Il viaggio del pontefice
Meglio Budapest che Bruxelles. Il Papa va da Orbán e loda il modello ungherese
No al gender, no al sovranazionalismo astratto, sì all'Europa dei popoli. Francesco conferma l'intesa con il premier ungherese, condanna "la via nefasta delle colonizzazioni ideologiche, che eliminano le differenze", e deplora "l'infantilismo bellico"
Roma. C’è stato anche lo spazio per la commozione, nel pomeriggio di ieri, nella cattedrale di Santo Stefano a Budapest, quando l’anziano don József Brenner ha ricordato il fratello János, “brutalmente assassinato all’età di 26 anni dal regime ateista”. Un applauso corale, poi, s’è levato allorché Francesco ha ricordato il cardinale József Mindszenty. Il Papa voleva tornare in Ungheria dopo la toccata e fuga del settembre 2021, l’aveva promesso. E ieri, fin dal primo discorso davanti alle autorità civili, ha reso omaggio a “un paese che conosce il valore della libertà e che, dopo aver pagato un alto prezzo alle dittature, porta in sé la missione di custodire il tesoro della democrazia e il sogno della pace”. Pace che sembra ormai una chimera, visto che “a livello internazionale pare persino che la politica abbia come effetto quello di infiammare gli animi anziché di risolvere i problemi, dimentica della maturità raggiunta dopo gli orrori della guerra e regredita a una sorta di infantilismo bellico”.
Francesco prende visibilmente le distanze da quanti hanno confinato l’Ungheria orbaniana nel cantuccio degli illiberali o, peggio, degli infiltrati putiniani nel cuore del continente. E lo fa capire quando afferma che “anche l’Europa dei ventisette, costruita per creare ponti tra le nazioni, necessita del contributo di tutti senza sminuire la singolarità di alcuno”. E proprio sull’Europa si sofferma poco dopo, quando dice di immaginarla “non ostaggio delle parti, diventando preda di populismi autoreferenziali”, ma neanche si augura che “si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, in una sorta di sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli. E’ questa la via nefasta delle colonizzazioni ideologiche, che eliminano le differenze, come nel caso della cosiddetta cultura gender, o antepongono alla realtà della vita concetti riduttivi di libertà, ad esempio vantando come conquista un insensato ‘diritto all’aborto’, che è sempre una tragica sconfitta”.
“Che bello invece – aggiunge Francesco – costruire un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dove vi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia, perseguite con attenzione in questo paese, dove nazioni diverse siano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno. Il ponte più celebre di Budapest, quello delle catene, ci aiuta a immaginare un’Europa simile, formata da tanti grandi anelli diversi, che trovano la propria saldezza nel formare insieme solidi legami”. Un’Europa, qui arriva chiaro il richiamo all’attualità, che sappia “unire i distanti, accogliere al suo interno i popoli e non lasciare nessuno per sempre nemico. E’ dunque essenziale ritrovare l’anima europea: l’entusiasmo e il sogno dei padri fondatori, statisti che hanno saputo guardare oltre il proprio tempo, oltre i confini nazionali e i bisogni immediati, generando diplomazie capaci di ricucire l’unità, non di allargare gli strappi”. Quanto alla questione migratoria, il Papa dice che “è un tema da affrontare insieme, comunitariamente, anche perché, nel contesto in cui viviamo, le conseguenze prima o poi si ripercuoteranno su tutti”. L’Europa di Francesco, definita “nonna” agli albori del pontificato, è quella di De Gasperi, Adenauer e Schuman, primo presidente del Parlamento europeo che sognava una “Europa delle cattedrali”. Non quella delle burocrazie “astratte” (cit.) di stanza a Bruxelles.
Il cristianesimo non è utopia