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Pio VII, il Papa troppo sottovalutato che ha segnato una svolta nella Chiesa
A duecento anni dalla morte del pontefice che affrontò Napoleone e che indirizzò per sempre la storia cattolica con le sue scelte
L’agnello e l’aquila si sono incontrati: Pio VII e Napoleone si sono scontrati. Due immagini e simbologie di animali che molto rendono di due protagonisti della storia del primo Ottocento. E’ il tempo del grande cambiamento d’epoca, dalla cristallizzazione degli epigoni della Rivoluzione francese alla sintesi creatrice della Restaurazione. Si tratta di un trapasso di epoca, che ha visto attivi grandi uomini, non solo come Napoleone, ma anche come Klemens von Metternich. Si è in un tempo dei giganti della storia. E in questo periodo Papa Pio VII ha preso decisioni che hanno non solo condizionato, ma propriamente indirizzato la vita della Chiesa del suo tempo e pure della contemporaneità, fino ai nostri giorni.
Il suo predecessore, Pio VI, con l’invasione francese dello Stato Pontificio e di Roma (1798) aveva perso il potere temporale, che indubbiamente era un condizionamento politico, ma indubbiamente anche una premessa di libertà. E’ il tempo dell’esilio papale, della dispersione dei cardinali (due di loro per viltà rinunciano anche al titolo e alla posizione) e della precarietà generale della Chiesa (sembrava la fine della vita religiosa). Pio VI moriva così prigioniero dei francesi, in esilio a Valence, nel 1799, acclamato dai giornali dell’epoca quale l’ultimo Papa della storia, per giunta deriso con il titolo di “cittadino” Braschi.
Il cattolicesimo romano non era però finito. Andava semplicemente rilanciato. E dopo mesi di un conclave bloccato tra veti, desideri cardinalizi di essere eletti Papi e con non celate vanità di esserne almeno i grandi elettori, alla fine i porporati eleggono nel marzo 1800 il cardinale benedettino Barnaba Chiaramonti. Non era la prima scelta e neanche la seconda. Ma ormai spettava a lui il ruolo guida del cattolicesimo, in un tempo della storia, in cui Roma è sempre più centrale nelle dinamiche internazionali e nazionali dei fedeli. Pio VII, sostenuto dal suo fidato cardinale Ercole Consalvi, fu indubbiamente l’artefice della conciliazione della Chiesa con il portato culturale della Rivoluzione francese (si pensi a quando consacrò imperatore Napoleone a Parigi il 2 dicembre 1804). Una intesa sofferta (soprattutto per la libertà di culto), più subìta che voluta, ma comunque accettata e alla fine difesa da chi avrebbe poi voluto insidiarla.
Nella storiografia antica e recente Pio VII è normalmente ricordato in riferimento a Napoleone, considerato il suo destino. Napoleone, che aveva invaso Roma, imprigionato il mite Pio e pure i cardinali e i prelati a lui fedeli, alla fine a sua volta partì in esilio, all’Elba e poi a Sant’Elena. E non vi fece ritorno.
Alla fine sembra aver vinto Pio VII su Napoleone. Ma non è così. Non solo perché l’eredità napoleonica rimase anche dentro la Chiesa, ma per ben altro. Pio VII è vincitore solo perché Napoleone ha perso. Avevano ragione il Papa e il suo ambiente ad esaltare nel 1814-1815 l’azione della Provvidenza divina nella liberazione del pontefice dalla prigionia, perché loro, gli ecclesiastici, non erano riusciti in nulla. Anzi addirittura il Collegio cardinalizio si era spaccato, tra cardinali rossi, fedeli all’imperatore, e cardinali neri, fedeli alle prerogative del Papa. Il Papa è vincitore perché qualcun altro ha perso. Non è vittoria propria. E questa è proprio una tipica storia di Chiesa… Per onestà bisogna riconoscere che tutte le vittorie del Papa del tempo sono dovute ad altri. Anche la vittoria più grande, quella sulla Chiesa gallicana che viene superata con il concordato di Parigi del 1801 che permette al Papa di avvalersi di un potere fino ad allora mai esercitato: dimettere senza giusto processo canonico una quarantina di vescovi francesi. E ciò era stato possibile solo per la determinazione di Napoleone. Per la Chiesa cattolica Napoleone non è stato solo un momento o una parentesi, ma una vera svolta verso la centralizzazione pratica ed affettiva dei fedeli (vescovi inclusi) sotto il Papa. Probabilmente il cardinale Caprara, legato papale a Parigi, non sbagliò a introdurre per il 15 agosto la festa di san Napoleone martire, soldato romano (!). Non sbagliò perché l’imperatore fu un “benefattore” determinante nell’introdurre la Chiesa nella modernità postrivoluzionaria e il Papato nella sua epoca d’oro.
Pio VII dovette comunque affrontare una nuova epoca della sua vita dopo l’imprigionamento napoleonico (1809-1814) e i successi al Congresso di Vienna (1814-1815), che gli permisero il recupero quasi integrale dello Stato della Chiesa. E’ il tempo della Restaurazione, che non è solo fenomeno politico: è l’epoca del romanticismo e del sentimento religioso romantico, che tanto deve alla cultura francese. Si pensi a Joseph de Maistre, ma anche a Félicité de La Mennais. Cosa significava restaurare? Non si trattò di un ritorno al passato, ma di un necessario e faticoso redde rationem di una generazione che doveva prendere le distanze dal proprio passato e misurarsi con la straordinaria carica di innovazione che aveva investito l’Europa intera nell’età napoleonica, dopo la Rivoluzione francese intesa come un diluvio di Noè, da cui scaturì un mondo totalmente nuovo. Si trattò da parte del Papato di una proposta del tutto originale, che allo stesso tempo mirava alla riforma e alla restaurazione della Chiesa. Ne è icona a Roma la Basilica di San Paolo fuori le mura, distrutta nel luglio del 1823 da un incendio, proprio nei giorni di agonia di Pio VII. Nel dilemma della ricostruzione, avviata dal suo successore Leone XII, si era sentita la necessità di salvaguardare oltre che la tradizionale tipologia basilicale anche gli originari materiali costruttivi e l’antico metodo di reimpiego degli spolia. Questo procedimento tecnico diventava il metodo per garantire la continuità con l’antico, tessendo nella trama della ricostruzione le testimonianze della storia millenaria dell’edificio perduto. Ciò avrebbe soddisfatto quella esigenza di continuità tra antico e moderno che con urgenza si sentiva necessario esplicitare sin dai primi anni della Restaurazione. Nel XIX secolo si compì questa operazione culturale di un nuovo uso, nuova riproposizione e ripensamento dell’antico, dopo il radicale e irreversibile cambiamento causato dalla Rivoluzione francese. Non si trattò di un riportare le lancette all’indietro (che è una operazione impossibile). Il Papato di allora aveva allo stesso tempo la consapevolezza della straordinaria opportunità di costruire qualcosa di completamente nuovo e la coscienza della difficoltà di instaurare una qualche forma di continuità tra il presente e il passato, prossimo e remoto. Pio VII non solo ha incarnato questa consapevolezza, ma ne è stato suo attuatore. Vale la pena ricordare questa sua opera a 200 anni dalla sua morte, avvenuta il 20 agosto 1823.