I dati
Il paese dei campanili dove bambini e ragazzi non mettono più piede in chiesa
Il declino della pratica religiosa nei giovani: dai dati degli ultimi vent'anni si nota una diminuzione significativa nella partecipazione alla messa domenicale tra i bambini e i ragazzi dai 6 ai 17 anni
Quando guardiamo alla pratica religiosa ci viene spontaneo riferirci alle persone adulte – indicativamente rappresentate da quelle persone che hanno compiuto almeno i 18 anni d’età. Si tratta di uno sguardo guidato dalla considerazione che in chiesa o in qualche altro luogo di culto si comincia ad andare – consapevolmente – quando siamo in grado di capire sufficientemente bene che cos’è un luogo di culto e che cosa sono, quale significato e valore hanno le funzioni religiose che in esso si svolgono. Si tratta con tutta evidenza di uno sguardo superficiale. Alla pratica religiosa si viene in realtà avviati ben prima, già da quando si è fanciulli. E, del resto, i grandi sacramenti cattolici della prima comunione e della cresima si compiono attorno ai 9 anni la prima e tra gli 11 e i 14 anni la seconda, molti anni prima della maggiore età. Né basta, perché segnatamente le mamme che hanno una frequentazione regolare e non sporadica della messa domenicale si portano sovente con sé anche figli più piccoli di queste età. L’Istat non certo casualmente rileva in modo campionario la partecipazione religiosa a partire dai sei anni compiuti. Due classi d’età considerate dall’Istat – quella di 6-13 anni e quella di 14-17 anni – sono relative a persone che non hanno ancora compiuto la maggiore età e presentano un forte interesse proprio in ragione della loro età.
Se prendiamo un intervallo di anni sufficientemente lungo per verificare come cambia la pratica religiosa alle età più giovanili ci troviamo di fronte a un fenomeno di dimensioni davvero ragguardevoli il cui significato – e le cui ragioni– stentiamo a capire. O, meglio ancora, che non ci diamo la pena di capire, nella convinzione che a queste età la pratica religiosa non possa che essere supina accettazione se non dei diktat certamente delle indicazioni della famiglia. Cosa senz’altro vera, ma solo in parte – e basti pensare, al riguardo, che a partire dai 14 anni i ragazzi vanno alle superiori e acquisiscono così il primo stadio di autonomia dai genitori. Ma anche relativamente alla classe d’età di 6-13 anni i cambiamenti nella frequentazione delle funzioni religiose, e segnatamente della messa domenicale, possono essere indicativi di un clima più generale, in relazione al sentimento religioso, di intere comunità. Abbiamo preso i venti anni tra il 2002 e il 2022 per compiere questa verifica della pratica religiosa alle minori età. E la prima cosa che abbiamo scoperto è che in questi venti anni il numero di bambini e ragazzi di 6-17 anni che andavano in chiesa almeno una volta alla settimana (la messa domenicale) si è ridotto, ma meglio sarebbe dire prosciugato, di ben 2,1 milioni, passando dai quasi 3,7 milioni del 2002 ai meno di 1,6 milioni di venti anni dopo. Di questi: 1,5 milioni in meno si sono avuti nella classe d’età di 6-13 anni (da 2,8 milioni del 2002 a 1,3 milioni del 2022) e 0,6 milioni in meno in quella di 14-17 anni (da 0,9 a 0,3 milioni).
Fermiamoci a queste poche cifre, del resto di gran lunga le più importanti, intanto per mettere bene le cose in chiaro. In questi venti anni la popolazione di 6-17 anni ha subìto cambiamenti minimi, essendo passata da 6,7 a 6,6 milioni di abitanti. Dunque non è certo la riduzione di 100 mila abitanti di quell’età a giustificare la perdita di ben 2,1 milioni di bambini e ragazzi di 6-17 anni che vanno in chiesa almeno una volta alla settimana. Del resto, basti dire che mentre nel 2002 quanti andavano in chiesa almeno una volta alla settimana rappresentavano il 55 per cento del totale dei bambini e ragazzi di 6-17 anni, venti anni dopo non rappresentano che il 24 per cento, passando così da più di uno su due a meno di uno su quattro che vanno regolarmente in chiesa.
E dunque, cosa si deve pensare di un crollo di queste dimensioni? Dove andare a cercarne le cause? Ce n’è una, in verità, per l’individuazione della quale non si deve stare a cercare molto. Nel 2002, pur già in piena crisi del matrimonio religioso, furono officiati 192 mila matrimoni in chiesa, davanti all’altare. Venti anni dopo erano appena 82 mila. In questi venti anni si sono avuti 2,44 milioni di matrimoni religiosi, che alla media del 2002 sarebbero stati 3,84 milioni. Mancano all’appello 1,4 milioni di matrimoni religiosi, persi nello stillicidio costante, anno dopo anno, di quei matrimoni. Matrimoni che sono anche figli. E’ fuori discussione che mentre sono diminuiti i figli da matrimoni religiosi sono aumentati quelli da matrimoni civili e da coppie di fatto e contingenti, ma se pure il bilancio fosse in perfetta parità resterebbe che sono i figli da matrimoni religiosi quelli che seguiranno una qualche pratica religiosa, e niente affatto (o del tutto marginalmente) gli altri. Così, è indiscutibile anche l’effetto di altri fattori come un più generale venir meno del sentimento religioso nelle comunità, ma il fattore che più ha depresso, e continua a deprimere, la partecipazione di bambini e ragazzi, segnatamente di quelli di 6-13 anni, è l’incessante e a tutta prima inarrestabile caduta del matrimonio religioso.
Il cristianesimo non è utopia