Ecco il grande Sinodo che vuole rivoluzionare la Chiesa

“Tante cose possono accadere”, dicono navigati cardinali, ma nessuno azzarda previsioni. Dal celibato sacerdotale al ruolo delle donne, i cinquecento partecipanti discuteranno di tutto

Matteo Matzuzzi

Sarà un Sinodo come gli altri o una sorta di Vaticano III? Mercoledì la grande apertura in piazza San Pietro, poi confronto per quattro settimane. Il Papa tirerà le somme fra un anno. I fronti già annunciano battaglia e fra cardinali si discute già se il Sinodo, da consultivo qual è, debba diventare "deliberativo"

Qualcosa succederà. Lo dicono tutti, osservatori esperti di cose di Chiesa, preti che sfogliano Avvenire, vescovi con il trolley pronto per Roma. “Tante cose possono accadere, non lo sappiamo”, conferma uno che di Sinodi se ne intende, come il cardinale Christoph Schönborn. Apre il Sinodo sulla sinodalità, prima puntata, da mercoledì prossimo al 29 ottobre. Quattro settimane piene che metterebbero a dura prova la tempra e la resistenza di chiunque, tant’è che sono previsti momenti di “svago”, se così si può dire: intanto il ritiro spirituale a Sacrofano, il pellegrinaggio nelle catacombe sull’Appia antica, il Rosario nei Giardini vaticani davanti alla riproduzione perfetta della Grotta di Lourdes. La seconda puntata, quella presumibilmente decisiva, si celebrerà fra un anno, quando si tireranno le somme del grande dibattito aperto dal Papa tempo fa e svoltosi, fra alti e bassi, in tutto il mondo. Qualcosa succederà, ma nessuno sa cosa. Ufficialmente e aulicamente, nessuno lo sa perché a guidare menti e cuori sarà lo Spirito santo – Francesco lo ripete ogni qualvolta che affronta il tema – ma realisticamente è impossibile fare previsioni. “E’ un’altra occasione di grazia per la Chiesa, un tempo per certi versi simile a quello che è stato il tempo dell’ultimo Concilio, in cui è riecheggiata in maniera insistente la domanda: ‘Chiesa, cosa dici di te stessa?’”, ha detto pochi giorni fa il cardinale Matteo Zuppi aprendo il Consiglio permanente della Cei: “La prossima assemblea del Sinodo dei vescovi – ha aggiunto – si troverà a far risuonare una domanda simile, sulla natura e sulla missione di una Chiesa che voglia essere tutta sinodale, declinando insieme comunione, partecipazione e missione”. Centinaia di teste pensanti, ogni angolo del pianeta rappresentato, idee sul destino della Chiesa sovente agli antipodi. Per una volta, dagli stessi dubbi e dalle medesime insicurezze sono accomunati conservatori e progressisti, ammesso che tali categorie vogliano ancora dire qualcosa, in tempi in cui più o meno tutto è fluido, liquido e relativo. Cosa succederà? Cosa stabilirà il Papa, una volta che le settimane di discussioni, proposte e voti avranno avuto luogo nell’Aula Paolo VI? Perché sarà lì che si celebrerà l’evento, non più nell’Aula Nuova che vide scrutini drammatici e colpi bassi fra porporati nel Sinodo biennale sulla famiglia, agli albori del pontificato bergogliano

 

Nell’Aula Paolo VI (o Nervi) perché i padri – e le madri – saranno tanti, troppi per essere ospitati altrove. 449 i partecipanti: avranno diritto di voto in 365. Venti i delegati delle Chiese orientali, due vescovi cinesi scelti “dalla Chiesa locale d’intesa con le autorità”, una cinquantina i nomi scelti personalmente dal Papa che ha anche selezionato per la prima volta settanta fedeli non vescovi (fra cui cinque consacrate e cinque consacrati). 54 le donne votanti. Sinodo molto eco friendly, tant’è che è stato diffuso perfino un documento in cui si spiega come saranno ridotte le emissioni di anidride carbonica. Niente carta ma tanti tablet da cui si potrà votare e leggere i documenti. Confermata l’alternanza di lavori in plenaria e dibattiti più approfonditi nei trentacinque circoli minori, formati ciascuno da undici persone più un “facilitatore”: quattordici saranno in lingua inglese, otto in italiano, sette in spagnolo, cinque in francese e uno in portoghese. E in tedesco? Nessuno. 

 

Uno dei presidenti delegati, l’ordinario di Dogmatica all’Università Gregoriana, don Giuseppe Bonfrate, disse a luglio che “la rappresentanza è una qualità densa che non potrebbe comprendersi senza sentirsi parte di quell’effervescenza di Spirito Santo che, nell’unione a Cristo e a tutto il genere umano, è la sacramentalità, al cui genere il Concilio Vaticano II associa la Chiesa”. Ci sarà anche Luca Casarini, l’ex leader no global ora convertitosi, che sarà lì a nome di “Mediterranea Saving Humans”. Cooptati anche rappresentanti del “mondo digitale”, perché lo Spirito del tempo richiede anche questo. Non è più l’ora, insomma, di chiusure e di giornalisti costretti a nascondersi nei confessionali di San Pietro per carpire segreti e furibonde liti tra eminentissimi e reverendissimi. La platea è ampia, così come l’ordine del giorno. Era inevitabile che accadesse, dopo anni di consultazioni del Popolo di Dio, infallibile in credendo, che ha partecipato – più o meno attivamente a seconda dei luoghi e dei contesti – alla stesura della lista di richieste da presentare al vertice della cattolicità. Il laicato che il Vaticano II cercava di coinvolgere e che oggi pressoché ovunque si ritiene coinvolto se può organizzare i turni di lettura all’ambone, il coro e tenere in tasca le chiavi di chiesa e oratorio, ha detto la sua. 

 

Il cahier des doléances è scontato e nell’Instrumentum laboris, traccia che dovrebbe – mai come in questa circostanza il condizionale è d’obbligo – ispirare i lavori sinodali, si trova tutto quel che i settori più movimentisti della Chiesa domandano da tempo: fine del celibato sacerdotale, partecipazione delle donne al governo, ai processi decisionali, alla missione e ai ministeri a tutti i livelli della Chiesa, minoranze, disabilità, “eliminazione di barriere, da quelle pratiche ai pregiudizi culturali”, crisi climatica. Tornano perfino i temi del doppio Sinodo sulla famiglia del biennio 2014-15: nuovo approccio alla morale, divorziati risposati, matrimoni poligamici. Utile qui, per fare un po’ di chiarezza, il saggio del teologo Alberto Frigerio, “Morale coniugale. Fondamenti antropologico-teologici e questioni pratico-pastorali”, recentemente pubblicato da Cantagalli (156 pp., 17 euro). Si comprende insomma che solo capire da dove partire è un’impresa titanica, pari forse alla costruzione delle Piramidi nell’Antico Egitto o all’edificazione di una cattedrale gotica nell’Europa medievale. C’è di tutto, in quello che settori molto a destra hanno definito “il vaso di Pandora” da cui uscirà il Male in ogni sua forma, una Babele di richieste che non si sa in che forma potranno essere accettate. Ma anche a sinistra – sempre per usare metafore parlamentari che al Papa dispiacerebbero assai – c’è chi pensa che aver portato tutto al Sinodo è la migliore ricetta per far sì che alla fine il risultato più annunciato alla vigilia sarà quello che si verificherà: una sorta di pareggio con diluizione delle istanze più hard in un documento che riconoscerà la validità e la bontà di certi afflati del Popolo di Dio ma che andranno pensati, soppesati, meditati per qualche tempo. Chissà se per i tempi eterni di Santa Madre Chiesa. Si vedrà, non è tempo né luogo per le divinazioni. 

 

Il cardinale Schönborn, in una lunga intervista concessa ai media vaticani, ha detto che si tratterà di capire “cosa vuole per noi il Signore oggi, per la Chiesa” e che “dunque il Sinodo è un tentativo di approfondire, di imparare, di sperimentare questo cammino del discernimento”. Sinodo che è e resta “consultivo”, precisa l’arcivescovo di Vienna, anche se – e già questo fa capire quanto importante sarà quanto avverrà in Vaticano tra pochi giorni – c’è chi come il cardinale Francesco Coccopalmerio, canonista e presidente emerito del Pontificio consiglio per i Testi legislativi, lo scorso 19 settembre alla Lumsa ha riconosciuto la possibilità che prima o poi il Sinodo diventi uno strumento deliberativo con i laici pienamente integrati al suo interno. Quel che è certo è che i faldoni che i padri si ritroveranno sui banchetti è paragonabile agli schemi che fecero il Vaticano II. Questo è un Sinodo, i tempi per il Vaticano III non sono maturi ha detto il Papa, ma la stessa richiesta di cambiamenti profondi – e che cambiamenti – riporta agli anni Sessanta, al Gaudet Mater Ecclesia di Giovanni XXIII e alla domanda di rinnovamento. Giovanni Maria Vian, storico e direttore emerito dell’Osservatore Romano, non è convinto: “Non sembra proprio che la prima parte di questa assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi si possa assimilare a un Vaticano III, cioè a un concilio che riunisca tutti i vescovi cattolici, decisamente di là da venire”, chiarisce al Foglio. Dopotutto, aggiunge, “lo ha detto lo stesso Papa sottolineando più volte, con ragione, che ancora va applicato il Vaticano II, in larga parte disatteso. A causa di resistenze persistenti poco sensate da una parte e di sterili fughe in avanti dall’altra. Senza contare che l’impresa sarebbe ardua. In che modo sarebbe oggi realizzabile un concilio con quasi il doppio dei vescovi rispetto a quelli presenti al Vaticano II? Ben diverso è il Sinodo dei vescovi, istituito da Paolo VI quasi sessant’anni fa e certo utile nello sviluppare la dimensione collegiale della Chiesa. Ma questo organismo consultivo, e non deliberativo, mostra ora limiti evidenti e una struttura ingessata, a cui hanno cercato di rimediare sia Benedetto XVI introducendo la discussione libera, sia il suo successore che ha voluto opportunamente la lunga fase di riunioni che nei diversi continenti hanno preceduto la riunione attuale. La quale si terrà in due fasi, come il Sinodo sulla famiglia, che ha finito per deludere e accendere polemiche. Invece, questi incontri preparatori, pur con ovvie differenze tra loro, sono stati in genere interessanti, con dibattiti reali tra laici, donne e uomini, preti, vescovi. Che al sinodo dovrebbero tornare utili”. E però un assaggio di quel che si preannuncia lo si è avuto con il Cammino sinodale tedesco, anticipatore di quel che potrà accadere tra poco, spia di una volontà di riforma che ha teso i rapporti con il Vaticano fin quasi allo strappo, fra minacce ben poco velate, lettere di richiamo, interventi del Papa in persona e documenti audaci messi al voto sfidando Roma e i suoi diktat. Non è stato uno spettacolo edificante: è stato il trionfo di quel parlamentarismo tanto e giustamente deprecato da Francesco, le conte all’ultimo voto, i vescovi delusi perché non si era ottenuta la maggioranza prevista su questo o quel testo, la sparuta minoranza che invocava cavilli tecnici e legali per rendere nulle le deliberazioni. La Germania, con la sua crisi di fede acclarata dai numeri – sempre più abbandoni, sempre meno battesimi – non è però un caso isolato, il solito Reno che minaccia di farsi largo nel più stretto Tevere

 

La Germania è bene accompagnata da altre Chiese locali, ciascuna con le sue peculiarità e richieste, con le sue difficoltà. Tanti dei temi emersi nel Cammino sinodale tedesco, ad esempio, sono stati fatti propri in Spagna. E anche in Australia, in America latina. Certo, al Sinodo sarà più complicato, perché davanti al fronte novatore si frapporrà quello che non vuol neppure sentir parlare di adeguamento ai tempi correnti di norme e prassi consolidate nei secoli. Potrà essere ignorata la voce dei padri africani, rappresentanti dell’unico continente dove il cattolicesimo si fa strada? Data la situazione ai blocchi di partenza, non è dunque sbagliato ritenere che il grande Sinodo farà da camera di decantazione fra opposte tendenze, cercando di aggiornare sì, ma con juicio. Mantenendo un equilibrio che tenga tutti insieme pur senza ribadire quel che è già stato detto. Ma potrà bastare? Non ci si è spinti troppo in là per limitarsi a una mediazione generica che metta più o meno tutti d’accordo e rinvii a tempi più tranquilli la risposta alle tante domande che si sono affastellate in questi anni sui tavoli vaticani? Schönborn richiama “la tensione all’unità”, cioè “la ricerca di una unanimità non nel senso parlamentare che tutti devono votare allo stesso modo”, ma ascoltare “la voce dello Spirito santo che va avanti nella ricerca della verità, nella ricerca del bene fino ad arrivare a una quasi unanimità”. Operazione complessa, guardando le carte e l’ordine del giorno, anche se – dice l’arcivescovo di Vienna – “io sono un po’ scettico sul fatto che l’elenco dei temi molto dibattuti soprattutto nel mondo occidentale secolarizzato sia così centrale per tutta la Chiesa”. Fa un esempio concreto, sempre a Vatican News: “Al Sinodo sull’Amazzonia c’è stata da certi gruppi una forte pressione per arrivare a una decisione sui viri probati, l’ordinazione sacerdotale di uomini sposati. Alcuni si sono chiesti come è possibile che vi siano ben 1.200 preti della Colombia, paese che ha molte vocazioni sacerdotali, che vivono negli Stati Uniti e in Canada. Perché un centinaio o duecento di loro non vanno in Amazzonia?”. Insomma, “ci vuole un po’ più di discernimento e anche di onestà nel vedere la complessità delle tematiche”. 

 

E’ proprio questa la grande sfida, capire come unire capitoli di libri diversi: non si tratta qui di discutere di minuzie, di abbellimenti e maquillage: ci sono in ballo questioni fondamentali. La teologa Cettina Militello sta per mandare in libreria (dal 6 ottobre) un saggio (Le chiese alla svolta. Ripensare i ministeri, EDB, 160 pp., 16 euro) in cui lo chiarisce fin dalle prime righe dell’Introduzione: “Le chiese alla svolta... Ai più sembrerà un titolo esagerato. Ma – ne sono pienamente convinta – il nostro è un tempo di obbligato cambio di passo, di ‘svolte’, appunto. E in quest’ottica di necessario e necessitato mutamento il problema è – a mio parere – quello del ‘ministero’ e dei ‘ministeri’”. Per capire meglio di cosa si tratti, basta leggere qualche pagina dopo: “La non ammissione delle donne al ministero non ha nessun supporto d’indole metafisica, antropologica, cristologica, ecclesiologica, sacramentaria. E’ e rimane una questione ‘culturale’. Questo non semplifica le cose perché la cultura è ancora segnata dall’ipoteca patriarcale e la chiesa cattolica ne è ultima custode. Dobbiamo acquisirne coscienza. Ne va l’autenticità del messaggio cristiano. Ridurre il dettato di Gal 3,28 alla sola valenza battesimale oggi non basta a rendere credibile l’annuncio. La Chiesa ha da profetizzare un mondo in cui le contrapposizioni discriminanti di carattere sociale, etnico, sessuale sono definitivamente sconfitte”. Anche discutere, come si fa da tempo, del diaconato femminile, ha poco senso: “Il problema resta il ministero tout court. Dunque nessuna scorciatoia depistante e umiliante!”, scrive Militello: “Piuttosto, il porsi reiterato del problema apra con urgenza la questione del ministero. Lo si esamini davvero a tutto campo. Se restituito alla sua indole nativa di servizio (diakonia), cadranno anche le ragioni dell’esclusione delle donne. Ma proprio questa è la sfida che investe soprattutto i percorsi di formazione”. 

 

Da Chicago, il cardinale Blaise Cupich, longa manus di Papa Francesco in terra americana, pur essendo annoverabile tra le file dei novatori, rassicura: niente paura, ha scritto poche settimane ai suoi fedeli e ai suoi preti, invitando a non dare retta a quanti – e negli Stati Uniti sono parecchi – sono convinti che il Sinodo “modificherà radicalmente l’insegnamento e la pratica della Chiesa, allineando entrambi con le idee secolari e provocando uno scisma”. Anche perché, ha ricordato, “la domanda principale” dell’appuntamento di imminente apertura è quella di capire come restare fedeli “al piano di Cristo per la Chiesa”. In ogni caso, non ci dovrà essere spazio – soprattutto mediatico – per chi travisa “totalmente l’obiettivo del Sinodo sulla sinodalità”, facendosi così “profeta di sventura”, tanto per citare Giovanni XXIII. La missione di Cupich è però ardua, anche perché i toni apocalittici di chi teme la devastazione della Chiesa e gli accenti giacobini di chi non vede l’ora di rivoluzionare l’esistente spesso provengono dalle stesse gerarchie cattoliche. S’è detto di certe falangi tedesche, pronte a calare su Roma accompagnate da tamburi e fanfare, ma anche tra i profili più moderati c’è chi teme che poco cambierà, provocando quindi reazioni non facilmente anticipabili tra il Popolo di Dio. L’arcivescovo emerito di Dublino, mons. Diarmuid Martin, sospetta che le tante aspettative create nella Chiesa andranno deluse, a cominciare dalla maggiore partecipazione delle donne. Aspettative che, dice, andranno “sicuramente frustrate”. Si torna allora alla domanda centrale: fino a dove ci si potrà spingere? Fino a che punto la corda potrà essere tirata senza che si spezzi? Un cardinale della periferia, l’arcivescovo di Stoccolma Anders Arborelius, carmelitano pragmatico, proprio sul tema della donna nella Chiesa ha detto che bisognerà discuterne, ma senza che si arrivi all’ordinazione femminile. 

 

Lo scorso maggio, sulla Croix (il testo è stato meritoriamente tradotto in italiano dalla rivista Il Regno), il filosofo e sociologo delle religioni Jean-Louis Schlegel, già direttore della rivista Esprit, ha scritto che numerose sono le “voci episcopali che affermano che l’essenziale è l’evento in sé, più che i suoi risultati: nella sua preparazione e, speriamo, nel suo seguito, questo Sinodo senza precedenti avrà mobilitato e invitato a ‘camminare insieme’ un gran numero di cattolici in tutto il mondo. Altri dicono di preferire una Chiesa che diventa sinodale per sempre, cioè in continuo movimento, piuttosto che riforme una tantum che rafforzino l’inerzia generale e vengano presto dimenticate. Tutto questo è vero, ma non è forse per prevenire la delusione che facciamo questi commenti inconcludenti?”. Secondo Vian, “bisogna tenere presente che i media rimbalzano sempre le posizioni più estreme, in un senso o nell’altro. E senza dubbio ci sono vescovi che puntano a cambiamenti radicali su temi che fanno notizia, mentre altri gridano allo scisma, se non all’eresia: si pensi alla Germania e agli Stati Uniti, due esempi tra loro opposti. Prevarrà con ogni probabilità il centro, molto più vasto, anche se il Papa ha messo in guardia da letture politiche dell’assemblea. Ma sarà impossibile controllare l’informazione, con centinaia di partecipanti ai lavori. Il tema della sinodalità è poi talmente generico da abbracciare tutto, mentre l’uso ossessivo del termine ha provocato reazioni critiche, garbate ma solide, sulla lontananza dalla prassi orientale, idealmente presa a modello. Del resto il Sinodo dei vescovi come organismo mondiale consultivo della Santa sede è ben diverso non solo dal concilio, ma anche dai sinodi, orientali e occidentali, che si sono sempre tenuti nelle diverse confessioni cristiane. Fondate sono poi le critiche sull’esercizio poco collegiale, anzi fortemente autocratico, del potere papale. E questo viene sostenuto in modo acritico non solo sui media soprattutto italiani, ma anche con affermazioni giuridiche e teologiche estreme, forse non teorizzate nemmeno al tempo del Vaticano I che decretò l’infallibilità del Pontefice, ma entro limiti ben circoscritti e ribaditi poco dopo dallo stesso Pio IX”. A ogni modo, ha ammesso Schlegel, “i timori che i cambiamenti ritenuti essenziali da chi ha partecipato alle assemblee preparatorie vadano delusi sono prematuri. Lasciamo che la discussione sinodale sulle proposte provenienti dalla base si svolga, senza pregiudicarne l’esito: chissà che i partecipanti non entrino in una dinamica di aggiornamento imprevista, come al Concilio Vaticano II…”, con quei puntini di sospensione che molto vogliono significare, e cioè la speranza che dagli schemi preparatori preconfezionati possa scaturire qualcosa di nuovo, proprio come sessant’anni fa. “Tuttavia – prosegue il filosofo francese – sarebbe bene non nascondere sotto il tappeto una difficoltà formidabile, di cui la preparazione del Sinodo ha mostrato in modo caricaturale l’attualità e che, a mio avviso, viene velocemente trascurata: la conferma dello stato di frammentazione e persino d’implosione della Chiesa”.  Che poi è la polarizzazione estrema, tra chi piange su quello che considera lo scempio dell’ultimo Concilio e chi ritiene che il Vaticano II abbia deluso le attese di chi auspicava una Chiesa davvero nuova. “Sì, il vero rischio è un’ulteriore polarizzazione delle posizioni”, dice ancora Giovanni Maria Vian, “e dunque l’aggravarsi delle divisioni nella Chiesa. Storicamente il cattolicesimo si è tenuto più unito di altre confessioni cristiane proprio grazie al ruolo unico del Papa, che non è però un vescovo diverso e superiore agli altri, come si è letto di recente. E’ il successore del primo degli apostoli, all’interno di un collegio, e in una dimensione di carità, come si afferma sin dagli inizi del II secolo, ancor prima dell’avvento dell’episcopato monarchico a Roma diversi decenni più tardi. E’ il ‘servo dei servi di Dio’, come si definisce Gregorio Magno verso la fine del VI secolo, inventando il titolo più carico di significato per il ‘Romano Pontefice’. E al Papa, che si richiama all’autorità degli apostoli Pietro e Paolo, spetta il compito difficile e faticoso di comporre posizioni diverse, come durante il Vaticano II è riuscito a fare Paolo VI”.

 

Anche le risposte alla fase diocesana, quella che più ha visto il coinvolgimento dei laici – che poi, almeno in Europa, sono coloro che animano la vita parrocchiale – sono state scarse e molto elitarie. Il coinvolgimento, salvo rare eccezioni, ha riguardato chi già s’impegna nella vita quotidiana della Chiesa. Numeri bassi, anche se la Conferenza episcopale italiana s’è detta comunque soddisfatta. Poteva sempre andare peggio. E il concorso del Popolo di Dio, dei laici, non ha fatto altro che mettere in risalto questa frattura. Scrive ancora Schlegel: “Ci troviamo quindi su due fronti contrapposti. La ‘Chiesa multipolare’ (Nathalie Becquart), generazionale e fortemente divisa dal suo recente passato, può essere riconciliata e superata? E’ difficile immaginarlo, perché oggi abbiamo a che fare con concezioni molto diverse e parallele della Chiesa, della liturgia e del sacerdote, della fede e della morale, della vita cristiana nel mondo e, infine, del significato della religione e del ‘sacro’. Non è appunto di questo che dovremmo parlare al Sinodo?”.  Il fatto è che “le aspettative di un rinnovamento sono il minimo che ci si deve attendere per una Chiesa cattolica bloccata in una crisi profonda perché senza memoria, e senza attrattiva per un mondo che la guarda deluso, se non peggio”, chiosa Vian. “A causa dello scandalo vergognoso e persistente degli abusi, a causa dell’insopportabile emarginazione delle donne, a causa delle strutture di potere clericali che restano impermeabili a ogni critica, a causa dell’inadeguatezza nella testimonianza e nella predicazione del Vangelo”. 

 

Chissà se tra un mese, a lavori conclusi, Papa Francesco potrà rallegrarsi di aver assistito a un grande momento di comunione spirituale e non, come ha detto tornando dalla Mongolia, “un programma televisivo dove si parla di tutto”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.