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il commento

La dimensione universalistica della Chiesa è quel che manca oggi all'Europa

Sergio Belardinelli

Il ruolo che la Chiesa cattolica può avere è quello di una istituzione globale: della sua presenza ne gioverebbero anche le istituzioni liberaldemocratiche 

L’affermazione può apparire provocatoria, ma credo che l’Europa di oggi abbia bisogno soprattutto della Chiesa. Non della religione, sia chiaro, e nemmeno degli ideali a essa connessi, ma della Chiesa; precisamente quella a cui è stato detto che ciò che legherà in terra sarà legato anche in cielo e che, comunque vada, le porte degli inferi non prevarranno. La Chiesa cattolica insomma. Un corpo mistico che è anche una Istituzione, precaria e imperfetta come tutte le istituzioni, e spesso addirittura scandalosamente lontana dal suo ideale costitutivo, ma non per questo meno preziosa sia per la fede che per il mondo. 

Perché dunque l’Europa di oggi avrebbe bisogno della Chiesa cattolica? 

Da decenni la sociologia religiosa indaga lo stretto legame tra cristianesimo e cultura europea, tra cristianesimo e istituzioni politiche liberaldemocratiche, come pure i rischi che potrebbero scaturire sia per l’Europa che per il cristianesimo da un loro reciproco allontanamento. Quanto all’istituzione Chiesa cattolica, nella gran maggioranza dei casi, essa è stata considerata, non da oggi, più come un impedimento che un aiuto alla diffusione, non soltanto della cultura liberaldemocratica, ma addirittura della vera fede cristiana. Con qualche buona ragione, sia chiaro, specialmente riguardo alla vicenda storica del rapporto tra la Chiesa e lo stato liberale moderno, ma in generale mi sembra un giudizio affrettato. C’è infatti un elemento, collegato alla natura prettamente istituzionale della Chiesa, che è importante, non soltanto per la Chiesa stessa, ma anche per le istituzioni politiche: la capacità della Chiesa di incarnare e quindi di tener vivo nella società una dimensione universalistica, “cattolica” appunto. Come aveva sottolineato a suo tempo Karl Rahner, si tratta invero di un ideale che nella storia della Chiesa è stato tale più in potenza che in atto, spesso addirittura asservito a odiose pratiche di violenza. Tuttavia, almeno in linea di principio, tale ideale si presenta come il migliore alleato della particolarità e del pluralismo, nonché di un prezioso realismo in ordine alla tensione inevitabile che esso genera tra sé, in quanto ideale, e la propria concreta realizzazione. 

A pensarci bene, è proprio questa tensione che da oltre duemila anni, da un lato, regola il continuo rinnovarsi della tradizione cattolica, preservando grazie all’istituzione tutto ciò che, per i motivi più diversi, non è stato adeguatamente realizzato in un determinato tempo, rendendolo magari disponibile per una più adeguata realizzazione futura, e dall’altro spiega perché la Chiesa cattolica ha sempre mantenuto una chiara distinzione tra le qualità morali dei suoi membri, inclusi Papa e vescovi, e il tesoro di salvezza custodito dall’istituzione nel suo complesso. 

Queste caratteristiche hanno una forza che non è soltanto pastorale, ma anche politica. In primo luogo, esse consentono alla Chiesa di giocare come un’istituzione globale, che però non è uguale in ogni parte del mondo, bensì differenziata, consapevole della pluralità dei popoli e delle culture, generatrice a sua volta di specificità culturali e realistica quanto all’attuazione dei propri ideali. In secondo luogo, esse rendono possibile, da un lato, la salutare distinzione tra religione e politica, di cui sono espressione emblematica gli assetti liberaldemocratici degli stati europei, affermatasi, per ironia della sorta, nonostante l’aperta ostilità della Chiesa cattolica, e dall’altro una salutare messa in guardia rispetto a sempre più ricorrenti forme di politicizzazione della religione e di moralizzazione della politica. 

Oggi, dopo una lunga pratica di quello che definirei un universalismo astratto (vedi la moltiplicazione indiscriminata di diritti che spesso diritti non sono affatto), gli stati e le istituzioni comunitarie europee sembrano ripiegare sempre più spesso in forme di chiusura che vanno dal frequente ricorso ai dazi in economia ai rigurgiti di nazionalismo politico. Ad aggravare la situazione abbiamo due guerre, quella in Ucraina e quella in Israele, che certamente non aiutano ad assumere una postura degna dell’Europa e dell’universalismo concreto, realistico della Chiesa cattolica. Meschini calcoli di opportunità inducono molte forze politiche a mettere la testa sotto la sabbia: aiutiamo l’Ucraina, ma speriamo che si arrenda alla prepotenza di Putin; condanniamo la violenza terroristica di Hamas, ma più ancora la reazione di Israele, senza curarci troppo degli ebrei che ormai vengono fatti oggetto di aperta aggressione un po’ in tutto il mondo. Dispute interne su questioni nemmeno tanto importanti, tipo se benedire o meno le coppie omosessuali, sembrano paralizzare persino lo slancio missionario della Chiesa. Per non dire del ricorrente ricorso al Vangelo sia da parte di uomini politici che di chiesa per legittimare determinate decisioni politiche.  

Ci sono mali, penso appunto alle guerre, i quali, per essere minimamente compresi, richiedono dimestichezza con un male più profondo, più radicale, diciamo pure con un male che è la causa di tutti i mali, con il quale la chiesa ha una dimestichezza che non può essere dissipata col cinismo degli opportunisti, né con l’irenismo (spesso ugualmente cinico e opportunista) delle facili soluzioni. Ma ci sono anche mali più piccoli che non vanno trascurati. La democrazia, ad esempio, non può funzionare in modo aggressivo, confidando soltanto nel diritto di ciascuno a prendere la parola; ci vuole anche un cuore disponibile all’ascolto, secondo quanto raccomandato dalla sapienza di Salomone. “Ascolta Israele” è forse l’invocazione più inaudita che un Dio abbia mai rivolto agli uomini, ma anche quella politicamente più pregnante, specialmente oggi. Speriamo che nella Chiesa sia chiaro a tutti che questo ascolto serve soprattutto alla formazione del nostro cuore, non a garantire a priori la bontà di una qualsivoglia decisione politica. 

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