Un appello universale
La dittatura del relativismo spiegata da Benedetto XVI
Con il suo pensiero forte, Ratzinger ha valorizzato la vera laicità. L'uomo non può ignorare i suoi bisogni esistenziali e spirituali: il pericolo è che la scienza e la tecnologia diventino una "nuova religione"
Un teologo e cardinale, divenuto Papa, si è fatto araldo del “principio di laicità” della società civile e dello stato contro le “pretese religiose”: quelle di religioni teocratiche, ma anche quelle, insidiose, degli “assoluti” della cultura scientifica e della prassi tecnologica che tendono a dominare la vita sociale e politica. Questa iniziativa di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, rappresenta una sfida all’idea del papato e della Chiesa, che ha permeato l’Occidente, assai più dirompente della sua rinuncia al ministero petrino a meno di otto anni dall’elezione al soglio pontificio, sulla quale si sono attardati e stanno discettando la maggior parte dei commentatori del suo pontificato.
Quest’ultimo atto ha riguardato la sua persona e le circostanze in cui si è venuta a trovare nell’adempiere all’ufficio di supremo Pastore, ed è dunque singolare. Il richiamo alla “vera laicità” della società e dello stato quale presupposto per una presenza incisiva della Chiesa nel mondo contemporaneo (auspicata nella Gaudium et spes dai Padri del Vaticano II e fortemente voluta da Paolo VI) e un rilancio della libertà religiosa (invocata nella dichiarazione conciliare Dignitatis humanae e valorizzata da Giovanni Paolo II) costituisce un appello universale con il quale sono chiamati a confrontarsi i credenti e i non credenti. Di una laicità senza equivoci, sostantiva e non strumentale, ha bisogno la Chiesa non meno di una società civile e di un ordinamento statale.
Una “sana laicità”, quella che “implica l’effettiva autonomia delle realtà terrene, non certo dall’ordine morale, ma dalla sfera ecclesiastica” (Discorso all’Unione giuristi, 2006), “non è in contrasto con il messaggio cristiano, ma piuttosto è ad esso debitrice” (Discorso al V Colloquio internazionale di studi giuridici, 1984), in quanto inerisce “alla struttura fondamentale del Cristianesimo” (enciclica Deus caritas est, 2005). Ratzinger ha abbandonato la concezione di una semplice “legittimità” della laicità, riconosciuta dai suoi predecessori Pio XII e Paolo VI, per abbracciare quella di una sua “necessità” per la stessa presenza della Chiesa, che è chiamata ad assumersi il compito non solo di ammetterla e rispettarla, ma anche di promuoverla e difenderla.
Come la fede “purifica la ragione”, perché “la libera dai suoi accecamenti e perciò l'aiuta ad essere meglio sé stessa» e le permette «di svolgere in modo migliore il suo compito” (Deus caritas est), e la ragione “purifica la fede”, espungendo da essa la superstizione, l’arbitrarietà e l’illogico, così la religione “valorizza la laicità” nel vertice della sua positività – l’apertura ad ogni dimensione della persona ed al senso ultimo della vita – e la laicità “valorizza la religione” quale contributo alla ricerca della verità, della bellezza, del bene, della giustizia, della pace e dell’amicizia tra i popoli, cui ciascun uomo tende per vocazione naturale.
Benedetto XVI non è stato uno sprovveduto cantore di una laicità immacolata, senza equivoci o degenerazioni, ma ha lucidamente denunciato la sua riduzione a “neutralità”, che prevede l’“esclusione della religione e dei suoi simboli dalla vita pubblica mediante il loro confinamento nell’ambito del privato e della coscienza individuale”. Considerata come mera espressione di sentimenti, aspettative, visioni del mondo, timori irrazionali, consolazioni ideali e retaggi culturali del passato, “la religione, ogni religione, [viene recepita] come un fattore senza importanza, estraneo alla società moderna o addirittura destabilizzante” di cui si esclude “ogni forma di rilevanza politica e culturale” (Discorso all’Unione giuristi, 2006).
Lo stesso Papa Ratzinger ha fatto rilevare non solo che la pretesa di una laicità che esclude la trascendenza dalle categorie della ragione, è altrettanto “assoluta” quanto gli “assoluti” della religione (cfr. Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, 2003), ma anche la crescente violazione di questa ostentata “neutralità” attraverso le incursioni di conoscenze e di prassi che ambiscono esse stesse ad una assolutezza gnoseologica e soteriologica di tipo “religioso”. In questa laicità malintesa, la scienza e la tecnologia sembrano non sottostare alla “legge della neutralità” ed assurgere al rango di “nuova religione”: “L’uomo non può riporre nella scienza e nella tecnologia una fiducia talmente radicale e incondizionata da credere che il progresso scientifico e tecnologico possa spiegare qualsiasi cosa e rispondere pienamente a tutti i suoi bisogni esistenziali e spirituali” (Discorso alla Pontificia accademia delle scienze, 2006).
Quando gli “assoluti” si moltiplicano, la laicità diventa un Pantheon, ogni assoluto diviene relativo e il relativo si trasforma nell’unica certezza che non ammette discussione, generando una nuova “dittatura”, quella del relativismo. Un pericolo che stiamo correndo, di cui il Papa che in questi giorni è tornato a Dio ci ha messi in guardia per il bene di tutti, credenti e non credenti.
Roberto Colombo è membro ordinario della Pontificia accademia per la vita
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