Reprimere o conviverci? Roma alla prova della crescita del cattolicesimo tradizionalista

L'espansione negli Stati Uniti, la Francia dove per la prima volta i cattolici hanno scelto in massa la destra di Le Pen. Un fenomeno che mette alla prova il Vaticano

Matteo Matzuzzi

Le realtà tradizionaliste più dinamiche si espandono in quei paesi dove il cattolicesimo è minoranza: o perché da sempre così – gli Stati Uniti – o perché due secoli e più di secolarizzazione l’hanno ridotto a nicchia, come in Francia. Il rifugio nella Chiesa preconciliare diventa allora questione d’identità

“Il ritorno di un cattolicesimo tradizionale esiste, e in modi diversi, non solo negli Stati Uniti. E’ un dato di fatto, e prima smettiamo di negarlo, meglio è. La domanda è come interpretarlo e relazionarsi con esso”, scriveva lo scorso maggio sulla Croix International lo storico Massimo Faggioli, docente negli Stati Uniti e non certo incasellabile fra i discepoli del verbo tradizionalista. Faggioli prendeva spunto da un’analisi dall’Associated Press che rilevava come la generazione dei cattolici “Vaticano II” stia ormai cedendo il passo a quanti credono che la Chiesa sia stata rovinata dal cambiamento: messe con bonghi e chitarre, pochi discorsi sulla salvezza eterna, la morte rimossa dalle omelie, molto attivismo sociale e pochi ammonimenti dottrinari.

 

La premessa è che questa reazione al modello di Chiesa dell’ultimo sessantennio resta una minoranza, ma presente e influente. Quel che più ha colpito sociologi delle religioni e attenti osservatori dei fenomeni religiosi è che sono spesso i giovani a ritrovarsi a proprio agio in questa Chiesa preconciliare.

 

Che fare? Le strade sono solo due: o li si ignora, magari ridicolizzandoli e archiviando il tutto alla stregua di una moda e d’una nostalgia per pizzi e incenso, o si cerca di comprenderne le ragioni che sottendono a tale scelta. La prima ipotesi è quella che va per la maggiore, se non altro sul piano mediatico e istituzionale: il conservatorismo americano ridotto a setta, incapace di comprendere le direttrici del pontificato bergogliano, un po’ antipapista e perfino – in qualche suo rivolo – sedevacantista. Tale lettura è basata su un errore di fondo, la sovrapposizione fra conservatorismo e tradizionalismo. Che non sono la stessa cosa. Giovanni Paolo II era conservatore, il più conservatore di tutti secondo i suoi critici. Di certo, però, non era un tradizionalista (chiedere, per togliersi ogni dubbio, agli eredi di Marcel Lefebvre). Eppure, negli ultimi anni, i due modelli sono andati sovrapponendosi, finendo spesso per inglobare nelle semplificazioni mediatiche pure i proclami antibergogliani di mons. Carlo Maria Viganò, da cui però hanno subito preso le distanze perfino i lefebvriani.

 

Servirebbe un punto d’equilibrio: Faggioli scriveva che “i cattolici liberal-progressisti devono trovare, mentre si occupano del passato e della tradizione della Chiesa, un modo diverso e alternativo all’ignoranza intenzionale degli intellettuali che si rifiutano di vedere quanto sia vero e buono nella tradizione cattolica”. Allo stesso tempo, i conservatori dovrebbero “trovare un modo diverso e alternativo a un neo-tradizionalismo che è incapace di criticare, e quando necessario, di cambiare le tradizioni cattoliche teologiche ed ecclesiastiche sulla base del fatto che ‘non può cambiare perché non è mai cambiato’. Una glorificazione generale del passato è solo una variazione della furia ideologica dei giusti che pensano di essere sempre dalla parte giusta della storia, e non è il modo in cui il magistero cattolico affronta il passato”. 

 

Le realtà tradizionaliste più dinamiche si espandono in quei paesi dove il cattolicesimo è minoranza: o perché da sempre così – gli Stati Uniti – o perché due secoli e più di secolarizzazione l’hanno ridotto a nicchia  una prece per Maritain), come in Francia.  Il rifugio nella Chiesa preconciliare diventa allora questione d’identità: la scelta di prendere le distanze da una Chiesa dialogante ed ecumenica, che mette al centro della sua azione i migranti e la crisi climatica, al punto – si dice – da non essere troppo dissimile da un qualunque governo liberale occidentale.

 

Proprio dalla Francia arriva un dato che indica questa radicalizzazione: nonostante i ripetuti appelli dei vescovi locali (“Votate candidati che sostengono il progetto comunitario”) alle ultime elezioni europee, venti giorni fa, il 32 per cento dei cattolici praticanti ha votato il Rassemblement National di Marine Le Pen. Se si contano anche i francesi meno assidui nella pratica religiosa, la percentuale tocca il 37 per cento. Cinque anni fa, i cattolici che avevano scelto l’estrema destra erano il 14 per cento. Non solo: calcolando anche i voti andati a Reconquête, la formazione di Éric Zemmour, si arriva al 42 per cento di cattolici che hanno scelto le formazioni di destra.

 

La Croix si è soffermata su questo sensibile scostamento nelle scelte dell’elettorato francese e le ragioni le ha spiegate il direttore dell’Ifop, Jérôme Forquet: “L’attaccamento all’Ue, sulla scia della democrazia cristiana o dell’insegnamento di Jacques Delors, esiste fra i cattolici, ma questa corrente sta perdendo velocità. Cosicché il 28 per cento dei cattolici praticanti regolari ha votato per partiti di sinistra. Ma oggi gli spartiacque sono altri e riguardano la sicurezza, l’identità, il rapporto con l’islam”. Non sono tutti tradizionalisti, ovviamente, ma se c’è un paese europeo dove il cattolicesimo tradizionale è forte, questo è la Francia. Lo scorso maggio, il Pellegrinaggio della Tradizione da Parigi a Chartres (giunto alla quarantaduesima edizione) ha visto la partecipazione di diciottomila pellegrini, per lo più giovani. Libération ha scritto che “mai questo evento aveva riunito così tanti camminatori”.

 

Anche sul fronte dei battesimi adulti e delle ordinazioni presbiterali (che Oltralpe hanno registrato numeri positivi dopo anni di crisi), non sono pochi quelli che riconducibili alle realtà tradizionali. In un’epoca di scismi dichiarati o presunti, tra suore spagnole ribelli e vescovi che negano la liceità dell’elezione di Bergoglio a Papa, la risposta all’interrogativo su come tenere insieme le due anime della Chiesa va ancora trovata: derubricare il fenomeno a moda passatista di pochi gruppi? O cercare un sistema di convivenza che vada oltre i motu proprio che hanno limitato, ad esempio, il numero e la possibilità delle celebrazioni secondo il messale preconciliare di Giovanni XXIII? Soprattutto se, paradossalmente, in non pochi contesti le messe più affollate – senza cellulari che trillano durante la consacrazione, per capirsi – sono quelle secondo il rito anteriore alla riforma del 1970? Todos, todos, todos, ha detto il Pontefice più volte: la Chiesa accoglie tutti. Qualcuno dei suoi consiglieri è più rigido sul tema, sottolineando che spesso i cattolici identitari fedeli al “rito antico” non disdegnano di negare la validità del Vaticano II e di tirare qualche bordata a Francesco. Su questo crinale, probabilmente, si dovrà trovare un equilibrio di convivenza.
 

Di più su questi argomenti:
  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.