I rapporti con Mosca
Quando Benedetto XVI si mise all'opera per ricucire con gli ortodossi russi
Un lungo percorso ricco di svolte ha consolidato il dialogo fra Ratzinger e i vari rappresentanti della Chiesa ortodossa. Lo spirito costruttivo e la certezza di una missione: affrettare la restaurazione dell'unità fra i cristiani
Quando fu eletto il 19 aprile del 2005, Benedetto XVI ereditò dal suo santo predecessore una situazione piuttosto complicata per quanto riguarda i rapporti con la Russia. Da qualche anno le relazioni con il Patriarcato di Mosca si erano bruscamente interrotte, dopo i tanti anni di scambio reciproco seguiti al Concilio Vaticano II, e anche dopo il primo decennio post sovietico, quello della “rinascita religiosa” della Russia.
L’avvento al potere di Putin nel 2000 aveva significato una decisa svolta sovranista in salsa mistica, come si era evidenziato già nel sinodo del Terzo millennio, in cui fu approvato il documento patriarcale sulla “Dottrina sociale della Chiesa ortodossa russa” che ispirò il programma politico del neo presidente. In esso si affermava chiaramente che la Russia doveva difendersi da ogni tentativo di interferenza e “invasione”, preservando le proprie tradizioni, e le comunità religiose “straniere” dovevano essere ridimensionate, o addirittura estromesse.
L’occasione per regolare i conti con i cattolici venne a febbraio del 2002, quando la Santa Sede annunciò l’elevazione delle quattro amministrazioni apostoliche di Mosca, Saratov, Novosibirsk e Irkutsk a diocesi a pieno titolo, con tanto di Conferenza episcopale e “provincia ecclesiastica russa”. Come risposta vennero espulsi una ventina di missionari stranieri e un vescovo polacco, e le relazioni rimasero di fatto congelate.
Uno degli ultimi atti simbolici del lungo pontificato del Papa polacco, tanto inviso ai vertici della Chiesa russa, fu la restituzione dell’icona della Madonna di Kazan il 28 agosto 2004, che da anni era nelle mani del Papa e fu riportata in Russia da una mesta delegazione, presieduta dal cardinale Kasper e dall’arcivescovo di Washington Theodore McCarrick. Il 28 agosto l’icona fu consegnata nelle mani del patriarca di Mosca Aleksij II nella cattedrale della Dormizione al Cremlino, davanti a pochi gerarchi e funzionari del Patriarcato, senza alcuna partecipazione dei fedeli; l’evento non venne neppure comunicato agli organi di stampa russi. Meno di un anno dopo, il 21 giugno 2005, quando ormai il Papa Giovanni Paolo II era tornato nella comunione del Padre celeste, l’icona fu trasferita dal Patriarca Aleksij II a Kazan, presentandola come “la copia vaticana”.
A quel punto Benedetto era già asceso al Soglio pontificio, e la sua elezione fu accolta con freddezza da Mosca, anche se alcuni elementi erano chiaramente a favore di una ripresa dei rapporti. Anzitutto il nuovo Papa non era polacco, ma bavarese, ciò che non provocava nei russi la stessa reazione di ostilità e timore. Inoltre Joseph Ratzinger godeva da tempo anche in Russia della fama di grande teologo tradizionalista, senza il “devozionismo” molto polacco di Wojtyla, e ciò aumentava la sua autorevolezza anche agli occhi degli ortodossi.
Il nuovo Papa non riprese infatti l’enfasi “missionaria” del predecessore, lasciando che la Russia si sentisse più al sicuro dalle mire dei cattolici. Non si parlò più di una possibile visita del Papa in Russia, un progetto che aveva catalizzato l’attenzione per almeno un decennio. Le relazioni con i russi furono lasciate in mano al Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani e al suo prefetto, il cardinale Kasper, che cercò di coinvolgere i russi nella discussione sul ruolo del primato universale nella Chiesa.
Proprio quell’argomento fu invece rifiutato dai rappresentanti del Patriarcato, che abbandonarono la Commissione mista per il dialogo cattolico-ortodosso, temendo che Roma e Costantinopoli volessero imporre una versione orientale del “papismo” che sottomettesse Mosca alla loro guida. L’occasione per un chiarimento con Roma si ebbe il 18 maggio 2006, quando l’allora metropolita Kirill di Smolensk, oggi Patriarca, venne a consacrare la prima chiesa ortodossa nella capitale petrina, dedicata a Santa Caterina d’Alessandria. Kirill s’incontrò con Papa Benedetto, accennando a quella che sarebbe stata l’impostazione dei rapporti secondo i russi: evitare di discutere di questioni teoriche e teologiche, e limitarsi alla collaborazione in campi “neutri” come quello umanitario e culturale, e soprattutto eliminare il più possibile le invasioni del “proselitismo cattolico” in Russia e dell’“uniatismo greco-cattolico” in Ucraina.
La collaborazione culturale-umanitaria di fatto si riattivò solo più tardi, dopo l’incontro all’Avana del Papa Francesco con il patriarca Kirill, a febbraio del 2016. Per quanto riguarda la soddisfazione delle esigenze ortodosse sulla difesa del proprio “territorio canonico”, esse vennero soddisfatte l’anno successivo all’incontro tra Benedetto e Kirill, quando il 21 settembre 2007 Benedetto ha nominato un nuovo arcivescovo sulla cattedra di Mosca, l’italiano Paolo Pezzi, al posto del bielorusso Tadeusz Kondrusiewicz, che era considerato il principale interprete della “aggressione proselitista” ispirata da Giovanni Paolo II. Il nuovo vescovo, molto vicino al Papa tedesco per via della sua provenienza dal movimento di Comunione e liberazione, si accordò con il Patriarcato per una “gestione comune” delle iniziative, sottoponendo all’approvazione patriarcale ogni mossa dei cattolici a Mosca, e di conseguenza in tutta la Russia.
Quando infine, a gennaio del 2009, Kirill venne eletto Patriarca, le relazioni si erano molto pacificate, e almeno l’accusa di proselitismo era stata accantonata. Le tensioni rimanevano con gli uniati ucraini, che godono comunque di ampia autonomia amministrativa, e non potevano essere “addomesticati” da Roma. Già allora l’Ucraina era in preda alle tensioni tra filorussi e filo occidentali, che hanno portato alle conseguenze che ora sono sotto gli occhi di tutti.
A maggio del 2010 il successore di Kirill alla guida del Dipartimento patriarcale per le relazioni esterne, il metropolita Ilarion (Alfeev), oggi esiliato in Ungheria, si incontrò a sua volta con Papa Benedetto, esprimendo il suo entusiasmo per la nuova “alleanza” tra Roma e Mosca di fronte alla secolarizzazione mondiale, per unirsi nella nuova evangelizzazione a difesa delle antiche tradizioni del cristianesimo antico. All’incontro parteciparono quattro cardinali, tra i più attivi e autorevoli nel rappresentare la linea del pontificato ratzingeriano: Camillo Ruini, Angelo Bagnasco, Christoph Schönborn e Angelo Scola, che illustrarono a Ilarion l’idea di un nuovo consiglio pontificio per la nuova evangelizzazione.
Benedetto ha potuto così incontrare con spirito di costruttivo dialogo i presidenti della Federazione russa, ricevendo Vladimir Putin il 13 marzo 2007, trasmettendo i suoi calorosi saluti al Patriarca Aleksij II, e due volte il successore e “braccio destro” di Putin, Dmitrij Medvedev, il 3 dicembre 2009 e il 17 febbraio 2011, già sotto il Patriarcato di Kirill. L’ultima visita del 2011 fu la prima dopo la piena restaurazione delle relazioni diplomatiche tra la Russia e la Santa Sede, che fino a quel momento avevano uno status provvisorio, dopo l’invio del nunzio nel 1990. La pace era stata ormai suggellata, aprendo una strada percorsa con grande entusiasmo dal Papa Bergoglio, almeno fino all’invasione dell’Ucraina.
Più volte Benedetto si è rivolto ai russi in lingua russa, in particolare l’11 marzo 2006 in un ponte televisivo, quando salutò i parrocchiani della chiesa di Santa Ekaterina a San Pietroburgo. Nel 2008 in un videomessaggio in russo egli affermò che “l’amore a Cristo fino al martirio, che ci unisce, ci esorta ad affrettare la restaurazione dell’unità tra i cristiani. Vanno in questa direzione sia la Chiesa cattolica, che quella ortodossa russa. Auguro a tutti pace e bene, amore reciproco, e chiedo per tutti la benedizione divina”. Diverse volte durante il suo pontificato, diffondendo l’augurio pasquale Urbi et Orbi, ha salutato i russi con il grido pasquale ortodosso Khristos Voskrese, Cristo è risorto! La lingua russa è risuonata durante varie celebrazioni papali, come nella messa di beatificazione di Giovanni Paolo II, il 1° maggio 2011, riunendo la diplomazia e la speranza di una comune rinascita.
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