L'INTERVISTA

"La Chiesa italiana non fa ingerenza, e se qualcuno lo pensa è un problema suo". Parla il cardinale Zuppi

“I sovranismi e il nichilismo stanno svuotando l'Europa. Quel che dice Draghi va bene, ma non basta: dobbiamo capire cosa significa pensarsi insieme. E' un problema di anima. Perché partiti come l'AfD conquistano i giovani? Perché danno una risposta facile, immediata, identitaria e chiara. Non controbilanciata da un'analoga risposta dall'altra parte"

Matteo Matzuzzi

“Quel che ho già detto sul premierato lo ridirei ancora. Serve un accordo largo e io parlo a tutti, governo e opposizione. L’Ucraina? La pace si fa in tre e dovrà essere una pace giusta”. Intervista al capo dei vescovi

Bologna. I rapporti con il governo Meloni suono buoni, ma “quel che ho detto sul premierato lo ridirei tuttora”. Il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, parla con il Foglio e torna sull’incidente – o meglio, sulla serie di incidenti, piccoli o grandi che siano – che ha raffreddato i rapporti fra l’episcopato e Palazzo Chigi. Tutto precipitò a maggio, quando Zuppi in una conferenza stampa disse che sarebbe stato opportuno rifletterci bene e pensare alla Costituzione prima di compiere fughe in avanti. “Io ho posto una domanda, in quel contesto. Era un auspicio fatto volutamente senza entrare nel merito della discussione. Anche perché il dibattito è aperto negli schieramenti e all’interno degli stessi partiti. La mia era soltanto una raccomandazione sulla quale credo non si possa che essere d’accordo. Bisogna fare attenzione e cercare il più possibile – cosa che ripeto da anni – un accordo il più largo possibile. Ricordo che dopo la guerra, gente che si ammazzava ancora, nella Costituente si trovò d’accordo per dare all’Italia una Carta. Auspicherei un atteggiamento analogo da parte di tutti. E il mio auspicio è diretto a tutti, anche a chi si oppone – magari solo per opportunismo. Servono cose che diano fiducia e che superino la contingenza”. E sull’autonomia differenziata? Anche lì non sono mancati commenti negativi da parte dei vescovi: “Sull’autonomia differenziata già tre conferenze episcopali regionali (Sicilia, Calabria e Campania) avevano prodotto documenti ufficiali molto duri, molto più duri di quello della Cei. Siccome crediamo si debba trovare un comune denominatore all’interno della Chiesa, ne abbiamo discusso al Consiglio permanente. E ne è uscito un documento che chiedeva attenzione alla solidarietà e alla sussidiarietà. Pensando a un provvedimento che non accentuasse le disuguaglianze. Poi è la politica che deve prendere sul serio la realtà della Chiesa, che in Italia qualcosa comunque conta. Ma non per partito preso, per spingere da una parte anziché da un’altra”. 

 

Qualche vescovo c’è andato giù duro, però: il vicepresidente Savino ha descritto uno scenario apocalittico qualora la riforma andasse in porto. “Sono interventi personali – dice Zuppi – e poi ci sono i documenti della Cei. E quel documento di cui ho parlato è del Consiglio permanente. Sono cose diverse. Se poi questo viene percepito come un’ingerenza, il problema non è nostro. In ogni  caso, noi col governo abbiamo un’ottima relazione, un’ottima interlocuzione. A volte più dialettica, certo. Pensiamo al problema del fenomeno migratorio: nell’Introduzione che ho letto all’ultimo Consiglio permanente ho voluto riprendere sull’immigrazione la catechesi in modo chiarissimo Francesco dice che bisogna salvare la vita – non solo di chi affoga, ma anche di chi rischia di farsi torturare – ma poi bisogna dare anche risposte. E’ un fenomeno che non può essere gestito solo dall’Italia”. Sull’inverno demografico, ad esempio, con Palazzo Chigi si dialoga bene, no? “Sulla demografia noto due grandi problemi. Uno è pratico e ha a che fare con la continuità di aiuti, la stabilità, la casa, la lotta al precariato. Pensiamo ai centomila ragazzi che ogni anno lasciano l’Italia. Non trovano stimoli e vanno in Germania o in Inghilterra dove guadagnano tre volte tanto rispetto a qui. In pratica, chi ha più voglia di futuro, se ne va. Questo è il problema ed è trasversale. Se riduciamo tutta la discussione alle solite situazioni contingenti, che abbiamo visto con tutti i governi di ogni colore, non andremo da nessuna parte. Poi c’è un altro problema, che è quello che ha a che fare con il gusto della vita. La demografia, il calo di nascite: bisogna riscoprire il piacere di condividere la vita senza cedere alla pur comprensibile paura di un mondo sconvolto”.

 

Parliamo allora di questo mondo sconvolto. Di guerra e pace il cardinale Zuppi se ne intende. Un po’ perché è cresciuto in Sant’Egidio, un po’ perché è stato inviato prima in Mozambico all’inizio degli anni Novanta e ben più di recente nelle capitali mondiali per cercare una strada per un dialogo fra Ucraina e Russia. Tutti parlano di pace, ma non c’è il rischio che a forza di parlarne troppo a mò di slogan, se ne sminuisca il valore? “Sì, c’è il rischio di abusare della parola pace. Come tutte le parole di cui si abusa, c’è il rischio di svuotarle di senso e di ottenere il significato contrario di quello che si vorrebbe perseguire. La rivendicazione ucraina – parliamo di pace ma ristabilendo la situazione preesistente – e la posizione russa – questi sono ormai territori russi – sono totalmente divergenti. Tutti dicono che la pace si fa in due, ma non è così: la pace si fa in tre. Se si fa in due, o vince l’uno o l’altro. Il terzo attore è la comunità internazionale che deve preparare le condizioni affinché le Parti possano aprire un dialogo che porti a una pace giusta. Attenzione: ho detto pace giusta. Perché altrimenti l’Ucraina non accetterà mai di sedere a un tavolo in cui perde. Però se la pace non si raggiunge con le armi, non resta che il dialogo. L’importante è che non passi mai il concetto che ciò significa arrendersi”. Oggi com’è la situazione? “Oggi siamo lontani, le Parti sono assolutamente distanti”. Qualche aspetto positivo? “Gli attori internazionali, in tutti, c’è la consapevolezza che è impossibile vincere e in fondo quanti tentativi o auspici di dialogo ci sono? Credo che con l’andamento della guerra, in cui peraltro si continua a morire, bisogna creare le condizioni per portare le Parti al dialogo. La pace, in ogni caso, deve essere giusta: la preoccupazione ucraina secondo cui il diritto è stato calpestato è vera. Come si fa a dire che non hanno ragione?”.

 

Lei ha parlato di guerra e pace anche di recente, auspicando una “Camaldoli europea”. Cosa intendeva? “Ricorrono gli ottant’anni dei momenti peggiori della Seconda guerra mondiale, l’inferno europeo. Una guerra mondiale ma interamente europea. Ma è anche una guerra da cui – insieme all’Olocausto cui è legata – è nata l’Europa. Abbiamo perso la memoria, cioè quella consapevolezza originaria. Immaginare la pace ha significato immaginare l’Europa. La generazione che l’ha costruita poi non ha fatto manutenzione e, soprattutto, non ha fatto un investimento per il futuro. Vedo il rischio di un’Europa che sia solo mercato comune. Il rapporto Draghi è molto consapevole di ciò, ma non basta: perché abbiamo a che fare con il problema dell’anima, e cioè capire cosa significhi oggi pensarsi insieme. L’Europa è il sogno straordinario di nazioni che si sono combattute per secoli e che oggi si pensano insieme, cercando un denominatore comune che le unisca. Ma questo comune denominatore deve allargarsi, è il discorso dei due polmoni così caro a Giovanni Paolo II. L’altra questione è il nichilismo, che assieme ai sovranismi rappresentano i due tarli che svuotano l’Europa. Sovranismo significa pensare di avere ogni tipo di soluzione distinguendosi dagli altri. Il nichilismo è il non avere l’anima. E oggi in Europa si respira tanta aria di morte. In fin dei conti, è la paura della vita. Che paradosso, c’è tanta vita e al contempo abbiamo paura della vita”. Come si spiega che in un paese pienamente europeo come la Germania l’AfD conquisti sempre più voti a ogni tornata elettorale soprattutto fra i giovani? Discorso analogo alla Francia, con l’ascesa costante della destra lepenista. “Per una risposta facile, immediata, identitaria e chiara. Non controbilanciata da un’analoga risposta dall’altra parte. Penso sempre al discorso che fece qui a Bologna Papa Francesco sul modo di resistere alle sirene: o come Ulisse restando legati al palo, o come Orfeo, che ha un canto più bello di quello delle sirene. E’ anche vero che all’Europa si danno troppe colpe per comodità, ma quando prevale la contabilità, il rischio della disaffezione o della reazione c’è”. Eminenza, uno dei padri di quell’Europa, Schuman, disse all’apertura del primo Parlamento europeo che la sua Europa era quella delle cattedrali. Oggi un discorso del genere creerebbe scandalo. “Se non c’è l’anima che ci unisce, è così”.

 

Tra meno di un mese ci saranno le elezioni americane. Papa Francesco, tornando dal viaggio in Asia, ha detto che entrambi i candidati sono contro la vita suggerendo di scegliere il male minore. Ma qual è il male minore per un cattolico? “Se il Papa non l’ha detto, ha lasciato la valutazione alla coscienza. Coscienza che va allenata, ricordandosi che c’è. Ha bisogno di discernimento e ascolto. Se non ha detto chi è il male minore, significa che per lui sono tutti e due dei mali. Poi ovviamente ci sono le altre valutazioni che faranno scegliere gli elettori cattolici americani. Nella visione di Papa Francesco, la difesa della vita va fatta dall’inizio alla fine: aborto ed eutanasia certo, ma anche tutto quello che c’è in mezzo. Tante volte abbiamo pensato che l’etica riguardasse solo l’inizio e la fine, ma la difesa della vita è anche tutto quello che c’è tra questi due momenti. La coscienza va allenata”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.