Il fondo della questione
Don Giussani e il “Senso religioso”. Una conversazione col teologo Prades
Una sfida (anzi una proposta) partendo dall’oggi alla ragione decisiva anche nel mondo post-secolare e transumanista
"Quando miro in cielo arder le stelle / Dico fra me pensando: / A che tante facelle? / Che fa l’aria infinita, e quel profondo / Infinito seren? che vuol dir questa / Solitudine immensa? ed io che sono?”. Alla metà degli anni Cinquanta quei versi del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Leopardi, che toccavano con vivida forza “il fondo della questione”, del perché si viva e valga la pena vivere, furono il punto di partenza del percorso umano, prima che religioso, di molti giovani: donne e uomini affascinati da un cammino – “metodo” è la strada – per prendere sul serio quelle domande. A indicarlo loro, con una capacità nuova e inedita di farle risuonare, era un giovane sacerdote insegnante di liceo: “A che livello della nostra dinamica interiore, a che livello del nostro sentimento e pensiero si colloca il senso religioso?”. E’ l’abbrivio della prima edizione, 1966, de Il senso religioso di Luigi Giussani, frutto di un lavoro educativo iniziato già anni prima e che poi – nel lungo sviluppo della riflessione e dell’esperienza viva – è divenuto il primo capitolo di un “PerCorso”, una introduzione al cristianesimo partendo dalla ragione e dalla condizione esistenziale di ogni persona. Il Senso religioso è molto più che un libro, per quanto “educativo”, è l’offerta di una possibile verifica razionale di ciò che Giussani considera la radice stessa della coscienza umana. Bur-Rizzoli ne ha da poco pubblicata una nuova edizione, nel centenario della nascita dell’autore (1923), ma non è solo per motivi di calendario che Comunione e Liberazione, il movimento germogliato dal carisma di Giussani, ha deciso di rimetterlo al centro non solo della riflessione dei suoi aderenti, ma come spunto di paragone attuale nel dibattito pubblico, anche con una serie di incontri.
La prefazione alla nuova edizione è un testo di Papa Francesco, un suo commento al libro quando era ancora arcivescovo di Buenos Aires: “Il Senso religioso è un libro per tutti gli uomini che prendono sul serio la propria umanità”, diceva. “Oso dire che oggi la questione che dobbiamo maggiormente affrontare non è tanto il problema di Dio – l’esistenza di Dio, la conoscenza di Dio – ma il problema dell’uomo, la conoscenza dell’uomo e il trovare nell’uomo stesso l’impronta che Dio vi ha lasciato perché egli possa incontrarsi con Lui”.
Domenica inizierà il Meeting di Rimini, una realtà di popolo nata da persone che hanno accettato, per prima cosa, la proposta di affrontare integralmente “il problema dell’uomo”. Secondo un pensiero comune, più nichilista che secolarizzato, quel “livello della nostra dinamica interiore” che ha interrogato intere generazioni oggi sarebbe come evaporato, precluso soprattutto ai più giovani. Non è così, quelle domande sono sempre lì, come o più di allora, e attendono di svelarsi in un percorso, in una comprensione prima di tutto razionale. E’ quello che ci spiega in questa conversazione Javier Prades, teologo spagnolo – è professore di Teologia sistematica presso la Facoltà di Teologia dell’Università Ecclesiastica San Dámaso, di cui è attualmente il Rettore – che don Giussani ha ben conosciuto e con cui ha condiviso molti passaggi della sua riflessione teologica, e che in questi mesi è stato tra i protagonisti di incontri pubblici sul Senso religioso.
Dialogando con lui, la prima curiosità che si accende è però di carattere personale: riguarda il fascino, o la forza di convincimento, del suo incontro con il don Gius. Prima di diventare sacerdote e teologo, lei ha fatto parte in Spagna del movimento cattolico Nueva Tierra, un’esperienza intensa di proposta e vita cristiana nel panorama della Spagna di quegli anni. Dopo l’incontro con Giussani, Nueva Tierra è “confluito” in Cl. Lei lo conobbe ancora giovanissimo. Cosa la affascinò di più nella sua proposta, e della sua insistenza sul “senso religioso”? “In quella realtà molto bella che era Nueva Tierra – inizia a raccontare Prades – c’era un profilo alto di formazione cristiana. Per dire: nel primo incontro estivo al quale ho partecipato, nel 1978, il testo di riferimento era la Meditazione sulla Chiesa di Henri de Lubac. Questo indica bene quale tipo di preoccupazione e di serietà ci fosse in quella realtà”. Un gusto per l’approfondimento della propria esperienza anche attraverso la cultura, insomma. “Per esempio, andavamo a guardare anche i film di Tarkovskij e di Robert Bresson, o si leggeva la grande letteratura francese o di altri paesi. C’era un livello profondo di sensibilità e di formazione, oltre che un clima di amicizia e conviviale stupendo, attraversato dall’amore a Cristo”. E che cosa avviene nell’incontro con Giussani e Cl? “Da una parte mi colpisce una continuità, perché compaiono sin dalle prime conversazioni autori che erano familiari anche per noi. Ma ci sono altre dimensioni: l’amore alla vita della Chiesa, il tipo di sensibilità riguardo la realtà ecclesiale che si viveva in quegli anni…, che risultavano molto consone”. E per quanto riguarda in particolare il senso religioso? “Fra di noi c’era anche sensibilità rispetto a quella che potremmo chiamare una antropologia filosofica – perché in un certo senso Il Senso religioso può essere letto come un testo di antropologia filosofico-religiosa, e lo è, e di grande valore. Ma dopo mi è apparsa più chiara una discontinuità riguardo alla nostra esperienza precedente, di tipo metodologico. Entrando nel libro, attraverso le sue ‘premesse’ (‘realismo’, ‘ragionevolezza’, ‘moralità’ sono le tre ‘premesse di metodo’, ndr), il tentativo di Giussani non è soltanto la spiegazione della condizione umana, ma un ‘percorso’ che consente un’indagine razionale di taglio esistenziale. E per quest’indagine lui attrezza il lettore attraverso i successivi capitoli partendo dall’esperienza elementare. Che il testo non fosse semplicemente un altro buon manuale di filosofia religiosa – come una giusta premessa per poi parlare dei ‘Misteri rivelati’ – ma che rendesse possibile un vero percorso educativo interno alla presentazione della fede cristiana: ecco, questa prospettiva era diversa. Col passare degli anni, man mano che abbiamo fatto e rifatto il ‘percorso’ del Senso religioso e degli altri volumi, questo approccio di don Giussani mi ha mostrato la sua originalità e la forza della sua proposta educativa per suscitare un soggetto veramente cristiano, personale e comunitario”.
Giussani ebbe un impatto profondissimo sui giovani attraverso l’approfondimento dei contenuti nel Senso religioso. Venendo all’oggi, si parla a più non posso di “disagio giovanile” e c’è chi denuncia una refrattarietà per quelle domande. Secondo lei il “senso religioso” è ancora una categoria attuale per intercettare i giovani, i loro pensieri? O è una categoria culturale troppo legata magari a un certo “esistenzialismo” tipico dell’epoca delle ideologie e ormai tramontata? Secondo molti, al posto di quelle “domande”, oggi servirebbero di più la psicologia, il mental coaching, o un approccio meramente sociologico. “Meglio non dare una risposta aprioristica, sottomettiamo ragionevolmente questo problema alla verifica dell’esperienza vissuta, a partire dal presente: vediamo se oggi i giovani con le loro musiche, i loro film, le loro serie tv, con le espressioni della loro cultura anche all’interno dei loro rapporti quotidiani, dei loro impegni e preoccupazioni, possono iniziare questo percorso educativo. Credo che il livello di approccio all’umano che propone Giussani sia più profondo di quello delle scienze umane, che sono valide nel loro ambito, ma non possono per la loro impostazione metodologica arrivare a cogliere il mistero dell’umano”. Cioè il “fondo della questione”, come dice Giussani, che riguarda ognuno un ogni epoca e condizione.
Prosegue Prades: “Andando oltre l’apporto dalle scienze sociali, il percorso educativo del Senso religioso riesce a mettere in luce in modo pedagogicamente efficace la condizione umana come ‘mistero’. Sono persuaso che questo sia oggi uno dei crocevia del dibattito culturale: cioè se l’approccio all’umano può essere ridotto nei confini dove la scienza sperimentale può arrivare; o piuttosto se quell’approccio sperimentale possa acquistare un valore tutto diverso quando si coglie la profondità e l’integralità dell’esperienza umana che il libro riesce a mettere in luce. Giussani è convinto, dunque, che si possa educare la consapevolezza dell’essere umano come mistero, per vivere ragionevolmente il libero rapporto con il Mistero di Dio che liberamente si rivela. A questo punto le scienze umane non arrivano, se non indiziariamente; mentre il Senso religioso ne fa proprio il perno della sua ipotesi di lavoro. Per questo è importante non definire aprioristicamente il problema. Meglio buttarsi nella vita dei giovani (ma anche dei non giovani) e ascoltare, in modo tale di poter (ri)aprire questi spiragli che consentono di arrivare alla realtà più umana dell’umano: cioè che l’uomo è mistero. Mistero perché fatto ad immagine e somiglianza del Mistero di Cristo”.
Giussani riprese l’espressione “senso religioso” da una riflessione dell’allora cardinale e arcivescovo di Milano Montini. Ne fece il punto iniziale di un metodo teologico ed educativo. Oggi il “senso religioso” e, più in generale, la proposta teologica di don Giussani come sono accolti e valutati nel mondo teologico, a livello internazionale? “Soprattutto in Italia, dove è più conosciuto, ma anche in altri ambiti e aree linguistiche, il primo impatto con Giussani è quello che lo riconosce come un grande educatore alla fede e dunque all’umano. Tuttavia, col tempo si riconosce sempre più come la sua proposta educativa è anche foriera di una densità di pensiero filosofico e teologico. Negli anni sono stati pubblicati non pochi volumi in sede accademica che riflettono sul Giussani educatore: questo era il primo approccio. Ma quello di Giussani è un ‘discorso’ – come amava dire – che può riconoscersi originale nell’ordine filosofico e teologico e si vede bene in talune pubblicazioni recenti. Penso anche al mondo anglosassone, al mondo latino-americano dove in più università si trovano docenti che propongono corsi sulla base di testi del don Gius. E’ un segnale di una fase di ricezione ancora in progress, che non sappiamo quanto profonda sarà, ma sono convinto che il suo pensiero potrà essere molto fecondo proprio per la sua originalità: come aveva detto a suo tempo il cardinale Scola, un ‘pensiero sorgivo’. Ecco, questa è la chiave di volta per un approfondimento ulteriore del contributo del pensiero del don Gius”.
Lei è a sua volta teologo e docente. Nei suoi studi ama confrontarsi, e non teme, con le scoperte della scienza e della filosofia. Oggi, rispetto alla cultura classica amata da Giussani – i suoi poeti e filosofi amati – i temi del dibattito contemporaneo preferiscono concentrarsi su concetti come “l’antropocene”, “il transumanesimo”, l’Intelligenza artificiale. Le domande sul fine ultimo dell’esistenza umana, secondo molti pensatori influenti, sono retaggi di cui ci si deve liberare. Che cosa ne pensa? “Brevemente, questi dibatti sull’antropocene, sul transumanesimo eccetera, tutti i tentativi di superare l’umano sono, paradossalmente, degli esempi di un tentativo umano. Ricordiamoci che quel ‘trans’ vuol dire ‘dall’altra parte’, vuol dire ‘al di là’, e questa è la caratteristica tipica dei dinamismi umani di conoscenza, di affezione e di libertà. Il voler andare ‘oltre,’ il tentare di superare l’umano, è un’espressione tipicamente umana. Ritorniamo allora al bisogno di chiarire che cosa sia questo ‘oltre’, questo ‘al di là’: se rimane all’interno di ciò che Charles Taylor ha chiamato ‘umanesimo esclusivo’, o se invece apre a una trascendenza che consente di giungere a un orizzonte all’altezza di quel bisogno di andare ‘oltre’ tipico di tutte le correnti umane, anche di quelle che vogliono superare l’umano eliminandolo”.
Lei indica l’orizzonte di un possibile e ampio confronto tra tutti gli individui, a partire dalle loro convinzioni. Secondo lei Il Senso religioso può costituire anche la base di un dialogo tra cristiani e non cristiani? C’è qualche differenza, da questo punto di vista, tra persone di altre religioni e persone che si professano atee? E ci sono aspetti che ancora vanno indagati, nel contesto “iper-secolarizzato” in cui viviamo? “Per quanto riguarda il mondo occidentale, è un mondo complesso: da una parte molto secolarizzato, soprattutto in certe generazioni e in certe élite, ad esempio quelle universitarie che sono più secolarizzate della media; anche l’opinione dei mass media riflette questa secolarizzazione. Ma nessuno ha potuto impedire, sia per la globalizzazione sia per il fenomeno delle migrazioni, che la religione sia diventata, dopo anni in cui sembrava in calo, un fattore almeno culturale e sociale presente ovunque nel mondo, anche nell’occidente secolarizzato. Diversi sociologi parlano ormai di un’epoca “post-secolare”. E nelle generazioni più giovani riaffiorano tante, ma tante domande di quelle che lei ha chiamato “ultime”, sotto vesti a volte molto problematiche. A questo punto, il percorso del Senso religioso è efficace in un doppio versante: riguardo la chiarificazione sulla pienezza dell’umano, come abbiamo detto; e anche nei confronti delle altre persone religiose con le quali si può fare un paragone critico e stabilire un dialogo sulla base di una descrizione il più possibile compiuta della religiosità. È l’inizio di un cammino condiviso di indagine esistenziale e anche operativa: sia sull’affermazione stessa delle ‘condizione di possibilità’ del Mistero, sia sulle caratteristiche proprie di questo Mistero, a livello di riflessione umana e nella modalità cristiana di percepire e vivere questo ‘misterio eterno dell’esser nostro’, questa profondità irraggiungibile e indisponibile che è il nostro fondamento ultimo: Dio che è il Padre di tutti. Da questa proposta cristiana nascono delle implicazioni culturali, caritative e missionarie veramente determinanti”.
Lei ha scritto un libro con don Giussani, di cui è coautore anche don Stefano Alberto, Generare tracce nella storia del mondo, che può essere considerato una sintesi della riflessione e dell’insegnamento di Giussani. Cosa ritiene che sia l’essenziale del suo carisma? Soprattutto in questo tempo che secondo Papa Francesco è per il movimento di “crisi per la maturazione”?
“Il carisma del don Gius è ancora da scoprire, da vivere fino in fondo. Quando Papa Francesco ci ha richiamato il 15 ottobre dello scorso anno – nel corso dell’udienza in Piazza San Pietro ai membri di Comunione e Liberazione in occasione del centenario della nascita di Giussani – a ‘dare di più’, penso che sia perché effettivamente le dimensioni del dono che lo Spirito Santo ha fatto alla santa Chiesa e al mondo col carisma di Giussani siano ancora da approfondire e da vivere a partire dalla storia che ha generato ininterrottamente fino ad oggi. Da qui sorge la responsabilità di continuare ad accogliere e trasmettere l’incontro con Cristo secondo l’accento affascinante con cui don Gius ci ha conquistati. Per quanto riguarda in particolare il Senso religioso, mi pare che sia uno dei modi più intelligenti ed efficaci di rispondere all’invito del Papa di dare un contributo educativo e missionario, in quanto diventa un metodo particolarmente adeguato per i nostri tempi. Più avremo un atteggiamento di paragone col presente e alzando gli occhi verso il futuro, per giocare, personalmente e comunitariamente, la proposta cristiana ‘in uscita’ apertamente con tutti e con i loro bisogni di ogni tipo entro questa sensibilità tipica di Giussani, più daremo un bel gran contributo al bene della Chiesa e dei fratelli uomini”.