Il Personaggio
Chi era l'uomo la cui vita fu stravolta dall'incontro con uno strano rabbi di Galilea? Un libro
In "Secondo Pilato", Camillo Bartolini traccia la biografia dell'uomo dalla cui decisione drammatica dipende la nascita e l'evoluzione del cristianesimo
I cristiani lo citano ogni domenica a messa, un po’ distrattamente e di certo non con gratitudine: Ponzio Pilato, sotto il governo del quale Gesù fu crocifisso. Ma chi era Pilato? Di lui si sa poco, sembra una scheggia nella Storia, uno dei tanti che hanno segnato un momento particolare nello scorrere del tempo. Di certo era un uomo tormentato, lo si capisce dai Vangeli, soprattutto da quello di Giovanni che riporta il dialogo che ebbe con quello strano rabbi di Galilea che la folla voleva mettere a morte anche a costo di veder risparmiato il brigante Barabba. Pilato non capisce perché, lui disprezza Gerusalemme, il suo caos vorticoso, i suoi rituali incomprensibili, la foga di nazionalismo etnico e religioso che mette in discussione giorno dopo giorno l’autorità suprema e indefettibile di Roma. Sta meglio a Cesarea, sul mare, dove ha tempo per pensare agli amici morti, alle radici lontane, al turbinio di eventi che l’hanno portato fin lì, nel Palazzo del Pretorio. Tra i ricordi felici (pochi) ci sono i rimorsi, una costante della sua esistenza, dal rapporto conflittuale con il padre Gaio agli scontri con la moglie Claudia.
In "Secondo Pilato" (Cantagalli, 344 pp., 20 euro), Camillo Bartolini mischia le tracce documentate che questo sannita ha lasciato nella Storia al romanzo, tracciando una biografia dell’uomo dalla cui decisione drammatica dipende in qualche modo la nascita e l’evoluzione del cristianesimo. L’autore dà ritmo alla narrazione, che davvero – soprattutto nella prima parte – compete quanto a qualità con i migliori romanzi storici dell’ultimo trentennio (essendo nato nel 1991, è una nota di merito, che fa ben sperare per il futuro della letteratura di genere). Basti pensare solo all’incipit, incalzante: “Nel Sannio tutto è roccia. L’accento che mal si accorda con la lingua dei conquistatori, le case, i sentieri, le fonti”. Ma più si procede con la lettura, più l’attenzione si sposta su quel volto che alla fine, sempre più, diventa l’effigie di un uomo svuotato, muto, malato. Una vita che appare senza più senso. Pilato è turbato e a sconvolgerlo è stato quell’incontro avvenuto durante la Pasqua ebraica, a Gerusalemme. “Che cos’è la Verità?”, è la domanda che pone al rabbi.
Stefano Alberto, nell’Introduzione, osserva che questa non è la domanda “di uno scettico ma di un uomo sfinito, svuotato di sé e incapace di trattenere quella scintilla, quel presentimento di vita autentica scaturiti davanti a quell’Uomo. Pilato ‘lascia’ Yeshua al suo destino e così lascia la sua vita, o quello che ne restava”. E’ vero e Bartolini lo evidenzia bene: Gesù è lasciato al suo destino, quell’interrogativo (si potrebbe dire, “la” domanda) resta sospesa, Pilato è finito. Vedrà gli spettri, metaforici e non, coverà una rabbia che sa di fallimento, di vita prima ancora che di carriera. Ha la possibilità di salvarsi, ma non afferra quella mano che più volte gli sarà tesa. E non l’afferrerà neppure quando gli si presenterà l’occasione di riscattarsi dalla strage ordinata sul monte Garizim. Alla prospettiva della destituzione con tanto di invio davanti all’imperatore, lui oppone prima il silenzio e poi una risata che sa di scherno. Non gli interessa più nulla, nulla ha più senso. Vede scorrere davanti agli occhi velati l’intera sua esistenza, vede il volto sempre più lontano della moglie e pensa cosa sarebbe accaduto se le avesse dato retta, risparmiando Gesù. Pensa ai giorni antichi, guarda con disgusto tutto ciò che lo circonda e prova pietà per sé. Smetterà, a un certo punto, anche di guardarsi allo specchio, terrorizzato da quel volto che gli appare sempre più estraneo. Resterà muto anche davanti a quello strano imperatore che ha preso il posto di Tiberio, Caligola. Inizialmente, è incuriosito da questo giovanotto, dopotutto era il figlio di Germanico, con cui aveva stretto amicizia nell’esercito. Caligola subito gli dice che di quel padre mai conosciuto gli interessa ben poco e, furioso per l’atteggiamento di Pilato, lo spedirà a fare il guardiano di un carcere nelle Gallie. Umiliazione suprema, ma non per lui. Anzi, in quel cantuccio dove è stato posto, dimenticato da tutti, si sente come in pace.
Ma è solo un momento, solo una sensazione. Il tormento avrà fine solo quando “le braccia si spalancarono come in abbraccio e il viso s’illuminò d’un largo sorriso”. Come se avesse davvero ritrovato, dopo tanto tempo, l’amico atteso.
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