Foto di Gregorio Borgia, AP Photo, via LaPresse 

Il Papa: “Dimissioni? Credo che il ministero del Pontefice sia ad vitam”

Matteo Matzuzzi

Francesco ha parlato con i gesuiti durante il suo ultimo viaggio in Congo. La sua posizione la riporta Civiltà Cattolica: i Pontefici "dimissionari non devono diventare, diciamo così, una 'moda', una cosa normale". E il suo è un convincimento radicato

Il Papa non ha alcuna intenzione di rinunciare al pontificato, semmai qualcuno avesse avuto qualche dubbio in proposito. L’ha detto lui stesso conversando con i gesuiti durante il recente viaggio in Congo. A riportare il testo integrale del dialogo di Francesco con i suoi confratelli è la Civiltà Cattolica nel quaderno in uscita domani. “È vero che io ho scritto le mie dimissioni due mesi dopo l’elezione e ho consegnato questa lettera al cardinale Bertone. Non so dove si trovi questa lettera. L’ho fatto nel caso che io abbia qualche problema di salute che mi impedisca di esercitare il mio ministero e di non essere pienamente cosciente per poter rinunciare. Questo però non vuol affatto dire che i Papi dimissionari debbano diventare, diciamo così, una ‘moda’, una cosa normale. Benedetto ha avuto il coraggio di farlo perché non se la sentiva di andare avanti a causa della sua salute. Io per il momento non ho in agenda questo. Io credo che il ministero del Papa sia ad vitam. Non vedo la ragione per cui non debba essere così. Pensate che il ministero dei grandi patriarchi è sempre a vita. E la tradizione storica è importante. Se invece stiamo a sentire il ‘chiacchiericcio’, beh, allora bisognerebbe cambiare Papa ogni sei mesi!”.

 

Più chiaro di così, non si potrebbe, anche per rispondere a voci infondate che – chissà perché – erano arrivate a sostenere che ora che il predecessore è morto, Francesco è più libero di rinunciare. Non ci comprendeva il nesso logico prima, ancor meno ora. Non è una frase buttata a caso, quella di Bergoglio: che la carica papale debba essere a vita è un convincimento profondamente radicato in lui. Lo testimonia quanto detto poco dopo sempre ai gesuiti del Congo: “Circa la Compagnia di Gesù: sì, su questo io sono ‘conservatore’. Deve essere a vita. Ma, ovviametne si pone la stessa questione che riguarda il Papa. Padre Kolvenbach e padre Nicolás, gli ultimi due generali, hanno lasciato per motivi di salute. Mi sembra importante ricordare pure che un motivo del generalato a vita nella Compagnia nasce anche per evitare i calcoli elettorali, le fazioni, il chiacchiericcio”. E a proposito di gesuiti, “lei ha fatto voto di non cercare ruoli di autorità nella Chiesa. Che cosa l’ha spinta ad accettare l’episcopato e poi il cardinalato e poi il papato?”, ha domandato un confratello.

 

Risposta: “Quando ho fatto quel voto l’ho fatto sul serio. Quando mi hanno proposto di essere vescovo ausiliare di San Miguel, io non ho accettato. Poi mi è stato chiesto di essere vescovo di una zona del nord dell’Argentina, nella provincia di Corrientes. Il nunzio, per incoraggiarmi ad accettare, mi disse che lì c’erano le rovine del passato dei gesuiti. Io ho risposto che non volevo essere guardiano delle rovine, e ho rifiutato. Ho rifiutato queste due richieste per il voto fatto. La terza volta è venuto il nunzio, ma già con l’autorizzazione firmata dal Preposito generale, il padre Kolvenbach, che aveva acconsentito al fatto che io accettassi. Era come ausiliare di Buenos Aires. Per questo ho accettato in spirito di obbedienza”. “Nell’ultimo conclave sono venuto con una valigetta piccola per tornare subito in diocesi, ma sono dovuto rimanere. Io credo nella singolarità gesuitica circa questo voto, e ho fatto il possibile per non accettare l’episcopato”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.