La Cei attacca sui centri in Albania: "Prenderemo posizione"
Il presidente della Fondazione Migrantes, mons. Perego, attacca anche Ursula von der Leyen: "E' favorevole all'accordo con Tirana? Non è bene informata"
Sull’apertura dei centri di permanenza e rimpatrio per i migranti in Albania “si stanno elaborando delle posizioni, delle dichiarazioni. Vorremmo vedere meglio”, ha detto il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Giuseppe Baturi, a margine della presentazione del Rapporto Immigrazione Caritas e Migrantes, ieri a Roma
Roma. Sull’apertura dei centri di permanenza e rimpatrio per i migranti in Albania “si stanno elaborando delle posizioni, delle dichiarazioni. Vorremmo vedere meglio”, ha detto il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Giuseppe Baturi, a margine della presentazione del Rapporto Immigrazione Caritas e Migrantes, ieri a Roma. La Cei è prudente, attende di approfondire, ma annuncia già che si farà sentire a tempo debito. E, stando a quanto detto dal presidente di Migrantes, l’arcivescovo di Ferrara Gian Carlo Perego, non saranno parole tenere. “Siamo passati dai muri alle prigioni. Spendere un miliardo, come di fatto sarà, per costruire tre prigioni a cielo aperto e un centro di identificazione allo sbarco per 400 persone – il centro di trattenimento è comunque una prigione perché non si può uscire né avere un cellulare e comunque per un Cpr di 120 posti che sappiamo sono dei lager già condannati dalla Consulta in Italia – significa che siamo passati dai muri alle prigioni quindi siamo davanti a un passaggio ulteriormente grave nella gestione del diritto di asilo”. Non solo, mons. Perego aggiunge che “fa una certa specie questo passaggio, che è avvenuto con una nave che con l’operazione Mare Nostrum era diventata una nave di soccorso, e che adesso diventi una delle navi per respingere le persone che sono in fuga e dove si fa una prima selezione per distinguere uomini da donne e bambini, rischiando di dividere le famiglie per un risultato che ora è di sedici persone su un numero che sarà molto più elevato. Se i numeri saranno questi per ogni tipo di salvataggio, e non potranno essere più di due in una settimana perché ci vogliono tre giorni dal luogo del salvataggio fino all’Albania, i numeri saranno molto residuali. Forse il dieci per cento se si arriva a cinquemila in un anno di quei cinquantaduemila che finora sono sbarcati a Lampedusa e nei porti italiani”.
Ma l’arcivescovo Perego non si limita a criticare il governo italiano, ma anche la presidente della Commissione europea, che ha espresso un primo parere positivo sulla collaborazione fra Roma e Tirana: “A mio modo di vedere – ha detto all’agenzia Adnkonos – la von der Leyen non è esattamente informata dei fatti e di cosa si è costruito in Albania e di questa procedura che sta avvenendo. Forse quando sarà, con precisione, informata dei fatti, magari dagli organismi europei deputati anche al controllo, forse rivedrà questo suo giudizio. Almeno lo spero perché pensare che questa sia la soluzione quando un governo, quello inglese, è caduto sulla stessa soluzione, è una cosa che segnala una deriva europea del popolarismo europeo”.
Non è la prima volta che mons. Perego, in qualità di presidente della Fondazione Migrantes, contesta l’accordo stipulato dal governo Meloni. Un anno fa lo definì “spreco di denaro pubblico”, suscitando l’irritazione di Palazzo Chigi. Il cardinale Matteo Zuppi aggiungeva che “di per sé è un’ammissione di non essere in grado. Non si capisce perché non venga sistemata meglio l’accoglienza qui”.
Era il primo episodio di una serie di “incomprensioni” che avrebbero segnato i mesi successivi, con tre conferenze episcopali regionali che contestavano duramente l’autonomia differenziata e le risposte date da Zuppi sul premierato. Frasi che, ha detto al Foglio nell’intervista pubblicata sabato scorso, ripeterebbe anche oggi. Sull’autonomia differenziata, le dichiarazioni pubbliche e forti del vicepresidente Savino erano state derubricate a pareri personali perché – aveva chiarito Zuppi – quel che conta alla fine è il comunicato del Consiglio permanente. Stavolta è però diverso, visto che mons. Perego è anche presidente della Commissione episcopale per le migrazioni, quindi titolatissimo a parlare dell’accordo stretto con l’Albania. In attesa della posizione ufficiale della Cei annunciata dal segretario generale Baturi, non si vede all’orizzonte un rasserenamento nei rapporti con la maggioranza in tempi relativamente brevi.