l'intervista
“La Chiesa capisca la tragedia degli ebrei”. Intervista al cardinale Marc Ouellet
"Il metodo sinodale in Germania ha avuto la tendenza a essere di tipo parlamentare e quindi più esposto alle pressioni culturali delle ideologie alla moda: teoria del gender, sfide al celibato, democratizzazione, e altro. Da qui le tensioni con Roma e con altri episcopati, nonché il difficile dialogo per mantenere l'unità"
Il dialogo interreligioso e il Sinodo in corso, la crisi della teologia e la secolarizzazione. Parla il prefetto emerito del Dicastero per i Vescovi
Due giorni fa ricorreva il primo anniversario della strage compiuta da Hamas nei kibbutz d’Israele. Aveva inizio un anno di guerra in Terra santa di cui non si vede la fine. Lunedì la Santa Sede ha diffuso una lettera del Papa ai cattolici del medio oriente in cui, fra le altre cose, chiede ancora una volta che le armi tacciano, esprimendo vicinanza alle popolazioni ormai stremate. Quanto accaduto un anno fa, però, ha lasciato il segno sui rapporti fra il cattolicesimo e l’ebraismo. Gli interventi di Francesco, equidistanti, non sono piaciuti alla comunità ebraica. Nemmeno gli inviti ai leader israeliani a fermare la propria reazione. Il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, è arrivato a dire che “c’è un problema di teologia regredita e di incomprensione sostanziale. Sono stati fatti molti passi indietro nel dialogo ed è necessario riprendere il filo del discorso”. Non solo, a gennaio, alla Gregoriana, aggiungeva che a partire dal Pontefice si è registrato “un miscuglio di dichiarazioni politiche e religiose che ci hanno reso perplessi e offesi”. La situazione appare dunque tesa.
Il Foglio ne parla con il cardinale Marc Ouellet, canadese, prefetto emerito del dicastero per i Vescovi, che ha guidato dal 2010 al 2022. Ha da poco mandato in stampa per Cantagalli il saggio Parola, sacramento, carisma (304 pp., 23 euro). Da teologo – è stato membro associato di Communio – risponde subito sulla questione interreligiosa: “Credo che dobbiamo comprendere la tragedia del rabbino Di Segni, che è profondamente colpito dalla guerra che sta devastando il suo popolo. I temi ricorrenti del Magistero di Papa Francesco sono sensibili alla tragica situazione mondiale, dove abbondano guerre, rifugiati e ingiustizie, e dove è molto importante per lui rimanere in dialogo con l’islam, nonostante la situazione globale. Il Papa non ha trascurato il dialogo della Chiesa con l’ebraismo; sta cercando di intervenire per limitare i danni inevitabili senza schierarsi con una parte contro l’altra. Questo è evangelico, ma potrebbe non essere o sembrare politicamente corretto”. A proposito di islam, Ouellet nel suo volume sottolinea l’importanza dei rapporti con i fedeli musulmani, definiti “preziosi alleati nella difesa della vita umana e nell’affermazione dell’importanza sociale della religione”.
Cosa risponde a chi, anche all’interno della Chiesa cattolica, sostiene che si rischia di mandare in archivio la Dominus Iesus di Giovanni Paolo II e di dimenticarsi che Cristo è l’unica porta attraverso cui si raggiunge la salvezza? “La Dichiarazione Dominus Iesus ha riaffermato l’unicità del Salvatore e anche l’importanza della Sua Chiesa al volgere dell’anno 2000. Nel dialogo interreligioso, occorre distinguere tra dialogo fraterno e dialogo dottrinale. Le persone di religioni diverse si incontrano e rispettano le reciproche differenze senza lanciarsi anatemi in nome della propria fede. Il dialogo dottrinale sulle verità credute da entrambe le parti deve dare luogo a scambi sinceri, in cui la testimonianza di ciascuno deve essere coerente con il proprio credo”.
Nell’Introduzione, si legge che “Il Papa ha trovato il modo per riportare gli estremi uno dopo l’altro e per proiettare la Chiesa in avanti e in uscita a partire da una vasta operazione di ascolto e di dialogo in vista di costruire insieme una Chiesa più sinodale”. Sono affermazioni che si sentono spesso, ma pensa che a livello di “Chiesa di base”, cioè tra i laici che fanno vita parrocchiale – quelli della messa della domenica –, si comprendano queste espressioni? Non rischiano di essere frasi buone per conciliaboli episcopali che ben poco dicono al cattolico “comune”? Glielo domando perché capita spesso di sentire, tra i fedeli, definizioni assai bizzarre sulla “Chiesa sinodale”. Come se non si capisse cosa sia. “E’ vero che il tema della sinodalità non è facile da afferrare, soprattutto quando diventa uno slogan utilizzato a tutti gli effetti. La parola è astratta, ma la realtà è molto concreta se la affrontiamo nello spirito di Papa Francesco, che vuole soprattutto che tutti nella Chiesa si ascoltino, nella fiducia che lo Spirito Santo abbia qualcosa da dire alla Chiesa e al mondo, attraverso ciascuno, senza esclusioni. Anche gli aspetti ‘procedurali’ della sinodalità fanno parte del dibattito: riguardano il modo in cui la Chiesa viene governata, con la partecipazione dei laici e di chiunque incarni un carisma per il bene della comunità. E’ più importante partecipare più attivamente alla vita della comunità che fare campagne per cambiamenti strutturali”.
Tra l’altro, nel suo recente viaggio in Belgio, Papa Francesco ha detto che “il processo sinodale dev’essere un ritorno al Vangelo; non deve avere tra le priorità qualche riforma alla moda”. In pratica, ha tolto dal campo tutte le pulsioni (di “destra” come “di sinistra”) che volevano fare del Sinodo l’occasione per regolare i conti. Il cardinale Ouellet ha vissuto in prima persona la questione tedesca, con il Cammino sinodale intrapreso della Chiesa in Germania che il Pontefice, con i suoi interventi (seguiti da quelli della curia), ha cercato di riportare sulla retta via. Il rischio di uno scisma c’è stato davvero? “La risolutezza con cui Papa Francesco ha liquidato alcune questioni ritenute importanti da destra e da sinistra dimostra che il suo obiettivo non è una liberalizzazione della Chiesa o una democratizzazione delle sue strutture. Ciò che è unico per la Chiesa è lo Spirito Santo, riversato nella comunità dei fedeli, che le ricordano costantemente la Persona di Gesù. Il metodo sinodale in Germania ha avuto la tendenza a essere di tipo parlamentare e quindi più esposto alle pressioni culturali delle ideologie alla moda: teoria del gender, sfide al celibato, democratizzazione, e altro. Da qui le tensioni con Roma e con altri episcopati, nonché il difficile dialogo per mantenere l’unità. Tuttavia, credo che l’esperienza dell’attuale Sinodo aiuterà la Chiesa in Germania a rimanere fedele alla sua eredità, nonostante le paure e i rischi attuali”.
Prima di essere chiamato a Roma, Marc Ouellet è stato vescovo diocesano, arcivescovo di Québec, quindi terra d’occidente. Nel suo libro si leggono più volte parole come “oblio”, si usa il verbo “dimenticare”: sono termini che accompagnano la vita della fede in Europa da molto tempo, al punto che una persona spesso non si chiede più neppure se Dio esista o meno. Semplicemente, il tema non interessa. Cosa ha portato a questa eclissi di Dio alle nostre latitudini? C’è forse anche una responsabilità della Chiesa? “Da decenni, l’occidente cristiano sta subendo un processo di secolarizzazione che ha rimosso Dio dall’orizzonte culturale. Si tratta di un fatto massiccio e doloroso che deve portare a una vera conversione personale, sinodale e missionaria, secondo gli appelli di Papa Francesco. Il Concilio Vaticano II ha dato un importante orientamento in questa direzione per frenare la deriva secolarizzante, ma ci è voluto del tempo perché Cristo diventasse il centro della nuova evangelizzazione. Ciò che ancora manca è una maggiore apertura allo Spirito Santo, che ci aiuterà a scoprire la pari dignità di tutti i battezzati, la ricchezza dei loro carismi e il loro necessario impegno nella missione della Chiesa. In questo senso, abbiamo bisogno di una conversione alla solidarietà di tutti nella missione, per trasformare la cultura clericale dominante in una mistica della fraternità e del servizio”.
Però le chiese, in Europa, sono sempre più vuote e purtroppo non è più solo un modo di dire. I vescovi accorpano le parrocchie e studiano ogni stratagemma per sopravvivere alla crisi. Ma può bastare solo una riforma burocratica o tecnica per risvegliare una fede che sembra un po’ addormentata? “Porre la domanda significa rispondere. E’ abbastanza chiaro che le riforme amministrative hanno fatto il loro corso e segnalano una transizione obbligatoria verso una nuova fase dell’èra cristiana. Ciò richiede un ritorno al Vangelo, ossia alla predicazione della resurrezione di Cristo, all’esperienza del Signore risorto presente in mezzo a noi, a una testimonianza di amore fraterno che abbia un impatto su una società martoriata da situazioni di solitudine, abbandono e disperazione. E’ meglio sostenere una comunità diocesana attorno a determinati centri eucaristici in una determinata area, piuttosto che voler mantenere a tutti i costi delle unità amministrative, che esauriscono i sacerdoti e non danno loro la gioia di vedere la crescita di comunità vive e feconde in termini di vocazioni”.
Marc Ouellet, lo si diceva prima, è stato membro di Communio. Ha lavorato con Ratzinger (che lo volle a Roma) e con Balthasar, solo per fare due nomi. Un editore cattolico, qualche tempo fa, diceva a taccuini rigorosamente chiusi che si fa fatica a trovare nuovi teologi che abbiano cose interessanti e profonde da dire. Ce n’è qualcuno, ma si contano sulle dita di mezza mano. In pratica, ancora oggi domina le vendite Joseph Ratzinger. Il teologo Ouellet come si spiega questa crisi? “Mi permetta di rispondere fuori dai sentieri battuti. Dobbiamo ringraziare Dio per i grandi teologi come Joseph Ratzinger, Hans Urs von Balthasar, Henri de Lubac, Yves Congar, Karl Rahner, e altri. Abbiamo ora bisogno di una nuova generazione che contribuisca maggiormente alla teologia contemplativa, perché la teologia si è deteriorata sotto l’effetto delle controversie e dei moderni sistemi di pensiero. C’è un’urgente necessità di recuperare la teologia dei santi e quella di alcune donne che sono state confinate nell’ambito della spiritualità, ad esempio Ildegarda di Bingen, Gertrude di Helfta, Caterina da Siena, Teresa d’Avila, Teresa del Bambin Gesù, Édith Stein, Adrienne von Speyr, Chiara Lubich, Madeleine Delbrêl, eccetera, per citare solo alcuni nomi che potrebbero aiutare a far crescere una nuova generazione di teologi e teologhe per il nostro tempo”.