Benedetto XVI, il Grande Difensore della fede ma anche dell'occidente

Claudio Cerasa

La crisi del cristianesimo al centro della crisi dell’occidente, la Chiesa di minoranza, l’Europa, l’alleanza tra la società dei lumi e quella delle fede, lo stato che non è la totalità dell’esistenza umana. Le formidabili lezioni di Papa Ratzinger

La formidabile vita di Joseph Ratzinger, anche per i non credenti, è stata caratterizzata da un incredibile e interminabile distillato di lezioni, di insegnamenti, di idee e di suggestioni utili a orientarsi non solo nella difesa evangelica della fede ma anche in un’altra navigazione molto difficile come è stata quella a cui ha dedicato grande attenzione Benedetto XVI durante il suo papato: la difesa dell’occidente. In questo senso, un passaggio del papato di B-XVI che ha colpito in modo brusco anche molti laici è stato quello che si è andato a materializzare con chiarezza una mattina del settembre 2009, il 28 precisamente, quando Benedetto XVI, facendo proprio il pensiero di un famoso filosofo della storia inglese di nome Arnold Toynbee (1889-1975), scelse di rispondere così a una domanda di un giornalista, durante il volo verso la Repubblica Ceca.

  

Santità, disse il giornalista, la Repubblica Ceca è un paese molto secolarizzato in cui la Chiesa cattolica è una minoranza: in tale situazione, come può contribuire la Chiesa effettivamente al bene comune del paese? La risposta di B-XVI fu molto lunga, e molto enfatica, ma vale la pena prendersi qualche istante per riassaporarla. “Direi che normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa che ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva e attuale. La Chiesa deve attualizzare, essere presente nel dibattito pubblico, nella nostra lotta per un concetto vero di libertà e di pace. Così, può contribuire in diversi settori. Direi che il primo è proprio il dialogo intellettuale tra agnostici e credenti. Ambedue hanno bisogno l’uno dell’altro: l’agnostico non può essere contento di non sapere se Dio esiste o no, ma deve essere in ricerca e sentire la grande eredità della fede; il cattolico non può accontentarsi di avere la fede, ma deve essere alla ricerca di Dio, ancora di più, e nel dialogo con gli altri reimparare Dio in modo più profondo. Questo è il primo livello: il grande dialogo intellettuale, etico e umano”.

 

La difesa delle minoranze creative – “cioè uomini che nell’incontro con Cristo hanno trovato la perla preziosa, quella che dà valore a tutta la vita e, proprio per questo, riescono a dare contributi decisivi a un’elaborazione culturale capace di delineare nuovi modelli di sviluppo” (aprile 2010) – è stata una delle lezioni più innovative suggerite da Joseph Ratzinger prima e durante il suo papato. Benedetto XVI prese atto con crudo realismo che il cristianesimo era a un passo dal retrocedere rispetto ai suoi antichi canoni di evangelizzazione e indicò come battaglia non negoziabile la necessità da parte dei credenti di coinvolgere nella difesa della Chiesa anche i laici. Lo fece, B-XVI, forte di una consapevolezza precisa: la crisi religiosa, la crisi del cristianesimo, si trova al centro della crisi dell’occidente e la difesa dell’occidente non può che passare da una santa alleanza tra laici e credenti per difendere il cristianesimo dai suoi aggressori avendo, come diceva Ratzinger, il coraggio di rivendicare la propria differenza.

 

Marcello Pera, che ha conosciuto bene Benedetto XVI, considera questa una delle maggiori differenze tra il papato di B-XVI e quello di Francesco. B-XVI, come san Giovanni Paolo II, aveva scelto di dare alla propria missione evangelica una forte accentuazione occidentale, con richiami costanti alla centralità dell’Europa, con la consapevolezza che il nostro continente fosse la culla dei valori cristiani e dunque occidentali e con una dottrina non incentrata sulla demonizzazione del capitalismo e sulla ricerca costante di un occidente responsabile di tutte le nefandezze del mondo, e la scelta derivava anche dalla volontà di considerare il cristianesimo non come una religione mondana interessata quasi esclusivamente alla giustizia sociale, ma come una religione ultramondana, per così dire, interessata alla salvezza e all’edificazione della città di Dio e non della città dell’uomo. Seminare senza tradire sé stessi avendo fede non solo in Dio ma anche nell’alleanza tra la società dei lumi e quella delle fede.

 

Ha scritto Ratzinger in un libro pubblicato nel 1997 (un colloquio con Peter Seewald: “Il sale della terra”, San Paolo), riprendendo alcune parole consegnate nel 1969 ad alcune lezioni radiofoniche: “Allora avevo previsto, se così si può dire, che la Chiesa si sarebbe ridotta di dimensioni, che un giorno sarebbe diventata una Chiesa di minoranza e che non avrebbe più potuto esistere nei grandi spazi e nelle organizzazioni che aveva in passato, ma avrebbe dovuto trovare una sistemazione più modesta. A tal proposito avevo anche pensato che, accanto ai sacerdoti ordinati in giovane età, si sarebbero potuti scegliere anche degli uomini dotati di grande esperienza, provenienti dal mondo del lavoro, o che, comunque, si sarebbero potute istituire forme diverse di ministero”. E trent’anni dopo, concluse: “Penso ancora che la Chiesa si debba lentamente adattare a una situazione minoritaria, a una posizione diversa nella società. Come anche che vi è una crescita di ministeri non sacramentali”.

 

Non adattarsi affannosamente alle mode del momento, non perdere tempo a studiare come lanciare slogan orecchiabili, considerare la difesa della fede come un valore non negoziabile della difesa dell’occidente. Una lezione che vale naturalmente per la Chiesa, per i laici ma anche per la politica e uno degli insegnamenti più forti, fuori dalla sfera delle fede, offerti durante la sua vita da Ratzinger riguarda anche la sua idea di politica giusta.

 

Lo fece, Ratzinger, nel corso della sua omelia del 26 novembre 1981 tenuta durante una liturgia per i deputati cattolici del Parlamento tedesco nella chiesa di San Winfried a Bonn. Prendete fiato e soprattutto prendete appunti: “Lo stato non è la totalità dell’esistenza umana e non abbraccia tutta la speranza umana. L’uomo e la sua speranza vanno oltre la realtà dello stato e oltre la sfera dell’azione politica. […] Lo stato non è la totalità. Questo alleggerisce il peso all’uomo politico e gli apre la strada a una politica razionale. […] Il primo servizio che la fede fa alla politica è la liberazione dell’uomo dall’irrazionalità dei miti politici, che sono il vero rischio del nostro tempo. Essere sobri e attuare ciò che è possibile, e non reclamare con il cuore in fiamme l’impossibile, è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai così forte come il grido irrazionale. Il grido che reclama le grandi cose ha la vibrazione del moralismo; limitarsi al possibile sembra invece una rinuncia alla passione morale, sembra il pragmatismo dei meschini. Ma la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell’umanità dell’uomo e delle sue possibilità. Non è morale il moralismo dell’avventura, che intende realizzare da sé le cose di Dio. Lo è invece la lealtà che accetta le misure dell’uomo e compie, entro queste misure, l’opera dell’uomo. Non l’assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica”.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.