Il manifesto del cardinale Müller
Il libro dell'ex prefetto per la Dottrina della fede. Una visione di Chiesa inconciliabile con quella oggi prevalente
“Tutti, senza alcun distinguo, se protestano o muovono critiche o sollevano perplessità legittime, vengono additati come i grandi nemici del Papa, i cattivi, i disobbedienti che vanno puniti. Ma è una lettura un po’ semplificata”
Roma. “Tutti, senza alcun distinguo, se protestano o muovono critiche o sollevano perplessità legittime, vengono additati come i grandi nemici del Papa, i cattivi, i disobbedienti che vanno puniti. Ma è una lettura un po’ semplificata”. Alla fine, pare essere questo il succo del libro che il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto emerito della Dottrina della fede (emerito perché cinque anni e mezzo fa il Papa, come racconta il porporato, gli comunicò la decisione di non rinnovargli il mandato) ha scritto con la giornalista Franca Giansoldati (In buona fede. La religione nel XXI secolo, Solferino, 224 pp., 16,50 euro). Il volume farà discutere, perché il Papa dalla penna di Müller non ne esce benissimo: pazienza, tutti i Papi sono stati attaccati da fedeli preti vescovi e cardinali, anche sui giornali. Non essendoci dogmi di mezzo, se ne può parlare: Carlo Maria Martini criticò sui media il motu proprio Summorum pontificum di Benedetto XVI, ma non si videro moti d’indignazione. Dopotutto, anche quella era parresia.
Nel libro ci sono giudizi su alcuni collaboratori del Papa – “il cerchio magico” – non proprio generosi, c’è la descrizione di quello che lui (e non solo lui) vede come un caos imperante in Vaticano. Oltre a tutto questo, c’è che Müller lamenta il fatto che come se si fosse dinanzi al Giudizio finale, teologi vescovi e cardinali vengono divisi tra beati e dannati in base alla stima che di loro ha il Pontefice, “non sempre ben consigliato” (dice l’ex prefetto). E chi non si allinea viene, senza troppi complimenti o spiegazioni, pensionato. Per la verità, non è la prima volta che accade, anche se in passato si cercava di mantenere una sorta di equilibrio tra le varie anime della Chiesa, distribuendo porpore anche a personalità di cui non si condivideva pressoché nulla. Gli esempi abbondano. Con Francesco, il registro è cambiato, fino al punto da costruire un Collegio cardinalizio che parecchio corrisponde all’idea “pastorale” cara a Jorge Mario Bergoglio. Un Conclave di “amici” o “allineati”, direbbe Müller – il cardinale Baltazar Porras, che è diventato arcivescovo di Caracas all’età di 78 anni, ha già dichiarato al propria lealtà al Pontefice contro i libri degli oppositori, spiegando che “Papa Francesco con animo misericordioso non chiude le porte ai suoi critici”.
Il libro di Müller rende pubblica la divisione che prospera nella Chiesa. Di più: fotografa l’inconciliabilità di due visioni, di due modi di pensare la Chiesa. Non è tanto questione di cordate, gruppetti, malelingue e sabotatori (di questo, comunque, nel libro si parla parecchio, pure troppo rispetto al sottotitolo scelto), bensì di un modo diverso di concepire quelle che si potrebbero definire “le basi”. Si prenda, ad esempio, la riforma della curia, che dopo otto anni di discussioni, bozze e aggiustamenti, è sfociata nella costituzione apostolica Praedicate evangelium. Per l’ex prefetto è radicalmente sbagliata perché “priva di una coerente visione ecclesiologica. La cosa che salta subito agli occhi, leggendola, è che la curia romana si è ridotta a una corporation che opera per dare assistenza ai ‘clienti’, le conferenze episcopali, proprio come se fosse una multinazionale e non più un organo ecclesiale. Sia storicamente che simbolicamente la curia dovrebbe avere come colonna portante il Collegio dei cardinali, un organo chiave che rappresenta la Chiesa romana nel suo insieme e ne detiene il primato, accanto al Papa”. E comunque, Müller chiarisce che “già il titolo del testo costituzionale a me appare fuorviante: Praedicate evangelium, predicate il Vangelo, non è una prerogativa della curia, è un compito di ogni fedele”.