meeting di rimini
Incontrare don Giussani come era, la testimonianza viva dei suoi amici. Un libro inconsueto
Il libro di Massimo Borghesi “In comunione e in libertà-Don Giussani nella memoria dei suoi amici” (Studium edizioni) permette di incontrare il don Gius attraverso la vita, gli incontri e la personalità di questo “strano professore di religione ‘brutto e affascinante’”
La prima impressione, che è sempre quella giusta, di chi entra in contatto con quell’alveare operoso, festoso, ordinato che il Meeting di Rimini è ogni volta la stessa dell’Innominato di Manzoni: “Che allegria c’è? Cos’hanno di bello tutti costoro?”. E rispondere a questa domanda, darsene ragione, è impossibile senza un incontro personale, umano e diretto. Il “segreto” di don Giussani in fondo è tutto lì, in un insegnamento che il suo maestro di seminario, don Gaetano Corti, gli aveva dato: affinché un uomo possa credere in Cristo bisogna che lo conosca, e “per conoscerlo nella sua concreta personalità storica deve in certo modo frequentarlo, come l’hanno frequentato gli apostoli… Anche oggi un uomo deve ripetere in certa maniera e misura l’esperienza dei primi discepoli”. Per tutta la vita Giussani ha trasmesso questo a chi lo ha incontrato. E allo stesso modo oggi il metodo più sicuro per conoscere il don Gius è entrare in contatto diretto con chi lo ha conosciuto, con chi gli è stato amico. E’ anche il metodo migliore per rispondere a quella prima impressione, “cos’hanno di bello tutti costoro?”, che è sempre quella giusta.
Nasce da questa intuizione semplice, ma metodologicamente fondata, un libro curato da Massimo Borghesi, filosofo, dal titolo “In comunione e in libertà-Don Giussani nella memoria dei suoi amici” (Studium edizioni) che permette di fare proprio questo: incontrare il don Gius attraverso la vita, gli incontri e la storia che la personalità di questo “strano professore di religione ‘brutto e affascinante’”, come lo ricordò molti anni dopo uno dei suoi primi allievi al liceo Berchet, Giuliano Pisapia, seppe suscitare. Il tentativo insomma di restituire – soprattutto ai giovani – non solo il pensiero, quasi fosse ormai “un classico” da studiare, ma la fisicità viva di quella sua voce roca, l’intensità dello sguardo, la battuta e la cordialità che “facevano accadere” le cose che diceva. Dunque, scrive Borghesi, il criterio scelto è quello della conoscenza diretta. Il libro raccoglie contributi “di persone che hanno conosciuto direttamente e realmente don Giussani, in grado di documentarne l’umanità, oltre che le idee. Di parlare di lui, di com’era davvero”. Una ventina di racconti, diretti e in prima persona. Ci sono nomi noti per la storia di Cl e anche al di fuori di essa. Da Giulio Andreotti (con un suo ricordo del 2011) al “giovane giessino” Rocco Buttiglione.
Altre invece sono meno solite alla platea pubblica, come la commovente, potente, testimonianza di Monica Della Volpe, monaca trappista e a lungo badessa nel monastero di Vitorchiano nel Lazio: “Eravamo a Varigotti, una ‘tre giorni’ di giovani, e per la prima volta ho ascoltato la parola di quel prete. Ero imbevuta dello spirito del mondo e al primo colpo l’ho odiato. E’ stata come un’esplosione”, racconta ricordano con impressionante nettezza l’avvenimento decisivo di tanti anni fa. C’è la testimonianza del cardinale Scola e quella della musicista Marina Valmaggi, una delle “voci” del canto di Cl. Sfaccettature e intuizioni anche inconsuete di persone come Giorgio Vittadini o Carlo Wolfsgruber, uno dei primissimi collaboratori e responsabile dei Memores, che di questo loro rapporto non hanno però raccontato spesso. Non lo ha incontrato di persona, ma la sua presenza in questo volume dice molto, l’intellettuale teologo musulmano Wael Farouq, da anni impegnato nella promozione di “Il senso religioso” nel mondo islamico.
Giuseppe Frangi è stato testimone diretto, tra le molte altre cose, del primo incontro tra Giussani e Giovanni Testori, pochi giorni dopo il rapimento Moro: incredibilmente icastico nel mostrare la forza umana del “metodo” di Giussani: “In un ristorante di piazza Aquileia, a poche decine di metri dalle mura del carcere di San Vittore”. “Testori titubante e teso: non si sentiva ‘degno’ di questa opportunità”. Entrano nel ristorante, seduto a un tavolo in fondo alla sala c’è Giussani che lo attende in compagnia di alcuni amici. “Appena lo vide, si alzò per andargli incontro. Giovanni era totalmente commosso, sino alle lacrime. Don Giussani, anche lui commosso, lo abbracciò”. Il secondo criterio che Borghesi ha voluto usare “è quello di una memoria condivisa. Giussani ha coinvolto nella storia del suo movimento persone diverse, con sensibilità diverse che non sempre si sono incontrate”. Ma questa polifonia di voci è oggi la prova migliore di quella “comunione in libertà”.