L'intervista
"Al posto di Cristo oggi c'è il patriottismo". Parla l'arciprete russo Uminskiy
La versione del religioso sospeso a divinis dal Patriarcato di Mosca perché non pregava per la vittoria della Russia ma per la pace con l'Ucraina
Aleksei Anatolevič Uminskiy, nato a Mosca nel 1960 “e ancora vivo” (sorride); arciprete tra i più famosi della Chiesa ortodossa russa, scrittore di libri, conduttore televisivo e documentarista; moglie, un figlio e un padre anzianissimo; sospeso a divinis il 13 gennaio dal tribunale ecclesiastico del Patriarcato di Mosca perché a messa non si è adeguato alla preghiera per la vittoria degli eserciti russi e invece invocava la pace. La parrocchia della Santissima Trinità in Chochlì, un antico quartiere ucraino nel centro di Mosca, dopo decenni gli è stata tolta ed è stata affidata al pope Andrei Tkaciov, popolare conduttore televisivo sul canale putiniano Zarigrad. L’estromissione di Uminskiy dalla Chiesa russa in questi giorni è stata oggetto di appelli ed è stata raccontata sui maggiori giornali internazionali, compreso Il Foglio (un bell’articolo di Adriano Sofri). Questa è la prima intervista sulla vicenda. (“E sarà l’unica”, precisa).
Padre Alessio, continui la sua carta d’identità immaginaria.
"Sono stato ordinato sacerdote il 9 settembre 1990"
Il giorno della sua ordinazione è un dettaglio rilevante?
"Sì. Sono stato ordinato nello stesso giorno in cui a Sergiev Posad, allora si chiamava Zagorsk, è stato ucciso a colpi di ascia padre Aleksandr Men’, missionario, uomo di cultura, molto aperto, impegnato nella ripresa delle attività della Chiesa nell’Urss. Già, a quel tempo esisteva ancora l’Unione Sovietica".
Sono passati più di 30 anni. Che cosa è cambiato dai tempi dell’Urss?
"Erano gli anni del 'nuovo battesimo' della Russia. Al tempo di Michail Gorbaciov la Chiesa aveva ricevuto la libertà di culto e la possibilità di insegnare ai suoi parrocchiani la fede, la possibilità di celebrare la liturgia senza vincoli non solamente nelle chiese ma anche in luoghi come prigioni, la possibilità di aprire le scuole private con orientamento religioso nelle quali ho insegnato catechismo per tutti questi anni. In quegli anni erano state riaperte e restaurate migliaia di chiese antiche e storiche, vennero anche costruite chiese nuove. E in quegli anni si cominciarono a sviluppare le relazioni fra chiesa e stato".
Le relazioni stato-chiesa sono un punto centrale.
"Queste relazioni con lo stato rappresentavano un mondo nuovo per la Chiesa russa, perché la Chiesa non aveva alcuna esperienza di libertà. Durante gli anni dell’impero russo, la Chiesa era subordinata all’impero, e durante gli anni sovietici era sottoposta la pressione dello stato, del Kgb e di tutti i servizi speciali, ed era limitata nelle sue vocazioni. Ora finalmente avevamo la speranza di una rinascita della Chiesa. Nei primi anni della 'perestroika' lo stato era quasi indifferente per quanto riguarda la Chiesa, ma invece la Chiesa era molto attiva nel cercare la possibilità di costruire questa relazione con lo stato perché ne aveva bisogno per avviare le sue attività in tutti gli aspetti della vita della società. A poco a poco lo stato faceva comprendere alla Chiesa le sue condizioni in cambio di questa relazione".
Questo è il punto. Ma facciamo un salto in avanti di 30 anni.
"Oggi la Chiesa ortodossa russa ha ricevuto quasi tutto: la possibilità di costruire chiese, di entrare nelle università nonostante le proteste dei professori, di comunicare con l’esercito, di dialogare con i carcerati, di protestare contro l’aborto e di esprimersi sui temi etici; ha ottenuto anche una tribuna in Parlamento e il patriarca può parlare con deputati e governo. Il patriarca pensa che tutto ciò vada a suo merito, gloria e vittoria. Era il sogno del maestro e direttore spirituale del patriarca – era il metropolita Nikodim – il quale nel periodo sovietico diceva che…"
È ancora vivo Nikodim?
"No, il metropolita Nikodim morì nel 1978 a Roma, quando era venuto al funerale del Papa Paolo VI e per l’omaggio a Papa Paolo Giovanni I appena eletto. E Nikodim diceva che in futuro il congresso del Pcus, il partito comunista, sarebbe cominciato con la preghiera Padre Nostro. Ebbene, adesso accade proprio così. Io penso che Gesù Cristo ci abbia dato questi 30 anni non per costruire questa relazione privilegiata con lo stato ma per la missione del cristianesimo, per la predica del Vangelo, perché il popolo ex sovietico è peggio dei pagani, non sapeva niente di Dio. Nell’Ottocento il nostro grande scrittore Nikolai Leskov scrisse Soborjane, Clero del duomo (in cui, come me, il protagonista del romanzo era stato espulso dalla Chiesa ortodossa), e Leskov aveva avuto questa intuizione: la Russia, scrisse, è battezzata ma non evangelizzata. Anche oggi come nel 1872 noi russi siamo tutti ortodossi ma non siamo cristiani. Più del 70 per cento dei russi si definiscono cristiani, ma quest’anno la messa di Natale è stata seguita da meno dell’1 per cento della popolazione".
Quante persone frequentavano la messa celebrata da lei?
"Abitualmente 250 o 300 persone la domenica, e nelle solennità come Pasqua o Natale più 700 fedeli. La parrocchia della Santissima Trinità in Chochlì è riuscita a diventare una comunità cristiana grazie all’impegno non solamente mio ma anche di tutti i preti che lavoravano nella chiesa; in primo luogo i miei parrocchiani volevano seguire Cristo e le parole evangeliche, e insieme con i parrocchiani abbiamo realizzato molte cose utili, come gli aiuti ai poveri, l’ospitalità ai senzatetto, la mensa sociale. La scuola confessionale, di cui ero direttore spirituale. Otto anni fa è nato il primo hospice per i bambini allo stadio terminale, un modello che oggi è diffuso in tutta Mosca. L’istituzione ecclesiastica invece voleva che questi servizi venissero erogati dallo Stato sotto la direzione della Chiesa".
In cambio del rapporto privilegiato, che cosa ha chiesto lo stato al Patriarcato?
"In cambio, lo stato ha voluto che la Chiesa lo affiancasse nell’impartire l’ideologia. Lo abbiamo visto quando con la guerra in Ucraina le due chiese ortodosse si sono divise sui nazionalismi contrapposti, e lo Stato ucraino in modo speculare alla Russia ha trasformato la Chiesa ucraina nel suo braccio ideologico. Quando l’autorità ecclesiastica vuole avere lo stato come protettore, allora la religione diviene ideologia. Trent’anni fa c’erano molti poveri, molti disoccupati, la crisi delle repubbliche post-sovietiche, la guerra in Cecenia, disuguaglianze fortissime fra ricchi e poveri; ma la Chiesa non diceva niente su tutto ciò perché ambiva alla protezione dello Stato. Invece io volevo cercato di dare al popolo idea della sua religione natale, il cristianesimo ortodosso. Dovevo insegnare ai russi le parole di Dio, come carità, misericordia, bontà; come comportarsi con il prossimo. Al posto di Cristo oggi c’è ideologia. Questa è la nuova religione, il patriottismo".
Parliamo di pace. Lei prega per la pace, però il Vangelo parla anche di guerra.
"Il Vangelo dice chi ha preso la spada perirà di spada. Ma poi dice beati i portatori di pace. Il Vangelo riconosce che la guerra è parte del nostro mondo, ma proprio per questo motivo nella liturgia nella messa prega sempre per la pace. All’inizio della messa abbiamo il Kyrie, la preghiera 'ektenia', preghiamo in pace il nostro Signore, la parola pace si ripete quattro volte in questa “colletta” e tutta la liturgia è piena di preghiere per la pace nel mondo".
Però i sacerdoti hanno sempre sostenuto i "nostri eserciti".
"Sì, la Chiesa benediceva sempre le guerre e i soldati. Ma oggi abbiamo la possibilità di essere liberi nello stato ed essere fedeli al Vangelo. Noi dobbiamo seguire il Vangelo e non gli esempi brutti della storia. Ricordo che durante la Prima guerra mondiale un cappellano militare russo vedeva le bombe sganciate dalle ali degli aeroplani tedeschi con il simbolo della croce, e lì aveva proclamato che bisogna pregare contro la guerra, per la pace. Per me, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata nell’autunno scorso durante una puntata della trasmissione tv “Chiodo vivo” in cui ero ospite in studio. Parlavamo di quando avevo celebrato il funerale di Gorbaciov e il conduttore, il giornalista Aleksei Alekseevič Venediktov, aveva letto in trasmissione la lettera di una donna di Magnitogorsk. Costei scriveva: non posso entrare in chiesa perché non posso sopportare quando la Chiesa prega per la vittoria e per la guerra. Io parlo di tutte le guerre, di Israele, della Siria, dell’Armenia contro l’Azerbaigian; la missione della Chiesa è pregare per la pace e fare di tutto perché il governo possa risolvere i problemi con strumenti di pace. Prima del patriarca Kirill, il patriarca Aleksei ai tempi delle due guerre in Cecenia invitava sempre al dialogo, alla pace, esprimeva appelli al governo. Così anche io ogni domenica pregavo una litania per la pace, come mi chiedevano i parrocchiani".
Il patriarcato le ha mai chiesto di adeguarsi?
"Non ho mai avuto richieste dirette, però i programmi della tv fondamentalista Zarigrad…"
Zarigrad tv?
"La città dello zar, dell’imperatore, cioè Costantinopoli. Nelle sue trasmissioni ero definito pope liberale, nemico dell’ortodossia un nemico della patria".
Chi è il pope che l’ha sostituita?
"Tkaciov è una personalità specularmente opposta a me. Ucraino di Leopoli, poi a Kyiv, dopo Maidan è scappato in Russia dove è diventato una colonna del fondamentalismo; ora gli hanno dato la parrocchia del quartiere Chochlì, quello anticamente abitato proprio dagli ucraini".
Come si riconosce un pope liberale? Per l’abito clergyman e il solino bianco al colletto, come i preti cattolici?
"No, per le parole. Prima di diventare patriarca di Mosca, anche Kirill indossava il solino bianco al colletto e qualcuno lo annoverava tra i vescovi liberali".
Sospeso a divinis. Che farà ora, Uminskiy?
Io rimango cristiano e rimango sacerdote. Non posso celebrare la liturgia e impartire i sacramenti nelle chiese ortodosse russe, ma la mia missione apostolica ed evangelica continua e farò di tutto per continuare la vocazione sacerdotale. Migliaia di persone mi danno amore, sostegno, cuore; persone che non ho conosciuto, come i carcerati russi cui ogni domenica dedicavo un’omelia oppure le suore di un convento carmelitano in Italia, mi scrivono e ringraziano per i libri, per le prediche o per la conversione al cristianesimo. Sono grato a Dio per questi anni in cui ho potuto fare il mio ministero sacerdotale. Non giudico; non ho risentimento contro chi oggi applaude la sentenza del tribunale ecclesiastico che mi ha sospeso a divinis. Sono tranquillo. È una sensazione strana; mi sento come nel ventre della mamma".
Editoriali
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