Inaspettato elogio della politica. Il gran discorso poco mainstream dell'arcivescovo di Milano
“È facile deprecare i comportamenti dei politici, io voglio incoraggiarli”. Apprezzamento per chi decide di impegnarsi per il bene comune. Il discorso di Mario Delpini per Sant’Ambrogio
Pubblichiamo un estratto del disocrso di monsignor Mario Delpini alla città e alla diocesi pronunciato ieri nella Basilica milanese di Sant’Ambrogio.
Il discorso alla città non è una forma di presunzione, come se il vescovo avesse qualche cosa da insegnare alla città e a coloro che l’amministrano e vi esercitano la responsabilità. E’ piuttosto un’occasione per esprimere la gratitudine per il servizio reso alla città e a tutti i comuni della diocesi dai sindaci e da tutti coloro che collaborano per l’amministrazione comunale, dagli operatori della sanità e dell’educazione, dalle forze dell’ordine, dai magistrati, dalle autorità provinciali e regionali.
Desidero dunque esprimere la mia riconoscenza e la riconoscenza della comunità della diocesi ambrosiana perché riconosco segnali di condivisione dei sentimenti profondi e di quelle attitudini di cui ho tessuto l’elogio. Mi sembra, infatti, che tutti coloro che hanno responsabilità vivano quell’inquietudine provocata dall’interrogativo: e gli altri?
E gli altri, i bambini che subiscono violenze e abusi? Le altre, le donne maltrattate, umiliate, picchiate in casa? E gli altri, gli anziani soli, chiusi nelle loro case per paura, per abitudine, perché impossibilitati a partecipare alla vita sociale? Gli altri, quelli che non hanno voce, quelli che abitano la città senza che noi ce ne accorgiamo? Gli altri, quelli per cui non abbiamo stanziato risorse sufficienti? E gli altri, quelli che non vanno a scuola, quelli che non lavorano? E gli altri, quelli che non hanno casa, quelli che non hanno assistenza sanitaria? E gli altri, quelli che lavorano troppo e sono pagati troppo poco? E gli altri, quelli che subiscono prepotenze, estorsioni, ricatti dalla malavita organizzata che si insinua dovunque può conquistarsi profitti e potere? E gli altri, i ragazzi che si associano per commettere violenze, per rovinare i muri della città e le cose di tutti, per rovinare la propria giovinezza e rendersi schiavi di dipendenze spesso irrimediabili?
Mi sembra che coloro che hanno responsabilità per il bene comune coltivino quel realismo della speranza che incoraggia ogni giorno a fare il proprio dovere, a pensare, a dialogare, a decidere, a interrogarsi sulle vie da percorrere. Chi ha responsabilità ha bisogno, più che del volontarismo, della speranza e del realismo per prendersi cura dell’insieme della comunità, della città, del proprio ambito.
C’è bisogno del realismo della speranza: chi ha responsabilità, infatti, deve guardare lontano. La po- polarità o l’interesse, il prestigio o il vantaggio personale sono guadagni troppo meschini e troppo improbabili per motivare un impegno quotidiano spesso logorante e poco confortato da risultati.
Si deve affermare che la cura per il bene comune, oltre il proprio interesse o l’interesse del proprio partito, l’impegno che trova motivazione nell’inquietudine e nel realismo della speranza si chiamano “politica”.
Voglio perciò fare l’elogio della politica, di questa politica.
E’ più facile e consueto deprecare i comportamenti dei politici, irridere all’impotenza dei politici e all’inefficacia delle leggi, denunciare fallimenti, errori. Una sorta di scetticismo pervade l’animo lombardo nei confronti delle intenzioni e dei risultati dell’azione legislativa e dell’applicazione delle leggi.
Un brano memorabile di questo scetticismo è stato scritto da quel gran lombardo che è Alessandro Manzoni, di cui nel 2023 ricorderemo i 150 anni dalla morte. Scrive dunque Manzoni nei Promessi sposi a proposito delle “gride” contro i delinquenti del tempo antico, i cosiddetti “bravi”: “La forza legale non proteggeva in alcun conto l’uomo tranquillo, inoffensivo, e che non avesse altri mezzi di far paura altrui. Non già che mancassero leggi e pene contro le violenze private. Le leggi anzi diluviavano; i delitti enumerati, e particolareggiati, con minuta prolissità; le pene, pazzamente esorbitanti e, se non basta, aumentabili, quasi per ogni caso, ad arbitrio del legislatore stesso e di cento esecutori; le procedure, studiate soltanto a liberare il giudice da ogni cosa che potesse essergli d’impedimento a proferire una condanna [...]. Con tutto ciò, anzi in gran parte a cagion di ciò, quelle gride, ripubblicate e rinforzate di governo in governo, non servivano ad altro che ad attestare ampollosamente l’impotenza de’ loro autori; o, se producevano qualche effetto immediato, era principalmente d’aggiunger molte vessazioni a quelle che i pacifici e i deboli già soffrivano da’ perturbatori, e d’accrescer le violenze e l’astuzia di questi. L’impunità era organizzata, e aveva radici che le gride non toccavano, o non potevano smovere” (A. Manzoni, “I promessi sposi”, cap. I).
Voglio fare l’elogio della politica che si esprime nella democrazia rappresentativa, il sistema costituzionale in cui viviamo, esito di un doloroso travaglio, della tragedia della guerra, dell’oppressione della dittatura, della sapienza dei legislatori.
Voglio esprimere apprezzamento e incoraggiamento per tutti i cittadini che in questa politica si impegnano, per quelli che accettano di essere candidati nel servizio delle comunità locali. L’elogio della democrazia rappresentativa chiede che ci sia un impegno condiviso per contestare e correggere la sfiducia che è presente in chi non vuole essere coinvolto, si chiude nel proprio punto di vista e non si interessa degli altri, pretende che siano soddisfatti i propri bisogni ma non si cura del bene dell’insieme.
Voglio fare l’elogio della democrazia rappresentativa che convoca tutte le componenti della società a costituire un “noi” radunato da un senso di appartenenza e di legittima pluralità per praticare il realismo della speranza, per costruire la giustizia e la pace.
Voglio fare l’elogio della partecipazione che non si accontenta di esprimere il voto per il proprio partito e il proprio candidato, ma che discute, ascolta, offre le proprie idee, pretende supporto per le forme di aggregazione e di presenza costruttiva nel sociale per prendersi cura degli altri, soprattutto di quelli che non contano, non parlano, non votano.
Voglio fare l’elogio di un sistema che dà agli eletti il mandato di prendersi cura del bene comune chiedendo loro di rendere conto, di promuovere la sussidiarietà −– evitando l’anacronistico schema pubblico-privato – e di svolgere un’opera di mediazione tra i diversi interessi.
Voglio fare l’elogio della politica che, volendo rappresentare tutti, si prende cura di chi è più fragile e bisognoso e −– disponendo di risorse limitate – considera in primo luogo i servizi più necessari e coloro che non hanno risorse: i disabili gravi, gli anziani soli, le famiglie in povertà.
Ci ricorda ancora Papa Francesco: “Voglio ricordare quegli ‘esiliati occulti’ che vengono trattati come corpi estranei della società. Tante persone con disabilità ‘sentono di esistere senza appartenere e senza partecipare’. Ci sono ancora molte cose ‘che [impediscono] loro una cittadinanza piena’. L’obiettivo è non solo assisterli, ma la loro ‘partecipazione attiva alla comunità civile ed ecclesiale. E’ un cammino esigente e anche faticoso, che contribuirà sempre più a formare coscienze capaci di riconoscere ognuno come persona unica e irripetibile. Ugualmente penso alle persone anziane ‘che, anche a motivo della disabilità, sono sentite a volte come un peso’. Tuttavia, tutti possono dare ‘un singolare apporto al bene comune attraverso la propria originale biografia’” (Papa Francesco, “Fratelli tutti”, 98).
Mario Delpini, arcivescovo di Milano