Il messaggio
A quasi un anno dalla morte, un convegno s'interroga sul bilancio del pontificato di Benedetto XVI
"Benedetto XVI ha scelto la fiducia in Dio e nell’uomo. Ha scelto l’armonia tra fede e ragione. Questa è la sua eredità". L’intervento (in anteprima) del direttore del Dipartimento di storia della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana
Pubblichiamo in anteprima l’intervento che Roberto Regoli, direttore del Dipartimento di storia della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana, terrà oggi come Introduzione ai lavori del convegno "Benedict XVI’s Legacy: Unfinished Debates on Faith, Culture and Politics".
"Va posta sin dall’inizio una domanda chiara e diretta: il pontificato di Benedetto XVI è stato un successo o un fallimento? È impossibile dare una risposta breve e semplice. Si può risalire a un evento che ha avuto luogo circa mille anni fa. Come concluse il suo pontificato Gregorio VII (1073-85), un Papa zelante e riformatore che affrontò grandi crisi nella Chiesa? In esilio a Salerno. Morì fuori Roma. Tutto sembrava un fallimento. Eppure è stato il pontificato più importante di tutto il secondo millennio della cristianità. Ha dato un volto al cristianesimo successivo e ha lasciato un’impronta permanente nell’esercizio del governo della Chiesa. Benedetto XVI non era in esilio, ma era nascosto al mondo.
Con questo sguardo possiamo pensare all’eredità di Benedetto XVI come a qualcosa che si capirà solo a lungo termine. Il suo pontificato sembra un fiume sotterraneo: sappiamo da dove nasce, ma non sappiamo con certezza dove andrà a finire.
Come valutare il pontificato di Benedetto XVI? Quando è stato eletto nel 2005, poteva sembrare che Ratzinger sarebbe stato un pontefice di transizione, soprattutto a causa della sua età avanzata e del fatto che non sembrava che si sarebbe discostato dall’approccio magisteriale generale del suo predecessore, Giovanni Paolo II. Tuttavia, la realtà, al momento della sua rinuncia nel 2013, non era conforme a queste aspettative iniziali. Il suo pontificato è stato molto più significativo nella storia del cattolicesimo.
Non è stato il pontificato della 'restaurazione' che molti temevano e altri speravano. Più che altro, è stato un pontificato di consolidamento: un pontificato che avrebbe anche alzato la posta in gioco e corso dei rischi. Benedetto XVI ha saputo affrontare con originalità e determinazione il problema degli abusi, in particolare quelli sessuali su minori da parte di chierici. È possibile comprendere il pontificato solo nell’ottica della riforma ecclesiale, e in particolare della riforma papale. Non è un caso che il Papa abbia coordinato una simultanea e sistematica riforma sul fronte liturgico e teologico attraverso iniziative 'ecumeniche' (in primis con i lefebvriani e gli anglicani), nonché sul fronte canonico (modificando il Codice del 1983 con la creazione degli 'ordinariati personali').
Come valutare il pontificato benedettino? Appare rivelatrice la risposta che Benedetto XVI ha dato al giornalista Peter Seewald quando gli è stato chiesto: 'Lei è la fine del vecchio o l’inizio del nuovo?'. Il Papa ha risposto: 'Entrambi'. Sia la domanda che la risposta erano brevi e azzeccate. Il suo pontificato rifugge da ogni rigida categoria.
Uno degli elementi caratteristici del pontificato di Benedetto XVI è stato quello dell’apertura intellettuale e dell’incontro con esponenti di altre tradizioni culturali e religiose. Questo atteggiamento ha permesso vari riposizionamenti culturali dei partner del dialogo, che hanno risposto anche alla frequente preoccupazione che una civiltà non possa sopravvivere senza una grande religione che la sostenga e la animi. Ma la motivazione del Papa per il dialogo è stata molto più profonda, perché consisteva soprattutto in una preoccupazione pastorale.
Il Papato di Ratzinger ha centrato il confronto con il mondo intorno ai temi antropologici, a difesa della persona, rivendicando per la Chiesa propri spazi nel campo della politica e della bioetica. Il pontificato di Benedetto XVI non giunge a mediazioni con le società occidentali che prescindono dalla verità di Dio, per le quali prospetta solo un orizzonte di desolazione, ma, allo stesso tempo, sa riconoscere presenti nella modernità 'valori morali che vengono proprio anche dal Cristianesimo'.
L’interpretazione dell’ambito politico da parte di Benedetto XVI è primariamente di ordine teologico e si inserisce nel più ampio dibattito internazionale, nato dopo l’11 settembre 2001, sul ruolo pubblico della religione. Per il pontefice in qualche modo il cristianesimo non conosce nessuna 'teologia politica', ma 'soltanto un ethos politico' per cui 'la civitas Dei non può mai diventare una realtà statale empirica', come lo Stato può essere soltanto una civitas terrena. Benedetto XVI vuole svincolare il cristianesimo dal rischio di una teologizzazione della politica, come pure di una politicizzazione della teologia.
Questa impostazione generale suscita molte reazioni nel mondo intellettuale, tanto da avviare più dialoghi. Si pensi al dialogo tra Benedetto XVI ed il filosofo italiano Marcello Pera. Si pensi pure all’inaspettato incontro intellettuale con il filosofo marxista Jürgen Habermas, all’eco del discorso papale in Francia agli intellettuali al College des Bernardins o agli intellettuali marxisti italiani in dialogo con la teologia di Ratzinger.
Il pontificato di Benedetto XVI ha esposto la Chiesa su più fronti, culturali, politici ed etici. Senza eccessive preoccupazioni di ricerca del consenso, il Papa ha avviato processi di confronto, che hanno toccato l’identità ultima dell’uomo, destando adesioni e contrapposizioni. L’uscita di scena anticipata da parte del Papa, tuttavia, sembra aver arrestato il naturale sviluppo di quei nuovi percorsi.
A fronte di tutto ciò, torna la domanda iniziale: come valutare questo pontificato? Solo tramite una sua onesta valutazione si può giungere a una corretta considerazione del lascito di Ratzinger, tanto da poterlo valorizzazione, non a livello conservativo e museale, bensì in maniera viva e dinamica. Non si tratta tanto di ripetere le sue argomentazioni, riprendere i temi a lui cari o il suo metodo, quanto e soprattutto a livello teologico e sapienziale di inserirsi nello sguardo con cui Ratzinger si è inserito nello sguardo di Cristo. In ultimo, 'è il riconoscere che la traditio della fede è appunto questione di sguardi, che sanno di storia e che la fanno'.
C’è un bilancio del pontificato compiuto dallo stesso Benedetto XVI, dato ai fedeli il 27 febbraio 2013, cioè il giorno prima della sede vacante. È una lettura chiaramente teologica, ma affascinante per capire la mente del Papa. È una citazione lunga, ma vale la pena riprodurla integralmente: 'È stato un tratto di cammino della Chiesa che ha avuto momenti di gioia e di luce, ma anche momenti non facili; mi sono sentito come san Pietro con gli apostoli nella barca sul lago di Galilea: il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate e il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa, e il Signore sembrava dormire. Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è Sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare'.
L’eredità di Benedetto XVI è questa fede semplice e piena; è la visione di una Chiesa bella che è opera di Dio e non dell’uomo. L’eredità è la fiducia radicale in Dio. Un aspetto di non poca importanza in un’epoca stanca e autodistruttiva che esalta l’uomo ma alla fine lo umilia continuamente. Benedetto XVI ha scelto la fiducia in Dio e nell’uomo. Ha scelto l’armonia tra fede e ragione. Questa è la sua eredità".
Roberto Regoli è professore di storia contemporanea alla Pontificia Università Gregoriana, dove dirige il Dipartimento di storia della Chiesa e la rivista "Archivium Historiae Pontificiae"