L'intervista
“Benedetto XVI non ha chiuso gli occhi di fronte alla crisi dell'occidente”. Parla Mosebach
Lo scrittore tedesco, vincitore del Premio Büchner, ricorda Papa Ratzinger: "La sua figura ha incarnato l’epoca scomparsa in cui fede, arte e filosofia erano unite. Ha promosso i suoi nemici ovunque”
Martin Mosebach, vincitore del Premio Büchner, è rimasto scioccato a gennaio quando ha sentito della stretta del Vaticano sulla messa in latino. “Avevo pensato che, in uno spirito di cortesia curiale, avrebbero aspettato la morte di Benedetto XVI”, scrisse il più famoso scrittore cattolico tedesco sulla Welt. Ora che Benedetto è morto, Mosebach torna a riflettere con libertà di tono sul pontificato di Ratzinger. “La sua abdicazione è stata uno choc. Benedetto era il migliore che si potesse scegliere per succedere a Giovanni Paolo II”.
Come sarà ricordato il papato di Ratzinger? “Temo che inizialmente sarà visto come una figura tragica”, dice Mosebach. “Il suo grande progetto, la lotta contro una ‘ermeneutica della rottura con la tradizione della Chiesa’ a favore di una ‘ermeneutica della continuità’, è stato anticipato dalle sue dimissioni e destinato al fallimento. Ma non illudetevi, a lungo andare questo dibattito continuerà, perché dal suo esito dipende l’esistenza della Chiesa cattolica. Ha lasciato la vittoria agli ermeneuti della rottura, che però non potranno goderne, perché è contro la natura della Chiesa. Ratzinger sembra un ‘ultimo’ ora, ma potrebbe diventare un ‘primo’ in futuro”.
Il Papa che ha dialogato di più con il mondo laico? “Benedetto ha incarnato ancora una volta quell’epoca, di fatto scomparsa, in cui religione, filosofia e arte erano unite sotto le ali della Chiesa cattolica. Ha vissuto la Chiesa come l’artefice di ogni bellezza: la liturgia tradizionale, combattuta dai suoi successori, era per lui la madre di tutte le arti. Non ha chiuso gli occhi di fronte alla crisi della civiltà occidentale, ma ha confidato che la Chiesa non aveva perso il suo potere di continuare a essere culturalmente feconda: bastava riscoprirla”.
Eppure, quella “dittatura del relativismo” di cui parlò alla messa che avrebbe portato al Conclave chiamato a scegliere il successore di Wojtyla non si è certo arrestata. “E’ certamente eccessivo aspettarsi che un pontificato così breve abbia un impatto duraturo sulla grande battaglia iniziata nel XVIII secolo e che continua senza sosta, ma è chiaro che Benedetto XVI ha affascinato gli intellettuali al di fuori della Chiesa. Stava per aprire gli occhi anche agli oppositori della chiesa sul fatto che il meglio dell’Illuminismo era cresciuto dall’humus cristiano. Alcuni potrebbero aver capito che il relativismo in cui si è sviluppato il liberalismo distrugge le basi della convivenza nel lungo periodo. Ha portato a molte conversioni e vocazioni al sacerdozio. Ma un Papa ha un effetto a lungo termine soprattutto attraverso la sua politica personale. Ha rifiutato questo mezzo. Al contrario, ha promosso i suoi nemici ovunque. Il famigerato Cammino sinodale in Germania, ad esempio, è opera di prelati nominati da Ratzinger”.
Lo stato del cattolicesimo in Europa è desolante. Siamo alla prognosi di Ratzinger formulata alla radio nel Natale 1969? “La prognosi di Ratzinger del 1969 dimostra che egli è stato uno dei primi a svegliarsi dall’intossicazione del Vaticano II”, conclude Mosebach al Foglio. “Deve essergli apparso chiaro che la Chiesa aveva appena perso la sua antica saggezza storica e non era più in grado di riconoscere i segni dei tempi. Nella convinzione di poter assumere nuovamente la leadership culturale abbracciando una cultura che si stava allontanando dal cristianesimo, si è verificata una sottomissione allo spirito del tempo che ha minacciato l’esistenza stessa della chiesa. In questo contesto, il fatto che una riscoperta dell’essenza cattolica sarà possibile solo in una Chiesa che è diventata più piccola non è pessimismo, ma una sobria intuizione e necessità”.
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