Madonne, pizze e conigli: quando i cattolici credono a tutto meno che a Dio
Mancano i fondamentali che s'imparavano al catechismo, e al fedele tiepido basta una statua della Vergine per credere. Più a lei che a Gesù
La tragicomica vicenda di Trevignano Romano, con la "veggente" che fa il giro dei talk pomeridiani per raccontare quel che accade sul lago di Bracciano
Roma. Il vescovo di Civita Castellana, mons. Marco Salvi, da pochi mesi entrato in carica, fa sapere che a breve saranno diffusi i risultati dell’indagine condotta dalla commissione da lui istituita, per capirne di più dell’affaire Trevignano Romano. La storia è nota, da sette anni la signora Gisella (nome d’arte di Maria Giuseppa Scarpulla, già imprenditrice da tempo trasferitasi nel Lazio) sostiene che sulla collina che domina il lago di Bracciano appare, ogni 3 del mese, la Madonna. Che le parla e piange sangue, affidandole messaggi (quasi mai positivi) per l’umanità. La curia è sempre stata prudente, fino a quando gruppi di credenti si riunivano recitando il rosario andava pure bene. Ma quando entrano in scena le “donazioni spontanee” alla onlus costituita dalla “veggente”, le cose si complicano. Il problema è che a Trevignano si recano regolarmente migliaia di cattolici, da tutta Italia per ascoltare i messaggi e guardare da vicino le lacrime (umane o suine? Sul punto è aperta una contesa, ma finora dati certi non ve ne sono).
La vicenda, in attesa del verdetto vescovile, denota una grassa e disarmante ignoranza dei fondamentali del catechismo tra quanti pure si definiscono cattolici. Basta mettere in mezzo al prato una statua della Vergine, quattro panchine, una croce, un rosario ed è fatta: ecco la Medjugorje italiana, almeno secondo le intenzioni di Gisella. Che però ha fatto il passo più lungo della gamba, condendo la storia (sua e del suo santuario) con dettagli trash, non a caso ripresi dai programmi pomeridiani che mescolano il sacro con il profano, i rigorosi toni monacali con le paillettes. La presunta veggente, infatti, ha raccontato che davanti ai suoi occhi e di alcuni suoi amici si sarebbe verificata la moltiplicazione di una teglia di pizza – “Era per quattro persone e ne hanno mangiato in venticinque” –, di un coniglio e perfino di “un piattino di gnocchi”. Altro che pani e pesci di Galilea, il cristianesimo s’è adeguato al menù dei comuni mortali del Terzo millennio. Non serve a niente che il Papa abbia avvertito che la Madonna non è una postina che recapita a certe ore programmate i suoi messaggi come se fosse il capo di un ufficio telegrafico. Basta la statua di Maria e il fedele accorre, in qualche caso aprendo pure il portafoglio. Cosa resta, in tutto questo, tra pizze moltiplicate e onlus, della pura e bella devozione mariana? Niente. Attenti, avvertiva qualche tempo fa il predicatore della Casa Pontificia, il cardinale cappuccino Raniero Cantalamessa: va bene onorare Maria, e ci mancherebbe altro, ma ricordiamo sempre il suo “ruolo subordinato rispetto alla Parola di Dio, allo Spirito Santo e a Gesù stesso”. Qui, invece, si crea il cortocircuito perfetto per cui a moltiplicare il coniglio non è più neppure Gesù, ma – si presume – sua madre. E nonostante un quadro con non pochi elementi degni della miglior commedia, in tanti che si professano cattolici, accorrono. Credendo agli gnocchi raddoppiati e triplicati e a tutto il resto. Prendendo per vere le lacrime scure impresse su quella statua senza porsi alcun dubbio; dubbio che invece magari si pongono la sera prima di coricarsi sulla stessa esistenza del Creatore. Dio forse esiste, la Madonna che piange a Trevignano esiste sicuramente. C’aveva visto bene Chesterton, un secolo fa: “Chi non crede in Dio non è vero che non crede in niente, perché comincia a credere a tutto”. Anche alle quattro fette di pizza che sfamano venticinque poveri cristi giunti sulle sponde del lago di Bracciano.