L'analisi
La Chiesa è la grande assente nella stremata vita culturale contemporanea
Due articoli pubblicati su Avvenire hanno messo in evidenza come il cattolicesimo odierno continua a peccare di "timidezza" e mancanza di "fantasia creativa" di fronte ai nuovi aspetti culturali del mondo. Alcuni rimedi per rimanere al passo con i tempi
Mi accorgo solo ora di una discussione a cui hanno dato origine due articoli usciti circa un mese fa sulle pagine di Avvenire: uno del teologo Pierangelo Sequeri, l’altro di Roberto Righetto, che attualmente coordina la redazione del bimestrale Vita e Pensiero. In modo diverso, entrambi gli interventi notavano la scarsa e debole presenza pubblica della cultura cattolica, anche in circostanze gravissime, drammatiche come la pandemia. Il punto di vista cristiano, insomma, si segnala nella cultura di oggi soprattutto per la sua singolare assenza.
Conosco da tempo l’idea che ha sempre ispirato Righetto nella sua attività pubblicistica: grande errore religioso e politico della Chiesa è stata troppo a lungo l’estraneità e indifferenza nei confronti della cultura moderna, del Novecento e in particolare dell’ultimo mezzo secolo. La Chiesa, per non perdere vitalità e capacità comunicativa, avrebbe perciò dovuto fare i conti con la cultura nel suo insieme, prendendo in considerazione tanto le élite intellettuali laiche che la dominante cultura di massa. Senza rapporti con il mondo della cultura, la Chiesa perde anche il contatto con il mondo sociale, oggi molto più estesamente scolarizzato e acculturato di quanto fosse nella prima metà del secolo scorso. Una grande religione come il cristianesimo, per essere presente, non può avere una identità culturalmente debole e sbiadita, deve “incarnarsi” nella cultura contemporanea. Nonostante l’originalità e la determinazione di Papa Francesco, la Chiesa continua oggi a peccare di “timidezza” e mancanza di “fantasia creativa” in ambito culturale, cosa segnalata tra l’altro anche dal cardinale Zuppi, presidente della Cei.
In altri termini un sacerdozio che non sia militanza e immaginazione culturale soffre di una colpevole, grave mancanza e omissione: non rende vivo e attuale il messaggio cristiano. Sì, i preti cattolici dovrebbero essere anche “intellettuali impegnati” nella discussione critica delle idee, delle mitologie, degli stili di vita, dell’etica e dell’estetica dominanti.
Se è vero che la Chiesa ha bisogno di cultura, aggiungerei che è anche la cultura ad avere bisogno del punto di vista cristiano. Come potrebbero, come possono per esempio gli intellettuali laici parlare di Dante, Manzoni, Kierkegaard, Dostoevskij, Tolstoj, Eliot, Simone Weil, senza parlare di cristianesimo? Anche ragionando da non credenti, non sono pochi gli intellettuali che oggi e sempre di più sentono e vivono il penoso declino della cultura nella società. La cultura laica è sfiancata dall’idolatria tecnoeconomica, che la acceca e le impedisce, ormai, di essere “umanistica”, cioè attenta alle trasformazioni dell’umano nel nuovo millennio. La cultura, il mondo culturale di oggi sono asfittici, disperatamente fatui e conformisti. Al posto della cultura ci sono oggi i “consumi culturali” e le comunicazioni di massa.
Se non hanno per prima cosa un valore di mercato, le scienze, le idee, le arti non interessano. Le classifiche dei libri più venduti e non dei libri migliori, non fanno che confermare questa mentalità da “pronta cassa”. Gli intellettuali oggi sono assenti dovunque: assenti nelle case editrici maggiori, estromessi dai partiti politici. Sempre più spesso gli editori, soprattutto i maggiori, anche quelli che una volta erano autorevoli e prestigiosi, non si vergognano più di rifiutare libri di valore con l’argomento che le previsioni di vendita sono basse. Per fare un solo esempio significativo, recentemente la Einaudi ha rifiutato di ripubblicare perfino l’edizione dei Vangeli (a cura di Giancarlo Gaeta) perché non promettevano vendite a “decine di migliaia di copie”. Ci si impegna ossessivamente nelle competizioni per il premio Strega più per vendere che per amore della letteratura.
Se questa è la cultura; se è arte quella che i mercanti e i critici pubblicitari definiscono arte (vedi le Biennali di Venezia); se è scienza la pubblicità fatta all’Intelligenza Artificiale, alla sua velocità e comodità; se e quanto sono romanzi i libri pubblicati con il nome di romanzi per attirare il grande pubblico; se la critica è evitata perfino dai recensori; se non si discute più del valore culturale perché la discussione nuoce alla promozione del prodotto, allora la cultura di oggi mi sembra priva di serietà e onestà “religiosa”, di lettori in cerca di qualcosa che non è consumo veloce.
Nonostante oggi, come dice Righetto, sia grave l’“analfabetismo religioso”, ho l’impressione che un tale analfabetismo faccia parte della stessa cultura: viene soprattutto dallo strapotere dei nuovi media, che stanno conquistando anche i religiosi che vogliono mostrarsi “al passo con i tempi”, dal semplice parroco di provincia all’alto prelato con incarichi istituzionali.
L’umanesimo laico si è da tempo mostrato criticamente incapace di analizzare e giudicare il mito, l’ideologia del progresso inteso come sviluppo economico e tecnico, cioè sociocapitalistico. Più precisamente: l’umanesimo laico è tramontato, non trova più in sé neppure i presupposti elementari necessari per esistere e offrire orientamenti a chi voglia compiere scelte all’interno del corso storico. Il postumano robotico è il nuovo vitello d’oro da idolatrare. Gli intellettuali laici dovrebbero chiedere alla Chiesa di nutrire con un po’ più di serietà e di fede la sterile, stremata vita culturale di oggi.
C’è un rimedio a tutto questo? Si potrebbe ricominciare così: cari intellettuali laici, leggete le Sacre Scritture e i Vangeli! Come capolavori della cultura occidentale.
Il cristianesimo non è utopia