Quel tocco di contemporaneità alla nuova Notre-Dame

Matteo Matzuzzi

L'arcivescovo vuole nuove vetrate, Macron è d’accordo. Gli storici, no. Il dibattito è acceso: più di 125 mila sono le firme poste in calce a un appello volto a non toccare le vetrate originali (ottocentesche) di  Eugène Viollet-le-Duc, anche perché sono una delle poche cose rimaste intatte dopo l’incendio

Il prossimo 8 dicembre l’Emmanuel, il campanone delle grandi occasioni, suonerà annunciando a tutta Parigi la riapertura di Notre-Dame dopo l’incendio del 2019. Ci sarà forse anche il Papa, a presiedere la solenne celebrazione che riconsegnerà al popolo (e ai turisti) la cattedrale che in tanti vorrebbero trasformare o riadattare a museo. Museo d’arte contemporanea, per l’esattezza. Almeno così ha deciso il presidente Macron, che ha scelto d’ignorare il parere preso all’unanimità dagli esperti in belle arti, e ha dato il benestare alla pubblicazione dei nomi degli otto artisti incaricati di elaborare un progetto per le vetrate di sei cappelle della cattedrale. Tra di loro, il prossimo 4 novembre, sarà scelto colui che dovrà comparire davanti a una commissione pubblica deputata a valutare la proposta. L’ultima parola spetterà all’arcivescovo di Parigi, mons. Laurent Ulrich, che ha fortemente spinto l’Eliseo a superare le obiezioni degli storici dell’arte per “lasciare un segno” nella chiesa restaurata. Macron,  il président  jupitérien, ha colto la palla al balzo: anche lui, come Mitterrand con la Piramide al Louvre, e Pompidou con il Centro che porta il suo nome, avrà materiale per essere ricordato dai posteri. E per di più in una chiesa, una delle più famose al mondo, meta di milioni di visitatori e ritratta in cartoline, gadget, calamite, quadri. Gli otto progetti sono stati selezionati tra 105 proposte dal ministero della Cultura e dal Comitato artistico presieduto dal critico d’arte ed ex direttore del Musée National d’Art Moderne/Centre Pompidou Bernard Blistène.

 

E anche se la diocesi assicura che i temi delle nuove vetrate saranno comunque ispirati alla Pentecoste, il dibattito è acceso: più di 125 mila sono le firme poste in calce a un appello volto a non toccare le vetrate originali (che poi sono ottocentesche) di  Eugène Viollet-le-Duc, anche perché sono una delle poche cose rimaste intatte dopo l’incendio. L’opposizione è insomma forte, paradossalmente diretta più contro Macron che contro la curia, per anni divisa al suo interno sulla scelta di ricostruire com’era prima o di ricostruire innovando. Scartate le ipotesi più fantasiose – c’era chi voleva fare una cappella “ecologica”, chi uno spazio “emotivo”, chi un luogo per le diverse aree del pianeta – solo gli esperti del settore erano decisi a riproporre la struttura concepita da Viollet-le-Duc, con i suoi gargoyle e la sua guglia: non certo “l’originale”, ma la versione ottocentesca della cattedrale. L’arcivescovo venuto da Lille dopo l’accoglimento repentino delle dimissioni di mons. Aupetit, ha scompaginato le carte e ha sposato la tesi del tocco di contemporaneità da dare alle vetrate, che comunque non saranno pronte prima del 2030. Un’insolita alleanza fra trono e altare nella patria dove di sacro è rimasta quasi solo la laïcité. Chissà cosa ne penserebbe Quasimodo.

Di più su questi argomenti:
  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.