare il cristianesimo. Ho un grande affetto per il popolo russo e anche ho un grande affetto per il popolo ucraino”. Su Twitter, l’ambasciatore Andrii Yurash replicava: “Per comprendere ‘l’umanesimo’, in cui crede il Papa, sarebbe sufficiente vedere come stanno ‘godendo’ questo ‘umanesimo’ 4,5 milioni di persone rimaste senza elettricità e acqua”. Aggiungeva Yurash: “A ordinare i bombardamenti e l’uso dei lanciarazzi non sono mercenari, ma sinceri ‘umanisti’ seguaci di Dostoevskij”. Il messaggio affidato ai social rende evidente quanto complicato sia, per la Santa Sede, porsi in una posizione mediana capace di facilitare un negoziato tra le Parti in causa, come invocato anche dal presidente francese Emmanuel Macron. Il Papa sarebbe disponibile – l’ha detto e ribadito più volte – ma gli ostacoli maggiori giungono proprio da Mosca e Kyiv. Per l’Ucraina è impensabile mettere sullo stesso piano, in un eventuale tavolo delle trattative, le ragioni degli aggressori e quelle degli aggrediti, Mosca invece avrebbe più d’una difficoltà interna ad affidarsi al ruolo di mediatore del capo della Chiesa cattolica che, non più tardi di qualche mese fa, definì il Patriarca Kirill “chierichetto di Putin”.
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