Il dilemma tra legge e libertà
Quel problema teologico-politico che esiste soltanto nel cristianesimo
L'aggettivo proviene da un trattato che Spinoza ha pubblicato anonimamente nel 1670 ma l'obiettivo era mostrare che la sfera teologica non deve mescolarsi con la politica. Qualche riflessione per capirne il significato
Mi è stato chiesto di evocare qui un concetto, o piuttosto una nozione un po’ vaga: lo snodo o il problema teologico-politico. O semplicemente, il teologico-politico. Proverò a chiarire questa nozione, cercando di vedere, prendendo un po’ di distanza, da dove proviene e ciò che comprende. In effetti, comprende non poche cose in fondo abbastanza diverse. Cercherò dunque d’allargare di poco la prospettiva, senza supporre che il teologico-politico sia qualcosa di ben conosciuto e scontato. Innanzitutto, com’è noto, si tratta di un aggettivo che proviene da un trattato che Spinoza in persona ha pubblicato anonimamente nel 1670. Vi si trattano la teologia e la politica, certo, ma l’ironia del titolo risiede in ciò che gli studiosi di grammatica chiamano un trait d’union. Poiché nel caso di questo trattino in mezzo inserito da Spinoza, siamo davanti a un tratto di disunione. Essenzialmente, si tratta infatti di mostrare che la sfera teologica non deve mescolarsi con la politica.
Nel cristianesimo, vi è un problema teologico-politico. Innanzitutto, perché esiste una teologia, ma anche perché esiste uno spazio lasciato aperto per la politica: per ciò che è politico e in generale per ciò che è pratico. Per riassumere, direi che la presenza di ciò che è divino nel cristianesimo non si riferisce in prima battuta a un’esigenza d’obbedienza. Dio, per i cristiani, non si manifesta innanzitutto come legislatore. Per questo, detesto l’espressione “il Legislatore dei cristiani”, che si ritrova in certi testi settecenteschi: una sorta di mostruosità. Infatti, Dio comincia manifestandosi, mostrandosi, come comprendiamo bene rileggendo l’Esodo. Innanzitutto, vi è il Roveto Ardente, poi tutto l’itinerario e il cammino che Dio compie con il popolo sottratto alla cattività egiziana. Solo al momento di entrare nella Terra Promessa, giunge, per così dire, il regolamento. Ovvero la Torah, che potremmo definire come il regolamento della Terra Santa. Il regolamento dell’edificio che Dio mette a disposizione del popolo e nel quale è questione, ad esempio, di asciugarsi i piedi prima di salire le scale, di gettare l’immondizia in certe date specifiche, eccetera. Dunque, una regola di comunione, una regola di vita comune con Dio.
Con il cristianesimo, siamo in presenza di una legge, ma solo in seconda battuta. Il Dio dei cristiani si mostra, o più esattamente si offre prima di chiedere, anzi al posto di chiedere. In un certo senso, infatti, non chiede nulla. Ci chiede solo di seguire le regole che ci rendono umani. Non ci chiede di fare ciò che Gli pare, se posso permettermi di dir così. Egli vuole solo ciò che ci conduce alla pienezza completa della nostra umanità. Non viene così rivendicato null’altro che la natura umana. In proposito, una frase che trovo magnifica recita: “Dio non vuole nulla da parte nostra se non noi stessi”.
Non ne indovinereste mai l’autore, scommetto, tanto è sorprendente, dato che si tratta dell’illuminista Montesquieu. Ma è una frase che trovo profondamente cristiana. Poiché la Parola di Dio è innanzitutto manifestazione di Dio, prima d’essere esigenza. Essa può ammettere una teologia, poiché può esistere qualcosa dell’ordine della descrizione di Dio. Una descrizione con tutte le virgolette del caso, certo, poiché non si può descrivere una persona in quanto persona e ancor meno un Essere sovrapersonale, ancora più personale di tutte le persone di cui possiamo fare esperienza. Per la stessa ragione, possono esistere una morale, un’economia e una politica indipendenti, in quanto affidate a ciò che il Creatore ci ha dato fin dall’origine, ovvero le nostre piccole cellule grigie care ai detective dei romanzi gialli di Agatha Christie, la libertà, la dignità, insomma tutto ciò che rende umano un essere umano.
Dunque, un problema teologico-politico esiste solo nel cristianesimo, perché solo nel cristianesimo vi sono una teologia e una politica articolabili fra loro. E direi che questo problema è risolvibile, a condizione di prendere sul serio tutto ciò che implica il modo di Dio di esprimersi in un logos. Il logos da cui deriva la parola teologia. Il logos che per i cristiani è la Parola incarnata e che in ultimo consiste – nella scia della prima delle Dieci grandi parole, come la tradizione ebraica chiama i Dieci comandamenti – in una parola di liberazione.