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La prima parte del Sinodo si chiude con un documento indolore ma che pone le basi per la svolta
Non vi è quello slancio novatore che molti si attendevano (chi temendolo chi auspicandolo), ma più che altro è una traccia che servirà a sviluppare un dibattito – questa è la speranza di padri e madri – più coinvolgente e centrato sulle grandi questioni che dovranno delineare la Chiesa di domani
Ma quali diaconesse, a cambiare la Chiesa sarà la sinodalità permanente. Il timore della minoranza è per l'annunciata riforma del Codice di diritto canonico
Sabato sera, in orari inconsueti per il Vaticano (le 21.30) è stato diffuso il documento di sintesi della prima sessione sinodale sulla sinodalità. Il ritardo – di un’ora e mezza sulla tabella di marcia prevista – aveva alimentato voci incontrollate su dissidi interni, proteste, scontri alla presenza del Papa. Invece, a leggere le quarantadue pagine del rapporto, non si scorge nulla di tutto ciò. Anzi, risulta perfino sorprendente che ci siano stati 69 voti contrari (il più alto numero di non placet) al paragrafo sul diaconato femminile: che fosse uno dei temi “caldi” del dibattito lo si sapeva da tempo, ma il punto su cui è stata trovata la convergenza è del tutto indolore perfino per i più granitici oppositori delle cosiddette diaconesse: “Sono state espresse posizioni diverse in merito all’accesso delle donne al ministero diaconale. Alcuni considerano che questo passo sarebbe inaccettabile in quanto in discontinuità con la Tradizione. Per altri, invece, concedere alle donne l’accesso al diaconato ripristinerebbe una pratica della Chiesa delle origini. Altri ancora discernono in questo passo una risposta appropriata e necessaria ai segni dei tempi, fedele alla Tradizione e capace di trovare eco nel cuore di molti che cercano una rinnovata vitalità ed energia nella Chiesa. Alcuni esprimono il timore che questa richiesta sia espressione di una pericolosa confusione antropologica, accogliendo la quale la Chiesa si allineerebbe allo spirito del tempo”. Stop.
Siamo sempre lì: approfondire, studiare, discutere e maturare una posizione preferibilmente entro la prossima sessione (autunno 2024). Il paragrafo rientra fra le “questioni da affrontare” e si limita a rappresentare le diverse posizioni emerse in assemblea, benché vi sia generale consenso sulla necessità di “ampliare l’accesso delle donne ai programmi di formazione e agli studi teologici” con tanto di inserimento “nei programmi di insegnamento e formazione dei seminari”. Inoltre, ma qui lo stesso documento ammette che qualche passo di sostanza è già stato fatto, “è urgente che le donne possano partecipare ai processi decisionali e assumere ruoli di responsabilità nella pastorale e nel ministero”.
Anche sul celibato sacerdotale, su cui si minacciavano fuochi, fiamme e calamità d’ogni tipo, niente di nuovo: “Sono state espresse valutazioni diverse sul celibato dei presbiteri. Tutti ne apprezzano il valore carico di profezia e la testimonianza di conformazione a Cristo; alcuni chiedono se la sua convenienza teologica con il ministero presbiterale debba necessariamente tradursi nella Chiesa latina in un obbligo disciplinare, soprattutto dove i contesti ecclesiali e culturali lo rendono più difficile”. Quindi, l’ammissione che “si tratta di un tema non nuovo” che comunque “richiede di essere ulteriormente ripreso” (hanno votato Sì in 291, hanno votato No in 55). “Deluso ma non sorpreso” si è detto padre James Martin per il fatto che l’acronimo non compare in alcuna riga del documento: nel documento di lavoro, l’Instrumentum laboris, c’era eccome, tanto da alimentare da un lato grandi aspettative su riforme imminenti e dall’altro il timore per derive anche su questo punto. Nulla di tutto ciò: “Alcune questioni, come quelle relative all’identità di genere e all’orientamento sessuale, al fine vita, alle situazioni matrimoniali difficili, alle problematiche etiche connesse all’intelligenza artificiale, risultano controverse non solo nella società, ma anche nella Chiesa, perché pongono domande nuove. Talora le categorie antropologiche che abbiamo elaborato non sono sufficienti a cogliere la complessità degli elementi che emergono dall’esperienza o dal sapere delle scienze e richiedono affinamento e ulteriore studio”.
E’ un documento transitorio, si potrebbe dire preparatorio in vista della seconda e decisiva sessione del prossimo anno. Un rapporto che tiene dentro tutto ma che ha come filo conduttore la richiesta di pensare e attuare una Chiesa davvero sinodale. Cosa voglia dire va ancora chiarito e lo stesso documento lo ammette: “Sappiamo che ‘sinodalità’ è un termine sconosciuto a molti membri del Popolo di Dio, che suscita in alcuni confusione e preoccupazioni. Tra i timori vi è quello che l’insegnamento della Chiesa venga cambiato, allontanandoci dalla fede apostolica dei nostri padri e tradendo le attese di coloro che anche oggi hanno fame e sete di Dio. Tuttavia, siamo convinti che la sinodalità è una espressione del dinamismo della Tradizione vivente”. Quindi si osserva che “senza sottostimare il valore della democrazia rappresentativa, Papa Francesco risponde alla preoccupazione di alcuni che il Sinodo possa diventare un organo di deliberazione a maggioranza privo del suo carattere ecclesiale e spirituale, mettendo a rischio la natura gerarchica della Chiesa. Alcuni temono di essere costretti a cambiare; altri temono che non cambierà nulla e che ci sarà troppo poco coraggio per muoversi al ritmo della Tradizione vivente”. Insomma, si scrive poco dopo nel documento, “occorre chiarire il significato di sinodalità ai diversi livelli, dall’uso pastorale a quello teologico e canonico, scongiurando il rischio che suoni troppo vago o generico, o che appaia come una moda passeggera. Allo stesso modo, si ritiene necessario chiarire il rapporto tra sinodalità e comunione, così come quello tra sinodalità e collegialità”. Si ritiene “prioritario l’allargamento del numero delle persone coinvolte nei cammini sinodali, superando gli ostacoli alla partecipazione finora emersi, così come il senso di sfiducia e i timori che alcuni nutrono”. Ed è meglio prepararsi a “una revisione del Codice di diritto canonico e del Codice dei canoni delle Chiese orientali”.
Proprio questo punto, la riforma del Codice, ha destato preoccupazione fra quanti temono che il prossimo anno si arriverà a proposte da sottoporre al Papa ben più concrete e “di rottura”, magari anche sul diaconato femminile e sul celibato sacerdotale. In generale, tutto il documento è pervaso dalla volontà di rendere tutti più partecipi del processo decisionale, che resta sì sub Petro ma che deve necessariamente allargarsi a vescovi, diaconi e laici (questi ultimi chiamati anche a dire la loro circa la nomina dei vescovi). E’ la corresponsabilità, insomma, che fa pendant con la sinodalità. Non vi è quello slancio novatore che molti si attendevano (chi temendolo chi auspicandolo), ma più che altro è una traccia che servirà a sviluppare un dibattito che – questa è la speranza di padri e madri – più coinvolgente e centrato sulle grandi questioni che dovranno delineare la Chiesa di domani. A scorrere le pagine si ha talvolta l’impressione di essere immersi in quel “tik tok chiesastico” definito da Alberto Melloni, ma è anche vero che l’ampiezza dell’Instrumentum laboris – che andava dai ministeri ordinati alle migrazioni – rendeva impossibile, in un mese scarso, produrre un testo più puntuale e netto. Anche perché il rischio sarebbe stato quello di spaccare l’assemblea, andando alla conta all’ultimo voto (o quasi) sui singoli paragrafi, anche se stavolta i numeri dei partecipanti erano tutti dalla parte dei “riformisti”.
Il Sinodo ha avviato nuovi processi, è una barca che ha preso il largo e non si sa bene dove andrà ad attraccare. Però qualcosa, date le premesse, accadrà. Non a caso il presidente della Conferenza episcopale tedesca, mons. Georg Bätzing, si è detto soddisfatto di quanto votato e approvato, un primo passo verso riforme più ampie e radicali come chiesto e a tratti preteso dall’esuberante Cammino sinodale che ha avuto luogo in Germania.
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