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A complicare i rapporti tra Israele e il Papa ci si mette pure al Azhar
Il principale interlocutore del Vaticano nel mondo islamico sunnita chiede al mondo arabo di riunirsi contro "l'usurpatore" israeliano
Il Grande imam di al Azhar è Ahmed al Tayyeb, con cui il Papa ha firmato il documento sulla fratellanza umana ad Abu Dhabi. Ma è lo stesso che invocò la moltiplicazione degli attacchi suicidi nei Territori palestinesi
A rendere complicati i rapporti tra la Santa Sede e Israele – rapporti che mai sono stati semplici – c’è anche la presa di posizione dell’università di al Azhar, una delle più prestigiose istituzioni dell’islam sunnita (è anche detta “il Vaticano dell’islam sunnita”), che da giorni si esprime in maniera molto netta rispetto a quanto accade a Gaza.
La linea di al Azhar rende tutto più complicato perché fin dall’inizio del pontificato di Francesco il grande centro sunnita del Cairo è stato rivestito di un ruolo fondamentale nel dialogo interreligioso con le realtà musulmane e il suo grande imam, Ahmed al Tayyeb è diventato l’interlocutore privilegiato del Pontefice regnante per tutto ciò che attiene ai rapporti con la variegata realtà musulmana. Oltre a essere stato ricevuto più volte a Roma, al Tayyeb ha firmato con il Papa il documento sulla “Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”. Il testo, che reca la data del 4 febbraio 2019 e fu siglato ad Abu Dhabi, afferma anche che “al Azhar insieme alla Chiesa cattolica dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio”. Soprattutto, recita il documento, “dichiariamo – fermamente – che le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue”. Posizione moderata che ora viene lasciata da parte in seguito a quanto accaduto dal 7 ottobre in poi: “I palestinesi stanno affrontando il fuoco inviato dall’esercito terroristico dell’occupazione israeliana spogliato di ogni senso di moralità e umanità, che sta compiendo vari crimini brutali, tra cui bombardare ospedali; distruggere moschee e chiese; e uccidere bambini, donne, giornalisti e cittadini innocenti”. Non solo: al Azhar ha anche elogiato le posizioni prese da quanti “non sono rimasti in silenzio”, chiedendo altresì la condanna dei “brutali massacri commessi a Gaza” e auspicando che i governi arabi e islamici sostengano “i palestinesi e fermino l’oppressione di questa entità usurpatrice”. Alla posizione del centro sunnita del Cairo si associa l’Unione degli studiosi musulmani, che ha emesso una fatwa chiamando tutti i musulmani (sciiti e sunniti) a unirsi nella guerra santa contro Israele.
Per la Santa Sede ora la situazione si fa complessa: dal giorno dopo il massacro nei kibbutz, il Vaticano è pressato dalle autorità israeliane che chiedono di condannare senza obiezioni di sorta (nemmeno umanitarie) quanto commesso da Hamas. Prima la nota dell’ambasciata israeliana che condannava l’immorale ambiguità linguistica dei patriarchi di Gerusalemme, quindi il comunicato del ministro degli Esteri Cohen che biasimava l’equidistanza delle gerarchie cattoliche. Infine, le dichiarazioni del presidente Herzog che – intervistato a “Porta a Porta” – domandava al Papa di schierarsi esplicitamente. Da Francesco al segretario di stato, però, la risposta è stata ferma: si condanna l’atto terroristico di Hamas ma non si può non piangere le vittime civili nella Striscia. Bergoglio ha chiesto fin da subito l’immediata liberazione degli ostaggi, auspicando però che sia rispettato il diritto umanitario nei confronti della popolazione di Gaza. Il segretario di stato, il cardinale Parolin, ha ribadito la posizione classica della Santa Sede, che negli ultimi anni sembrava accantonata: due popoli, due stati e Gerusalemme con statuto speciale. Il problema è ora che la disputa si sposta sul piano religioso e se l’alleato di Francesco per i rapporti con l’islam si spinge a chiamare a raccolta tutti gli arabi per fermare “l’entità usurpatrice”, sarà arduo firmare nuovi documenti “di pace” con tale autorità. Che peraltro non è nuova a uscite del genere: Ahmed al Tayyeb – che ruppe ogni rapporto con la Santa Sede in seguito alle parole pronunciate da Benedetto XVI all’Angelus del 2 gennaio 2011, quando commentò l’attentato islamista a una chiesa copta di Alessandria d’Egitto – è sempre colui che, quand’era muftì d’Egitto, un ventennio fa, disse che “la soluzione al terrorismo israeliano sta nella proliferazione degli attacchi di martirio che terrorizzino i cuori dei nemici di Allah”.
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