L'analisi
Morale sessuale da cambiare? Nella Bibbia c'è ciò che mons. Fernández cerca
Il nuovo prefetto del Dicastero per la dottrina della fede è desideroso di cambiamento. Attingere al Cantico dei cantici e al giuramento di Rut per le uniche due storie d’amore vero e duraturo di natura omosessuale
L’arcivescovo Víctor Fernández, da poco nominato da Papa Francesco prefetto del Dicastero per la dottrina della fede e che fra breve sarà creato cardinale, ha risposto a una domanda sui severi giudizi presenti nella morale cattolica a proposito dell’omosessualità dicendo che questi si possono cambiare. Egli ha affermato che anche la Bibbia – che pure è considerata “parola di Dio” – può essere sottoposta a una nuova ermeneutica, ha sostenuto che non va interpretata in modo letterale, ma secondo lo spirito dei tempi. Forse Fernández non ha ben presente che da quasi duemila anni la Bibbia non viene interpretata in modo letterale dal cristianesimo, e in particolare dal cattolicesimo. Questo è accaduto soprattutto per la morale sessuale, e senza troppe difficoltà, dal momento che nei vangeli non c’è quasi una parola sull’argomento. I cristiani, quindi, per costruire una loro morale hanno ampiamente attinto alle culture del tempo, e in particolare sono stati influenzati alla severa cultura stoica, che deprecava i piaceri dei sensi, e più in generale tutto ciò che aveva a che fare con il corpo. Questa scelta avvenne non solo per una tendenza all’ascetismo, ma anche per motivi politici: la severità dei costumi infatti permetteva loro di differenziarsi dalle abitudini sessuali della società romana, e quindi di distinguersene. Si tratta di un’operazione culturale che contraddice una diffusa credenza: che cioè i tempi nuovi siano sempre più aperti e permissivi di quelli del passato, come sembra sottintendere lo stesso Fernández.
Le norme ebraiche relative ai comportamenti sessuali esistevano ed erano molto dettagliate, come racconta la biblista austriaca Irmtraud Fischer (La sessualità nell’Antico Testamento, Queriniana). Ovviamente declinate dagli uomini e funzionali al loro potere, in genere queste norme non erano assolute, ma legate al contesto concreto a cui si riferivano. Giustamente dunque la ricercatrice affianca al racconto della precettistica le vicende dei personaggi principali per coglierne la pratica nel corso degli eventi. In linea generale nella Bibbia non viene mai espressa una concezione negativa della sessualità in sé – come è avvenuto per secoli nella tradizione cristiana – ma solo la necessità di regolamentarla tenendo presente la sua funzione principale, cioè la procreazione. La continuità nel tempo del piccolo gruppo, sempre in guerra con i popoli confinanti, costituiva infatti la ragione principale di ognuna di queste norme, che si spiegano nella connessione fra sessualità e fertilità. “Il matrimonio crea una posizione e uno status sociale, nonché una sessualità legittimamente praticata”, scrive Fischer. Quindi la riuscita sessuale non fa parte delle aspettative, le quali piuttosto, per quanto riguardava i maschi, venivano rivolte alle schiave con le quali i rapporti sessuali non erano considerati adulterio.
La condanna dell’omosessualità e della bisessualità, e in particolare l’occultamento dell’identità di genere assegnato alla nascita, erano considerati attentati alla continuità nel tempo del gruppo. I confini di genere sono infatti protetti per assicurare la sopravvivenza della specie. Proprio per questo la gamma dal maschile al femminile è ancorata nel simbolico, perché nel disegno della creazione solo i poli estremi sono fecondi. Lo stupro all’interno del matrimonio, poi, non viene neppure concepito, così come non si condanna l’abitudine allo stupro di ambo i sessi come arma di guerra. E in questo caso non si tratta di sessualità, ma di violenza. All’interno di questo schema così chiaro – e all’apparenza rigido – di necessaria polarità eterosessuale, Fischer mette in risalto una contraddizione: “Mentre non esiste quasi nessun matrimonio regolare che non abbia anche degli inconvenienti, ci sono invece due storie di relazioni omosessuali in cui si promette perseveranza per tutta la vita e questa perseveranza dura anche oltre la morte”. In altre parole, le uniche due storie d’amore vero e duraturo sono di natura omosessuale.
Rut è legata da forte amore alla suocera Noemi, che diventa una sua ragione di vita e ne influenza ogni scelta: l’espressione “Rut era attaccata a lei” ripete infatti lo stesso termine usato per designare il rapporto fra marito e moglie. Un amore talmente intenso che il giuramento di Rut, per il quale una persona si lega a un’altra per tutta la vita, viene spesso letto durante la celebrazione dei matrimoni: “Dove andrai tu, andrò anche io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio”. A parte il Cantico dei cantici e il giuramento di Rut – osserva Fischer – i rapporti fra l’amico Gionata e Davide sono gli unici in tutto l’Antico testamento a essere caratterizzati da un dichiarato amore reciproco: “Gionata volle ancora far giurare Davide sul suo amore per lui, perché lo amava come amore della sua vita”. Nelle altre storie c’è sempre e solo una parte che ama, mentre qui ci si riferisce chiaramente a un sentimento reciproco. La ricercatrice ne deduce che l’orientamento sessuale nella Bibbia non era un problema, una volta espletate le relazioni eterosessuali necessarie alla continuazione della stirpe.
Possiamo quindi suggerire al futuro cardinale Fernández, desideroso di cambiamenti in campo di morale sessuale, di rileggersi la Bibbia con la fiducia di trovare quello che desidera. Ma forse il problema da affrontare per la Chiesa non sono tanto aperture parziali su qualche questione, come quella dell’omosessualità, quanto piuttosto una ridiscussione complessiva della morale sessuale così come si è venuta stratificando, con il coraggio di riconoscere i vari apporti della storia, senza scambiarli per norme inviate da Dio.