Foto di Andrew Medichini per Ap, via LaPresse 

roma capoccia - spina di borgo

Le interviste di Papa Francesco alimentano retroscenisti e complottisti

Matteo Matzuzzi

Anche chi con il Pontefice non è e non è mai stato critico mostra, privatamente ma pur sempre devotamente, insofferenza per le interviste concesse

Domanda: quanti retroscena  si potrebbero evitare se si riducesse il numero esorbitante di interviste concesse dal Papa? Quante malelingue si lascerebbero senza lavoro? Quanti complottisti-sedevacantisti-pseudoratzingeriani resterebbero senza cose da dire, fare, scrivere? La risposta pare evidente. Anche chi con il Papa critico non è e non lo è mai stato mostra, privatamente ma pur sempre devotamente, insofferenza. Perché ogni mezza parola, mezza riga, mezzo sorriso a favor di telecamere produce inesorabilmente caos.

 

L’ultima è sull’omosessualità, che non è un crimine ma resta un peccato. Perfino James Martin, il gesuita che da tempo si occupa delle realtà lgbt, ha preso carta e penna chiedendo a Francesco di spiegare, chiarire meglio, togliere ogni dubbio circa l’interpretazione delle frasi pronunciate. Il capo dei vescovi tedeschi, Georg Bätzing, che da mesi viene flagellato da Roma perché lui di arretrare dai propositi bellicosi sinodali non vuole proprio, ha fatto sapere di non ritenere possibile “governare la Chiesa con le interviste”, lamentando anche che a novembre – quando lui e tutti i confratelli di Germania furono ricevuti a Roma – il Papa non disse mezza parola sul fatto che il Cammino sinodale così come impostato in Germania “non è utile” ed è “governato da una élite”. Problemini risolvibili.

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