Il problema della Pasqua
Papa Francesco punta tutto sulla speranza
Indetto l’Anno Santo, che si aprirà il 24 dicembre. Tra san Paolo e Péguy, la Bolla si sofferma sulle domande ultime, sulla salvezza e la promessa della vita eterna. Chiedendo pure “che cos’è la felicità”
Spes non confundit, la speranza non delude, diceva san Paolo. E’ nel segno della speranza che si celebrerà il Giubileo del 2025, la cui Bolla di indizione è stata consegnata ieri dal Papa. “Di speranza, infatti, abbiamo bisogno”, ha detto Francesco nell’omelia: “Ne ha bisogno la società in cui viviamo, spesso immersa nel solo presente e incapace di guardare al futuro; ne ha bisogno la nostra epoca, che a volte si trascina stancamente nel grigiore dell’individualismo e del ‘tirare a campare’”. Di speranza, poi, ha bisogno la Chiesa, “anche quando sperimenta il peso della fatica e della fragilità”. E “di speranza ha bisogno ciascuno di noi: le nostre vite talvolta affaticate e ferite, i nostri cuori assetati di verità, di bontà e di bellezza, i nostri sogni che nessun buio può spegnere. Tutto, dentro e fuori di noi, invoca speranza e va cercando, anche senza saperlo, la vicinanza di Dio”.
La Porta santa in San Pietro sarà aperta il 24 dicembre, la domenica successiva in San Giovanni in Laterano, quando tutti i vescovi celebreranno nelle loro cattedrali diocesane l’apertura ufficiale del Giubileo ordinario. Il 1° gennaio in Santa Maria Maggiore, il 5 in San Paolo fuori le mura. La chiusura, un anno dopo, il 6 gennaio del 2026. “Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza”, scrive il Papa. Ed è proprio sulla terza delle virtù teologali, la più dimenticata, che Francesco ha voluto soffermarsi.
Speranza, fede e carità, le tre “sorelle” – per citare Charles Péguy – che esprimono l’essenza della vita cristiana. A scorrere la Bolla, si comprende che due sono le parole chiave: incontro ed evangelizzazione. Roma sarà il centro di tutto ed è lì che si avranno molti dei segni che caratterizzeranno l’Anno santo, compresa l’apertura di una Porta santa in un carcere. Non manca il consueto appello di Francesco alla cura del creato e all’attenzione per i poveri – c’è la richiesta di condonare i debiti dei paesi che mai potrebbero ripagarli –, così come l’afflato ecumenico in considerazione dei 1.700 anni dal primo concilio di Nicea.
E’ presente, però, ed è un tratto che caratterizza il documento, l’attenzione posta sulle grandi domande ultime, sulla salvezza e la promessa della vita eterna. Questioni che ormai (da parecchi decenni) ben poco spazio trovano nella quotidiana omiletica in chiesa, per non parlare del catechismo per bambini e adulti. Cosa sarà dunque di noi dopo la morte? Cosa caratterizzerà la pienezza di comunione? Che cos’è la felicità? Quale felicità attendiamo e desideriamo? E poi, il giudizio di Dio, che “l’arte ha spesso cercato di rappresentare – pensiamo al capolavoro di Michelangelo nella Cappella Sistina – accogliendo la concezione teologica del tempo e trasmettendo in chi osserva senso di timore”. Che però, scrive il Pontefice, non può bastare.
Francesco, ricordando il Concilio di Nicea, ripropone la questione della datazione della Pasqua: “A tale riguardo, vi sono ancora oggi posizioni differenti, che impediscono di celebrare nello stesso giorno l’evento fondante della fede. Per una provvidenziale circostanza, ciò avverrà proprio nell’anno 2025. Possa essere questo un appello per tutti i cristiani d’oriente e d’occidente a compiere un passo deciso verso l’unità intorno a una data comune per la Pasqua. Molti, è bene ricordarlo, non hanno più cognizione delle diatribe del passato e non comprendono come possano sussistere divisioni a tale proposito”.
Vangelo a portata di mano