l'incontro
Il Papa ha scelto Kyiv, ma non sarà una benedizione incondizionata
Super partes, ma non troppo. L'udienza a Zelensky cambia l'approccio della Santa Sede. Ma non saranno solo fiori per l'Ucraina
Il cardinale Parolin: "Anche noi, come Santa Sede, sotto la guida di Papa Francesco, stiamo cercando di dare il nostro pieno contributo e di fare ogni sforzo per trovare una soluzione politica e diplomatica a questa crisi, che sta davvero distruggendo un paese"
Roma. E’ facile intuire la prudenza della Santa Sede nel dare conto dell’udienza blindata al presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Prudenza dettata da ragioni di sicurezza, ma anche per evitare che qualche frase diffusa possa inficiare il risultato della visita e mandare a rotoli il tentativo di mediazione fra le Parti in contesa ordito dal Vaticano. Non era scontato accadesse, anche per i non pochi intoppi che si sono determinati nell’ultimo anno.
Gli ucraini non hanno gradito la mancata denuncia esplicita da parte del Papa della Russia come aggressore, non hanno condiviso (eufemismo) la scelta di mettere sotto la medesima croce una donna russa e una ucraina alla Via Crucis del 2022 al Colosseo. Non hanno compreso perché mai la Santa Sede dovesse mantenersi “terza” e non solidarizzare toto corde con il popolo schiacciato dai tank di Mosca. Non bastavano le visite dell’elemosiniere Krajewski, né le ambulanze donate. Si voleva di più, magari che il Papa in persona andasse lì, a Kyiv. Invece Francesco ha evitato il più possibile di irritare il Cremlino e ha sempre detto che lui a Kyiv sarebbe andato solo se avesse potuto contestualmente recarsi anche a Mosca. Solo così, si ragionava, sarebbe stato possibile facilitare una mediazione per raggiungere quantomeno una tregua. Ora, Zelensky.
Una scelta di campo chiara e più che mai esplicita, tant’è che la reazione russa è stata piccata: interrogato a proposito dell’iniziativa papale, il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha detto: “Non abbiamo ricevuto questa informazione, forse verrà con il tempo, monitoreremo con attenzione”. Difficile capire se l’udienza rientri nell’ambito della “missione segreta” di cui parlò il Papa ai giornalisti tornando dall’Ungheria – anche perché ricevere Zelensky tanto segreto non lo è – ma è un segnale eclatante del ritrovato attivismo diplomatico della Santa Sede dopo le difficoltà dei mesi scorsi, tra le reprimende russe per i poco gentili epiteti rivolti dal Papa a Kirill (“chierichetto di Putin”) e le considerazioni circa la “brutalità” di buriati e ceceni. La Segreteria di stato ha mantenuto un profilo basso, nella tradizione della storica diplomazia d’oltretevere e le dichiarazioni pubbliche in merito al conflitto in Europa orientale sono sempre state calibrate e tese a evitare reazioni umorali di aggressori e aggrediti. Ma cosa dirà Francesco al presidente ucraino? Di certo, non sarà un’adesione integrale alle tesi ucraine e per saperlo non serve essere profeti. E’ arduo immaginare infatti che il Pontefice passi dal pensare alla Nato che “abbaia” ai confini della Russia allo sposare le richieste di Kyiv. Più probabile che Bergoglio inviti l’interlocutore a ragionare sull’ipotesi di una tregua e a mostrarsi realista, al fine di portare a termine il conflitto. Dopotutto, non è un mistero che la linea vaticana sia per “una rinuncia reciproca”: Mosca si ritiri e Kyiv si mostri disponibile a lasciare perdere alcune zone contese. Ieri, intervistato da una rivista portoghese, il cardinale Parolin ha detto che “la pace si realizza anche attraverso la preghiera e la penitenza. Naturalmente sono necessari sforzi diplomatici. E anche noi, come Santa Sede, sotto la guida di Papa Francesco, stiamo cercando di dare il nostro pieno contributo e di fare ogni sforzo per trovare una soluzione politica e diplomatica a questa crisi, che sta davvero distruggendo un paese”.