roma capoccia - spina di borgo
Dopo la risposta di Zelensky a Zuppi, in Vaticano ci si chiede: ma perché dobbiamo mediare noi?
L'inviato speciale del Papa continuerà a impegnarsi per cercare di rimuovere gli ostacoli alla pace fra russi e ucraini, ma nella Santa Sede ci si inizia a interrogare sul perché continuare se entrambe le parti in causa hanno fatto capire che il parere del Papa è lecito ma trascurabile
Il cardinale Matteo Zuppi ce l’ha messa tutta e ce la metterà ancora tutta nelle vesti di inviato speciale del Papa per cercare di rimuovere gli ostacoli alla pace fra russi e ucraini. Due giorni a Kyiv, in futuro a Mosca e poi nelle altre grandi capitali dove si decide la guerra. Disponibilità massima, attitudine alla mediazione certificata dai successi dei primi anni Novanta in Mozambico, capacità di toccare le corde giuste, pure. Vista però la risposta netta di Volodymyr Zelensky seguita al pur “cordiale” colloquio – l’unica pace possibile è quella ucraina basata sui dieci punti resi noti lo scorso inverno – qualcuno in Vaticano, anche tra i diplomatici, inizia a domandarsi: ma per quale motivo la Santa Sede deve immischiarsi? Perché deve cercare un ruolo in una partita ben più grande di lei, dove le Parti in causa (entrambe) hanno fatto capire da un anno e mezzo che il parere del Papa è lecito ma del tutto trascurabile?
Insomma, era proprio necessario andare a infilarsi in un cul-de-sac che rischia di non portare a nulla, anzi, rischia di arrecare un danno reputazionale non indifferente? La storia non si fa con i se, come è ovvio, ma il fatto che vi siano dubbi sulla missione vaticana anche ai piani alti vaticani fa comprendere quanto delicata sia la faccenda.