Al Sinodo la rivoluzione è rimandata. A quando? Nessuno ancora lo sa
Niente diaconesse, niente tematiche lgbtq+, niente revisione del celibato. La prudenza regna, soprattutto dopo "Fiducia supplicans"
A leggere il corposo Instrumentum laboris della sessione conclusiva del grande Sinodo sulla sinodalità voluto dal Papa, resta la sensazione che alla fine più che a epocali riforme s’assisterà solo a qualche maquillage
Roma. A leggere il corposo Instrumentum laboris della sessione conclusiva del grande Sinodo sulla sinodalità voluto dal Papa, resta la sensazione che alla fine più che a epocali riforme s’assisterà a qualche maquillage. I temi più divisivi, quelli che realmente avrebbero potuto favorire rivolte – e non sempre smorzate dal consueto aplomb ecclesiale – e prese di posizione di interi episcopati, sono di fatto scomparsi dai tanti tavoli di discussione. Si prenda ad esempio la questione del diaconato femminile. Per anni, su impulso del Papa, sono state costituite commissioni ad hoc, con esperti, storici, canonisti, biblisti, teologi. Il tutto per vedere se in passato, nei primi secoli, tale istituto esisteva e, se sì, com’era strutturato. La Conferenza episcopale tedesca, impegnata nel suo Sinodo parallelo volto a rovesciare la piramide che governa la Chiesa (sulle rive del Reno la Chiesa è ormai immaginata come un facsimile dell’Onu, con il Papa nelle vesti di segretario generale senza troppi poteri rispetto ai singoli stati membri, se non quelli di rappresentanza e di generico prestigio primaziale), dava per scontato almeno il fatto di vedere le donne diacono sull’altare entro pochi anni. Era il minimo e anche fra i più riottosi all’idea s’era ormai consolidata la certezza che sarebbe stato meglio concedere qualcosa di poco conto piuttosto che vedersi aprire le cateratte di decisioni ancor più innovative. Invece, mentre il Sinodo dello scorso ottobre s’era chiuso con il rimando a più approfondite discussioni sul tema, il Papa ha fatto sapere tramite intervista che il diaconato femminile non è più all’ordine del giorno e che finché lui sarà sul Soglio petrino non se ne parlerà. E infatti, l’Instrumentum laboris sottolinea che “mentre alcune Chiese locali chiedono che le donne siano ammesse al ministero diaconale, altre ribadiscono la loro contrarietà. Su questo tema, che non sarà oggetto dei lavori della seconda sessione, è bene che prosegua la riflessione teologica, con tempi e modalità adeguati”.
Per rendere più chiaro il passo indietro, si specifica che “alla sua maturazione contribuiranno i frutti del Gruppo di studio n. 5, il quale prenderà in considerazione i risultati delle due commissioni che si sono occupate della questione in passato”. Il “Gruppo di studio n. 5” è uno dei dieci gruppi costituiti dal Papa per affrontare le “questioni che, per loro natura, esigono di essere affrontate con uno studio approfondito”. E il celibato sacerdotale, altra spina pronta a pungere all’annunciato redde rationem autunnale? Nessuna menzione. Niente da fare neppure per le istanze lgbtq+, che solo pochi mesi fa si pensava dovessero rappresentare quasi la spina dorsale del documento conclusivo del Sinodo. Una differenza sostanziale, questa, con l’Instrumentum che precedette la sessione dell’ottobre 2023, dove tutti i temi divisivi erano elencati e proposti all’attenzione dei padri sinodali (preti, suore, laici, Luca Casarini incluso). Il documento finale della sessione 2023 appariva come il frutto di un compromesso tra posizioni inconciliabili e forse è proprio la convinzione che diversi episcopati battaglieri sono pronti a fare muro davanti alle “innovazioni” auspicate soprattutto (ma non solo) dalle Chiese centro-nord europee ad aver suggerito più prudenza. In quest’ottica vanno lette le parole del presidente della Conferenza episcopale tedesca, mons. Georg Bätzing, che pur esprimendosi positivamente rispetto al lungo testo del documento (cinquanta pagina), dice che “in quanto tale, un Instrumentum laboris per una futura assemblea sinodale è sempre legato alle aspettative e alle speranze di ciò che porteranno le ulteriori discussioni”. Insomma, la traccia c’è, poi si vedrà quel che accadrà in Aula quando alla fine i partecipanti saranno chiamati a votare. Anche se le speranze di rivoluzioni sembrano, a oggi, residuali: la reazione a Fiducia supplicans, la Dichiarazione dicembrina firmata dal cardinale Fernández con la benedizione in dieci o quindici secondi alle coppie irregolari (comprese quelle omosessuali), ha mostrato che di svolte radicali c’è ben poca voglia, e non solo fra i conservatori da museo. Se ne sono accorti, a quanto pare, anche i più riformisti in Vaticano.