chiesa
Il viaggio del Papa nel cuore dell'Europa infedele
Da oggi e fino a domenica, Francesco sarà in Lussemburgo e Belgio. Uno dei viaggi più delicati del pontificato. E' la prima volta che Jorge Mario Bergoglio mette piede e per più giorni nel cuore d’Europa. Finora sempre tappe periferiche, circumnavigando il continente delle cattedrali gotiche e del cristianesimo che l’ha forgiato e reso grande
Roma. Va bene Timor est con le sue centinaia di migliaia di fedeli ordinati e composti in attesa del vicario di Cristo. Bene pure i discorsi a Singapore sul senso del dialogo interreligioso (con tutte le perplessità annesse sui fondamentali, Via-Verità e Vita, che parecchio hanno fatto discutere). Più che l’esotica spedizione di dodici giorni in estremo oriente, però, è il viaggio che inizia oggi in Lussemburgo e Belgio a rappresentare uno dei momenti più rilevanti del pontificato di Francesco. Intanto, perché è la prima volta che Jorge Mario Bergoglio mette piede e per più giorni nel cuore d’Europa. Finora sempre tappe periferiche, circumnavigando il continente delle cattedrali gotiche e del cristianesimo che l’ha forgiato e reso grande. Cipro e l’Albania e i Balcani dilaniati dalle guerre, i baltici e la Svezia. Il Caucaso, Budapest e la Polonia per la Gmg del 2016, l’Irlanda per l’Incontro delle famiglie. Mai però al centro. Sì, è andato a Strasburgo, ma solo perché invitato dalle Istituzioni sovranazionali. S’è recato a Marsiglia per gli Incontri del Mediterraneo, “ma dite che sono andato per quell’appuntamento e non in Francia”, si premurò di puntualizzare conversando con i giornalisti.
Altro che Vespri a Notre-Dame (“Non andrò a Parigi”, ha detto tornando dall’Asia), discorso al Bundestang e a Westminster: Francesco è andato tra gli ultimi di Lesbo e a Lampedusa e il più delle volte i suoi accenni all’Europa sono stati sferzanti: “Che ti è successo, nonna?”. Perfino quando ha ricevuto in Vaticano il Premio Carlo Magno, nel 2016. Ora, giunto al dodicesimo anno di pontificato, mette piede nel centro d’Europa. E va in due delle terre che meglio manifestano i segni della secolarizzazione vorace che ha ridotto la fede a un barlume o poco più. Prima tappa il Lussemburgo, dove arcivescovo è il relatore generale del Sinodo sulla sinodalità, il compagno d’armi gesuita cardinale Jean-Claude Hollerich. Quindi, Bruxelles. Domani l’incontro con il re e il primo ministro, poi il discorso alle autorità e alla società civile. Infine, l’appuntamento con i docenti universitari dell’Università cattolica di Lovanio, che di “cattolico” ormai ha ben poco, al punto che anni fa più d’uno si chiese se non fosse il caso di togliere all’ateneo quell’aggettivo un tempo qualificante e prestigioso e oggi fonte d’imbarazzo: dopotutto, all’indomani della strage al Bataclan, da lì risuonarono le “Imagine” di John Lennon, non proprio un manifesto di cattolico pensiero. Il giorno dopo, sabato, Francesco incontrerà il clero e gli operatori pastorali e al pomeriggio gli studenti universitari sempre di Lovanio. La giornata si chiuderà con il consueto incontro privato (anche se poi puntualmente il verbale della conversazione viene pubblicato dalla Civiltà Cattolica) con i membri della Compagnia di Gesù. Domenica, la messa allo stadio “Re Baldovino”, il sovrano che preferì abdicare provvisoriamente pur non di firmare la legge che legalizzò l’aborto, nel 1992. Lande desolate, dove le chiese sovente sono concesse a comunità di rito diverso dal cattolico (quando va bene) o vendute e trasformate in alberghi, sale da ballo, da skateboard o supermercati (quando va male). Decenni di riformismo spinto, auspicato e attuato, non hanno sovvertito una tendenza che comunque già s’intravedeva a inizio Novecento: è sufficiente leggersi i diari dei presuli d’allora, che notavano un calo nella pratica religiosa o, più facilmente, quel che scriveva Bernanos. Concilio e post Concilio non hanno salvato nulla, semmai – a causa di certe interpretazioni forzate e naïf – hanno accelerato un declino che ha avuto proprio nel Belgio e nell’Olanda l’epicentro della cosiddetta fede tramontante.
Lo sa bene anche il Papa, che sui propri account social domanda di pregare affinché il viaggio “sia l’occasione per un nuovo slancio di fede in quei paesi”. Sarà proprio per questo di grande interesse ascoltare le parole di Francesco, non tanto quelle ai preti e vescovi, quanto ai membri di quella società civile che si vorrebbe davvero dinamica. Come si declinerà l’afflato missionario proprio di Bergoglio nel cuore del Vecchio continente? Paradossalmente, giunti al primo quarto del XXI secolo, si può affermare con certa sicurezza che è più complicato evangelizzare Bruxelles che le isole a cavallo fra l’Asia e l’Oceania. Una traccia, forse, la si può rintracciare in quanto disse mesi fa al Foglio l’arcivescovo emerito di Bruxelles, il cardinale Josef De Kesel: “Come sarà la Chiesa del futuro? Una Chiesa che non solo ha qualcosa di molto importante da dire al mondo, ma che sa anche ascoltare ciò che il mondo ha da dirle. Una Chiesa che impara a capire i segni dei tempi”.
Il cristianesimo non è utopia