dall'archivio del Foglio
B-XVI vuole la santità della Chiesa e sa che persino il mondo può aiutarla
Per il teologo di formazione agostiniana, la terra, la città degli uomini, non è un antagonista insidioso. La fiducia nella capacità umana di servire l'istituzione ecclesiastica di Joseph Ratzinger
Ripubblichiamo l'articolo di Maurizio Crippa apparso sul nostro quotidiano il 27 aprile 2010
L’autentica virtù della Chiesa, la sua realtà è nei santi. Ma questa Chiesa si presenta (…) in un vestito di carne che contemporaneamente designa e vela questa verità. Agostino può affermare che la Chiesa cattolica è la vera chiesa dei santi; i peccatori non sono realmente in essa, infatti la loro qualità di membro è quella parvenza che è propria del mundus sensibilis; d’altra parte, egli può mettere in evidenza che non è affare della chiesa espellere questi peccatori perché non è affare suo deporre il corpo di carne, bensì è affare del Signore che la risusciterà e la trasformerà nella sua vera forma di salvezza”.
Se c’è una cosa che persino i suoi detrattori volentieri ammettono, è che Joseph Ratzinger non è uomo da non saper scegliere le sue citazioni. Attraverso di esse parla, agli autori più cari affida spesso il distillato del suo pensiero. Non di rado spiazzando i suoi interlocutori: da Emanuele Paleologo a Bonaventura da Bagnoregio, ne ha data più volte dimostrazione. Quella iniziale, pur tratta da un’opera giovanile, “Popolo e casa di Dio in sant’Agostino”, sembra particolarmente pertinente al tema, di non poca portata, proposto lunedì da Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera.
Secondo lo storico, nel modo rigoroso in cui Benedetto XVI sta affrontando lo scandalo della pedofilia, per la prima volta la chiesa starebbe rinunciando “a essere societas perfecta”, e soprattutto conformandosi “al punto di vista della società laica” nel giudicare questioni come l’abuso sessuale. Una “vera svolta storica”. Spunto interessante, forse non altrettanto cogente, in quanto Galli della Loggia sembra trascurare le motivazioni spirituali e anche intellettuali dell’atteggiamento ratzingeriano in materia. Che riguardano la sua visione della Chiesa e della fede. Innanzitutto va sottolineato che ciò che in questa vicenda sta maggiormente a cuore a Benedetto XVI, è sempre stata la santità del sacerdozio.
Lo disse già denunciando la “sporcizia” nel clero poco prima di salire al Soglio. Ha scelto il Curato d’Ars come figura di riferimento per l’Anno sacerdotale, durante il quale in più occasioni è tornato sul tema della santita e della purezza. Il 27 gennaio scorso, la citazione è stata il santo di Assisi: “Francesco mostrava sempre una grande deferenza verso i sacerdoti, e raccomandava di rispettarli sempre, anche nel caso in cui fossero personalmente poco degni… non dimentichiamo mai questo insegnamento: la santità dell’Eucaristia ci chiede di essere puri”.
Ai preti irlandesi, assieme al “reato”, ha rimproverato anzitutto il peccato: “Avete violato la santità del sacramento dell’Ordine Sacro, in cui Cristo si rende presente in noi e nelle nostre azioni. Insieme al danno immenso causato alle vittime, un grande danno è stato perpetrato alla Chiesa”. Le istruzioni “De Delictis Gravioribus” da lui stilate quando era prefetto della Dottrina della fede, erano impartite non solo per “contribuire a evitare un crimine così grave, ma anche per proteggere con le necessarie sanzioni la santità del sacerdozio”. Ratzinger, da teologo e da Papa, ha sempre posto ai sacerdoti una asticella molto alta. Perché la realtà della chiesa “è nei santi”.
Ciò non significa che non si ponga il problema di interloquire con il mondo, l’occidente laico evocato da Galli della Loggia, e con il suo modo, anche giuridico, di affrontare determinati problemi. Del resto è notevole che Ratzinger non abbia mai rinunciato ad accettare quelle che si potrebbero definire “le regole di ingaggio” del rapporto con il mondo laico. Basterebbero l’onestà intellettuale dei suoi dialoghi habermasiani, o il grande invito rivolto (da Ratisbona) al recupero della vera razionalità illuminista a dimostrarlo.
Per il teologo di formazione agostiniana, il “mondo”, la città degli uomini, non è un antagonista insidioso, e può anzi a volte rappresentare misteriosamente la condizione che permette alla chiesa di camminare nella storia e di purificarsi. In un recente intervento pubblicato dalla rivista 30 Giorni, il teologo emerito della Casa Pontificia, Georges Cottier, citava in proposito un altro libro giovanile di Ratzinger, “L’unità delle nazioni”, per spiegare che “tra Origene tentato dall’antagonismo gnostico verso gli ordinamenti mondani e Eusebio che li sacralizza, Ratzinger descrive la fecondità della prospettiva di Agostino, che non sacralizza né combatte a priori le istituzioni secolari, ma le rispetta nella loro autonoma consistenza”.
Più che un conformarsi a una visione culturale e giuridica laica, c’è probabilmente molto di questo rispetto nell’atteggiamento di Benedetto XVI. Per rimanere alle citazioni ficcanti, il 10 marzo scorso, mentre già lo scandalo della pedofilia montava in Germania, il Papa scelse san Bonaventura per spiegare che “non si governa la chiesa solo mediante comandi e strutture, ma guidando e illuminando le anime”. La stessa audacia disarmante con cui, in un’omelia pronunciata il 15 aprile, ha detto: “Adesso, sotto gli attacchi del mondo che ci parlano dei nostri peccati, vediamo che poter fare penitenza è grazia”. Un atteggiamento dettato non da una nuova adesione all’idea della giustizia mondana, ma da una misteriosa fiducia nella capacità del mondo di servire alla santità della Chiesa.
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