A dividere la Cei e il governo è sempre l'otto per mille
I vescovi non hanno gradito l'inserimento nella Dichiarazione dei redditi la possibilità di destinare la quota Irpef al recupero dalle tossicodipendenze
Da tempo si registra un lento incremento di opzioni per lo stato e un conseguente calo per la Chiesa cattolica (che vent’anni fa raggiungeva quasi il novanta per cento delle scelte). È evidente che ampliare l’offerta delle opzioni relative alla scelta dell’otto per mille allo stato fa sì che la quota per la Chiesa possa erodersi ulteriormente
Roma. Non è solo l’autonomia differenziata ad aver creato qualche problema nei rapporti fra il governo e la Conferenza episcopale italiana. Del premierato neppure si parla, se è vero che nelle interlocuzioni fra Palazzo Chigi e i vertici dell’episcopato il tema non è mai stato sfiorato: dopotutto, una settimana fa, il cardinale Matteo Zuppi ha espresso preoccupazione solo rispondendo a una domanda nel corso della conferenza stampa a conclusione dell’Assemblea generale, richiamando il rispetto per la Costituzione e l’idea che riforme di tale importanza non siano “di parte”. Niente di ufficiale, anche se ci sarebbe poi da capire quanto un intervento del genere – soprattutto se sarà seguito da documenti scritti e dettagliati – possa non essere classificato nel capitolo delle “ingerenze” della Chiesa negli affari interni italiani, vecchia accusa nella lunga stagione ruiniana.
C’è un’altra questione che ha creato qualche crepa nelle relazioni che ha ben poco a che fare con “le cose di lassù”, per stare nel campo evangelico: l’otto per mille. Dal quartier generale dei vescovi italiani già sul finire della scorsa estate s’era alzato più di un borbottio per l’idea dell’esecutivo di aggiungere alla disciplina vigente per l’utilizzazione della quota dell’Irpef devoluta allo stato un’ulteriore possibilità: il recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche. Questa possibilità (ne avevano aggiunte anche i governi di Giuseppe Conte e di Mario Draghi, senza troppi clamori) andava ad aumentare le possibilità del contribuente: oltre alla scelta per le altre confessioni religiose, la parte del leone la fanno stato e Chiesa cattolica, con quest’ultima che detiene il primato delle voci opzionate. L’anno scorso, ad esempio, il settanta per cento degli italiani aveva optato per la Chiesa cattolica, quasi il trenta per lo stato. Al terzo posto – per capire le distanze – la Chiesa valdese, con lo 0,3 per cento.
Da tempo, però, si registra un lento incremento di opzioni per lo stato e un conseguente calo per la Chiesa cattolica (che vent’anni fa raggiungeva quasi il novanta per cento delle scelte). E’ evidente che ampliare l’offerta delle opzioni relative alla scelta dell’otto per mille allo stato fa sì che la quota per la Chiesa possa erodersi ulteriormente: la tendenza, costante, è questa. Da qui l’auspicio, palesato in incontri più o meno ufficiali da diversi vescovi, di fare un passo indietro. O quantomeno di rivedere l’impianto per la ripartizione della quota Irpef. Il governo, però, proprio la scorsa settimana, ha deliberato in Consiglio dei ministri non solo la conferma dell’opzione per il recupero dalle tossicodipendenze, ma ha anche determinato che entro il 30 novembre di ogni anno il governo stabilirà la destinazione fra le sei tipologie di intervento previste per le risorse relative alle scelte non espresse. E proprio venerdì, stesso giorno del Cdm, la Cei ha emesso la Nota (dai contenuti insolitamente duri) in cui critica la riforma dell’autonomia differenziata. Tema che è sicuramente avvertito dai vescovi, ma quasi esclusivamente dalle combattive conferenze episcopali delle regioni meridionali. Al nord, le priorità sono altre. A ogni modo, su altri settori, la cooperazione risulta buona, come sul fronte dei docenti di religione. Lo scorso gennaio, infatti, il cardinale Zuppi e il ministro Valditara hanno firmato l’intesa che prevede il concorso ordinario che assegnerà il trenta per cento dei posti. Il restante settanta sarà assegnato con concorso straordinario. Un passo atteso da vent’anni. Complessivamente, si tratta di circa 6.400 cattedre da assegnare.
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