Vuoi far politica? Fuori dalle chiese. Il vescovo di Reggio Emilia manda in tilt il cattolicesimo politicante
Protestano i parroci che si preparano a presentare una "supplicatio" per chiedere a mons. Morandi di tornare indietro. Lui non ci sta: "Hanno citato pure il non expedit, non capisco"
A inizio febbraio la lettera del vescovo: sono incompatibili il ministero di natura ecclesiale con l’impegno politico. Chi si candida alle elezioni non può contemporaneamente continuare a fare il catechista, il lettore, l’accolito o il ministro straordinario dell’eucaristia
È amareggiato il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, mons. Giacomo Morandi, per il polverone che si è alzato dopo la sua decisione di definire incompatibili il ministero di natura ecclesiale con l’impegno politico. In vista delle prossime elezioni amministrative ed europee, infatti, il vescovo ha stabilito tramite lettera ai parroci che chi si candida alle elezioni non può contemporaneamente continuare a fare il catechista, il lettore, l’accolito o il ministro straordinario dell’eucaristia (tra cui c’è anche l’ex ministro ed ex sindaco Graziano Delrio, a giudizio del quale “se lui dice che è dal punto di vista della prudenza, per salvaguardare la Chiesa è importante avere alcune attenzioni, ne prendiamo atto. Non ho consigli da dare al vescovo. L’importante è che tutti capiscano che la partecipazione alla cosa pubblica è un fatto positivo”). Dice mons. Morandi: “Quello che non comprendo è che si sia arrivati a evocare il non expedit di Pio IX: utilizzare questa citazione significa dare un’interpretazione non corretta, fuorviante e capziosa, che denota peraltro l’ignoranza della storia e di quello specifico provvedimento, che nasceva nel contesto di rapporti conflittuali fra stato e Santa Sede. Il provvedimento pastorale che ho adottato infatti esprime esattamente l’intenzione opposta, cioè che i cristiani che sentono la vocazione al servizio politico possano seguirla con pieno diritto, liberamente e responsabilmente”. L’intento, l’unico, è insomma quello di “evitare che da entrambe le parti possano esserci strumentalizzazioni dei ruoli ricoperti e si trasferisca nelle parrocchie la conflittualità tipica dell’agone politico, alimentando quelle polemiche e contrapposizioni che in campagna elettorale sono all’ordine del giorno”. La diocesi ha anche pubblicato sul proprio sito una serie di Faq per chiarire meglio di che si tratta. Domanda numero 2: “Perché l’arcivescovo è intervenuto sul tema delle elezioni politiche?”. Risposta: “Ha inteso ricordare che quanti stanno svolgendo servizi nella Chiesa si impegnino in ciò in modo esclusivo. E’ poi essenziale che le attività tipiche della comunità cristiana (culto, catechesi, carità e misericordia) non siano confuse con attività di promozione partitica”. Domanda numero 3: “3) Dunque catechisti, lettori, accoliti e ministri straordinari dell’eucarestia, qualora intendano candidarsi in vista delle elezioni politiche, dovranno sospendere il proprio servizio?”. Risposta: “Sì. In questo modo si eviteranno contrapposizioni e tensioni frutto dell’appartenenza all’uno o all’altro degli schieramenti”. Nei casi dubbi, sarà il parroco a decidere, previo dialogo con gli interessati. Negli ambienti parrocchiali, compresi gli oratori, non saranno ammessi incontri o dibattiti in vista delle elezioni. Non è la prima diocesi italiana a comportarsi in tal modo – a gennaio, il vescovo di Ascoli Piceno (che è pure vicepresidente della Cei), mons. Gianpiero Palmieri, aveva detto in un’intervista a Qn che “chi si candida in qualsiasi lista alle prossime elezioni comunali dovrà dimettersi dai ruoli di responsabilità svolti in diocesi, lasciando i rispettivi incarichi sia nel consiglio pastorale diocesano che nei consigli parrocchiali… Non vorrei, infatti, che le chiese e le parrocchie possano diventare luoghi di campagna elettorale”.
Dichiarazioni passate inosservate, a differenza del caso di Reggio-Emilia e la motivazione è data proprio dalla particolarità della diocesi, dove da sempre la politica (e il fare politica) hanno avuto un ruolo cruciale. Benedetto XVI, in incontri privati, la definiva “la diocesi più difficile d’Italia”, negli anni della Seconda guerra mondiale era la capitale del “Triangolo rosso”, è la terra dove è stato martirizzato il giovane seminarista quattordicenne Rolando Rivi (poi beatificato), dove diversi sacerdoti sono stati fucilati e dove per decenni la Chiesa ha dovuto scendere a compromessi – eufemisticamente si può parlare di “dialogo continuo” – con il Partito comunista. E’ la diocesi di Giuseppe Dossetti, il padre spirituale del cattolicesimo di sinistra, ed è pure la diocesi di Camillo Ruini, il suo opposto. Che la decisione del vescovo sia andata a toccare equilibri sensibili lo dimostrano le reazioni: “Siamo preoccupati a fronte di una disposizione che rischia di creare tensioni comunitarie e personali, ma anche di far percepire il mondo cattolico come distante o estraneo alle vicende politiche (e perciò economiche e sociali) del territorio”; ha detto il presidente di Confcooperative Terre d’Emilia, Matteo Caramaschi (reggiano). Alcuni sacerdoti non ci stanno e si preparano al ricorso, Codice di diritto canonico alla mano. Chiedono di incontrare il vescovo, si preparano a una supplicatio domandandogli di rivedere la sua decisione. Da un lato c’è il timore che in tre mesi le chiese si svuotino e che pure i catechisti scelgano l’urna anziché l’oratorio, dall’altra ci si preoccupa della tenuta “sociale”, considerata appunto la santa alleanza locale fra politica e altare. I giuristi cattolici di Reggio stanno con il vescovo: la presidente Federica Davoli ha espresso tutto il proprio “sconcerto per le ingiustificate reazioni che sono seguite al comunicato del vescovo Morandi, che chiede ai candidati dei vari partiti politici di sospendere l’attività ministeriale che stiano svolgendo dentro la Chiesa. La preoccupazione per una confusione di campi ci pare più che legittima”.
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