Un Papa pasticcione fa perfino simpatia, ma è mista a pena

Giuliano Ferrara

Il pasticcio globale, montato come la panna, sfocia nell’incidente a ripetizione, in sceneggiate incomprensibili che tolgono ossigeno sacrale a un organismo ridotto all’accoppiamento impuro con le metodologie e le liturgie del mondo
 

Che dire del papa pasticcione? Fa perfino simpatia, umanamente, un sovrano assoluto e una grande, forse la maggiore, autorità carismatica alle prese con una banale intercettazione da parte di un suo cardinale, che lo titilla e lo provoca pro domo sua, con un corteggio di amici e parenti all’ascolto, allo scopo di acquisire documenti e una testimonianza a difesa in un processo per malversazione, e lo fa nei primi giorni della sua convalescenza dopo un intervento chirurgico importante. Faceva simpatia quando nominò per un incarico delicatissimo, con un chirografo, cioè indicazioni di sua propria mano, un brasseur d’affaires rivelatasi incompatibile con elementari criteri di deontologia professionale. Per non parlare di tutto l’ambaradan di ostentazioni, nascondimenti, disdoro, penitenza e giustizialismo nelle questioni relative alla campagna mediatico-finanziaria condotta da legioni di nemici della chiesa sul tema della pedofilia del clero.

Simpatia mista a pena, autentica pena per la guida di un’istituzione universale ridotta a un ruolo malamente secolarizzato, omologato al peggio della cronaca, e colpita nel suo primo simbolo temporale e spirituale insieme.

Comunque la si pensi su aggiornamento e rottura nella tradizione cattolica, il papato è una cosa seria o dovrebbe esserlo, la sua misura di autorevolezza è anche in una certa distanza protocollare dai rischi della piccola e malata amministrazione del quotidiano, affari di giustizia particolari, gestione per così dire del personale, accuse e smentite, grandi personalità lasciate prive di difese, abbandonate ai cani come fu per il cardinale Pell, governo permissivo e disordinato della questione dei sacramenti. All’inizio di Francesco stavano il richiamo alla misericordia, alla tenerezza, alla povertà intesa come immersione nella vita comune, come rinuncia alla regalità innata del ruolo, il ferro dei crocefissi al posto dell’oro, la modestia liturgica, l’abbandono degli appartamenti apostolici, la mensa in comune a Santa Marta, tutto in nome dell’amore, divorzio e gay culture, con l’aborto e la morale considerati vecchi arnesi di propaganda clericale, tutto in nome dello sconfinato one love che ormai è mosso quasi esclusivamente da sentimenti di egualitarismo sessuale, dalla cancellazione delle differenze di genere, dalla rielaborazione culturale di quel che apparterrebbe per ipotesi alla natura e alla sua pur confusa razionalità di cui non importa più niente a nessuno.

All’inizio. Ora, in men che non si dica, siamo alle tensioni scismatiche della sinodalità, in Germania e negli Stati Uniti, il pasticcio globale è montato come la panna, la trasparenza e il tentativo dissennato di recuperare in un soffio duecento anni di laicità e modernità, con la chiesa di Martini che si faceva discente dall’alto dei suoi due millenni abbassati ai risultati della Rivoluzione francese, sfocia nell’incidente a ripetizione, in sceneggiate incomprensibili che tolgono ossigeno sacrale a un organismo ridotto all’accoppiamento impuro con le metodologie e le liturgie del mondo. Teatro inquietante di un declino affacciato sul vuoto intellettuale. Ora anche la rottura della relazione diplomatica discutibile e discussa con il potere cinese, che se ne fotte degli accordi di condivisione su diocesi e vescovi, mette ai ceppi i cardinali papisti e dissenzienti, procede nell’esercizio abusivo di un potere religioso e sacramentale, e punta sempre più all’assimilazione nazional-patriottica della chiesa antiromana. Dei gesuiti, decisamente, questo papa trattiene il sorriso cinico verso il mondo, come se lo si potesse abbracciare senza pagare dazio, e un’idea manovriera e politica dell’esercizio del potere culturale e religioso, ma non la tecnica di quell’esercizio, che fu vanto e blasone insigne della Compagnia. Che spettacolo.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.